L'Unipol del gran rimosso. Manovre, plusvalenze e dividendi che non vengono divisi.
di Fabio Dal Boni - 09/06/2007
C
onsorte chi? Scomparso, desaparecido,rimosso: in 360 pagine di
bilancio, una mezza dozzina di allegati,
note integrative, schemi ministeriali,
relazioni del collegio sindacale,
della società di certificazione e dell’andamento
trimestrale non è mai
citato il nome dell’ex presidente di
Unipol. Per la verità, tra tutte le carte
ufficiali prodotte nell’ultimo anno
dalla compagnia bolognese che ha
sede in via Stalingrado – e già questo
la dice lunga sul clima che si vive da
quelle parti – il tabù viene rotto una
sola volta, alle 11 e 34 minuti del 27
aprile 2007. Si legge nel verbale stilato
dal notaio Federico Tassinari,
chiamato da Imola per l’annuale assemblea
dei soci, che tra loro preferiscono
chiamarsi cooperatori:
“Prende la parola il signor Baboni
Attilio che riguardo alla posizione
dell’ex presidente Ingegner Giovanni
Consorte, chiede più precisione in
merito ai reati ipotizzati a suo carico,
rimarcando la decisione in merito a
un’eventuale azione di responsabilità
ex articolo 2393 del Codice civile,
è di competenza dell’Assemblea degli
azionisti e non del consiglio di
amministrazione”.
Il Baboni non fa in tempo a lagnarsi
della pochezza dei dividendi e del
bilancio “ricco di ombre più che di
luci”, che viene zittito da un altro cooperatore,
il signor “Franchini Franco
che alle 11 e 44 esprime perplessità
per l’accanimento giudiziario nei confronti
dell’ex presidente”. Siamo a
pagina sedici del verbale, che andrà
avanti per altre sessanta: la questione
viene liquidata a pagina venti dal
presidente Pierluigi Stefanini ricordando
che il cda del quindici marzo
ha deciso di querelare sia Consorte,
sia il suo braccio destro Ivano Sacchetti
ma di non aver intrapreso azioni
di responsabilità.
Eccola la Unipol due, non quella
del casino Visco-Speciale con annessi
e connessi, meglio quella di Carlo
Salvatori, un banchiere di lungo corso
che da un anno esatto ce la mette
tutta a sostenere con roe, combined
ratios, pay-out, ebit, ebitda, in un festival
di percentuali e zerivirgola di
qualcosa in rapporto a qualcos’altro,
la Grande Rimozione di Consorte e
delle sue (presunte o acclarate) malefatte.
Senza riuscirci. Ovviamente.
Va detto, a discarico di Salvatori,
che l’ambiente non è quello dei più indicati
per partecipare a un altro gioco,
quello del Grande Risiko finanziario.
Qui, in via Stalingrado e dintorni, si è
nel mondo della mutualità, nel pianeta
del quel-che-è-tuo-è-nostro-e-quelche-
è-nostro-è-nostro (ma lo gestisco io
che sono qui da più tempo di te), nel
santuario del parliamone-apriamo-untavolo-
valutiamo-decidiamo-valutiamo-
pensiamoci-riparliamone, nel regno
del “contrordine compagni”.
Cosa potrà mai combinare quel disperato
di Salvatori? Eppure, alla sua
nomina c’è stato un plebiscito. Lo stato
di servizio era ed è da primato per
la categoria: 65 anni quasi tutti spesi
in banca. In assoluto è l’unico ad aver
lavorato nell’ordine con Giovanni Bazoli,
Cesare Geronzi e Alessandro
Profumo; amico e conterraneo di Antonio
Fazio ma gradito a Mario Draghi.
Due lauree, una a Bologna in
Economia e commercio, l’altra in
Scienze Politiche a Siena: cribbio,
Bologna e Siena, Economia e politica,
se non sposa lui Unipol e Monte dei
Paschi chi mai potrebbe riuscirci? E,
infatti, non ci riesce nemmeno lui. Almeno
per ora (gli si dia ancora qualche
chance).
Si prenda, per esempio, il capitolo
soldi, nel senso dei quattrini e di dividendi,
ma anche nel senso di Aldo
Soldi, il presidente delle cooperative
di consumo, associazione che dà lavoro
a oltre 50 mila dipendenti e possiede
il 49 per cento di Holmo, la cassaforte
della Legacoop, che controlla
Unipol. Dopo il fallimento della scalata
che doveva dare una banca (la
Bnl) ai Ds, Soldi – che figurava nel
precedente consiglio di Unipol – insiste
pubblicamente perché la compagnia
bolognese diventi un colosso ma
al tempo stesso mantenga “la specificità
delle coop anche quando acquistano
grandi dimensioni”. Il che vuole
dire, spiega, “riportare al centro
dell’impresa il socio, sia che siano
mille o un milione”.
Beh, in Francia il Crédit Agricole
ci riesce alla perfezione, avrà pensato
il banchiere quando si è lasciato
prendere la mano, a settembre, presentando
il suo piano industriale. Salvatori
promette al socio, quello al
centro di via Stalingrado: “Saremo generosi
sui dividendi, l’utile netto in
fondo è roba loro, degli azionisti”.
Peccato che il 27 aprile per il signor
Baboni (ma anche per il Franchi e, a
salire, i soci-cooperatori “pesanti”) la
delusione è cocente: dodici centesimi
di euro, come l’anno prima. Qualcuno
gli ha mandato a dire: la compagnia
ha in cassa i famosi due miliardi e
rotti di euro incamerati con la cessione
delle quote di Bnl rastrellate da
Consorte, non crederà mica di usarli
come li userebbe un banchiere?
Se Salvatori (24 aprile) si allarga
(“Il free capital di Unipol se non sarà
usato nel 2007 sarà restituito ai soci. I
prossimi mesi saranno decisivi valuteremo
come usarlo, altrimenti lo restituiremo
perché gli eccessi di capitale
sono costosi”), a stretto giro Stefanini
(24 maggio) lo riprende: “Non si parla
di acquisizioni o fusioni prima della
fine dell’esercizio 2007”. E Soldi rincara
la dose: “Per Unipol ulteriori alleanze
saranno possibili e auspicabili
ma c’è tempo per costruirle, le cose
vanno fatte bene e senza fretta”.
Ulteriori alleanze? Sì, ha detto proprio
così, “ulteriori”. Il conto è presto
fatto, non ne hanno fatta manco una.
Sul tavolo c’era da anni la vicinanza
(se non altro per sintonia di colore,
rosso) con il Monte dei Paschi, tanto
che quest’ultima era blindata nella
Finsoe, la finanziaria cui era demandata
la custodia del controllo di Unipol.
Si è arrivati a un passo dal divorzio
definitivo (si diano ancora chance
a Salvatori, anche se parrebbe di
prenderlo per il naso) e la rottura si è
consumata proprio sulla scalata alla
Banca nazionale del lavoro del signor
Rimosso, che sognava una triangolazione
Unipol-Mps-Bnl. C’era l’accordo
azionario nella Hopa dei capitani padani
di Chicco Gnutti, però è andato a
ramengo quando Salvatori ci ha messo
del suo con una barricata (per questioni
di prezzo, dice lui) al disegno di
Bazoli, che avrebbe voluto fondere
quella Hopa con Mittel per creare
una Mediobanchetta dal sapore cattocomunista.
C’era l’unione con una
banca popolare, ma la più abbordabile
per origini e compatibilità era la
Bper, quella dell’Emilia Romagna,
che si è appena sposata con la milanese
Bpm: certo, anche qui il triangolo
è sempre possibile ma a Bologna
non c’è uno che decide per tutti,
quando poi quell’uno deve confrontarsi
con tutti e alla fine manca sempre
un benedetto uno per fare il tutti.
Del resto, l’aria che si respirava al
congresso della Legacoop era del tipo,
per dirla con Mattia Granata, storico
del movimento: “Ci vorrebbe più
coraggio, più politica di potenza. Bisognerebbe
cominciare a pensarsi e ad
agire per quel che siamo, un’associazione
di rappresentanza imponente
che occupa un milione di addetti e ha
più di dieci milioni di soci”. E allora
cosa ti tirano fuori dal cilindro i cooperatori?
L’idea di un mega-matrimonio
bianco-rosso (o rosso-bianco, e la
discussione per ora si è arenata qui)
tra Legacoop e Cooperative, che per
la parte finanziaria si tradurrebbe in
un’aggregazione fra Unipol e lo sterminato
mondo di sportellini (oltre
3.700) e filialine Bcc, ovvero le Banche
del credito cooperativo, che si
raccolgono attorno alla Federcasse o
Iccrea: 438 aziende, cinque milioni di
clienti in 2.450 comuni e una raccolta
di 107,5 miliardi di euro (più di quanto
capitalizzeranno insieme Capitalia
e Unicredit). “Sia per noi che per loro
potrebbe avere un grande valore,
ci sarebbe una forza straordinaria
mettendo insieme un grande network
bancario e assicurativo”, ammetteva
mesi addietro Salvatori che confidava
in un cambio culturale: “Abbiamo superato
la logica politica e confessionale.
Con la mia nomina è dimostrato
che il gruppo ha guardato oltre lo
steccato”. Capirai, ai banconi delle
fiere di paese è già difficile pescare
un cartellino con su scritto “hai vinto
una fusione”, figurarsi quanta fortuna
ci vorrà perché quel cartellino sia
bianco-rosso o rosso-bianco.
Mentre i rispettivi portatori di interesse
sognano, Unipol segna il passo
e si emargina: l’alleato storico si allontana.
Dice niente l’attivismo cosmopolita
di Giuseppe Mussari? Il
presidente del Monte dei Paschi, dopo
essere stato boicottato da Salvatori
sulla Mittel, prima stringe un asse
di ferro in campo assicurativo con il
colosso francese Axa, poi compra da
Bazoli la maggioranza di Biverbanca,
un istituto con 105 sportelli radicati
tra Biella e Vercelli. L’uno-due mussariano
ha l’effetto di un Ko tecnico
per il pianeta cooperativo, specie in
Toscana, con un nome su tutti: la Unicoop
Firenze. La società di grande distribuzione
guidata da Turiddo Campaini
(uno dei maggiori oppositori all’interno
della Lega alla scalata alla
Bnl e antagonista dell’ala emiliana di
Stefanini che, rimosso il signor Rimosso,
avrebbe voluto portare a termine
l’acquisizione della banca romana)
è azionista sia del Monte che
della catena di controllo (Holmo-Finsoe)
di Unipol. Ed oggi è pronta a far
migrare le polizze bolognesi verso
quelle transalpine.
A voler essere pignoli, con una dote
di 6,5 milioni di clienti, 4.500 agenzie
e 280 agenzie bancarie in proprio
sotto l’insegna Unipol Banca, non è
che ci sia tanto da sorridere nell’immobilismo
di fronte alle “ulteriori alleanze”
del consigliere e cooperatore
Soldi. Anche perché di soldi, quasi
700 milioni di euro, Salvatori li ha già
utilizzati per un’acquisizione giudicata
strategica e fondamentale per la
riorganizzazione del gruppo. Nessuna
pedina del Risiko si è però mossa
sullo scacchiere: la preda era interna,
l’Aurora Assicurazioni, che stando
al piano industriale doveva essere
ritirata dal mercato con un’opa e così
è stato fatto. Le ragioni di cotanta
spesa? “Riorganizzazione”, è la risposta
ufficiale. A nessuno venga in mente
di ricordare che il signor Rimosso
a cavallo del 2000 aveva acquistato la
piccola Aurora dalle Generali e poi
l’aveva ingigantita fondendoci la
Meie Assicurazioni e la strapagata
Winterthur.
Tra il dire e il non dire il mondo
della mutualità si scopre talvolta più
vizioso che virtuoso. Spesso, per
quanto elevato sia il numero dei portatori
di informazione (in nessun altro
mondo appare così influente il
potere del passaparola) le notizie restano
all’interno dei nuclei associativi:
il “compagno che sbaglia” miracolosamente
non inquina la fonte, tanto
forti e rapidi sono gli anticorpi.
Prova ne è stato, questa primavera a
Reggio Emilia, il silenzio attorno a
una storiella-storiaccia (lecita ma
non etica) confinata sui giornali di
provincia se non fosse perché si parlava
di una matricola di Borsa e perché
su queste materie c’è il presidio
del Sole 24 Ore. Che guaio quando i
cooperatori scoprono che qualcuno
co-opera di più: è successo che a
monte della Servizi Italia (una cooperativa
attiva nell’igiene sanitaria) circa
trecento soci si sono comportati da
furbetti nei confronti degli altri quattromila
spartendosi un tesoretto di 36
milioni di euro. I Trecento non hanno
dimostrato nulla di eroico né di spartano:
hanno “soltanto” anticipato i
tempi della quotazione in Borsa rilevando
azioni della Servizi Italia al
prezzo di 1,149 euro ciascuna. Queste
azioni sono state poi parcheggiate in
Lussemburgo in attesa di rivenderle
a 8,50 euro quando la Servizi è sbarcata
a Piazza Affari.
Il clamore sul tesoretto estero, prima
che scattassero le contromisure (il
presidente della Lega, Giuliano Poletti,
ha mandato gli ispettori, la base
chiede i nomi e le dimissioni dei furbetti
e soprattutto la spartizione del
ricavato: un’assemblea è fissata per
domenica primo luglio) rischia di
scuotere la potente Fondazione Manodori,
guidata da Antonella Spaggiari,
ex sindaco diessino e responsabile
cittadina delle cooperative di servizi
di Legacoop. L’episodio, veramente
poco politically correct, potrebbe offuscare
la festa reggiana per Donato
Fontanesi, presidente di Coopsette,
una delle prime cinque imprese italiane
di costruzioni, azionista storico
di Holmo. Al motto morandiano di
“uno su mille ce la fa”, Fontanesi, che
è membro del direttivo nazionale della
Lega, ha ricevuto la nomination direttamente
dalla Spaggiari, forte del
pacchetto di titoli (pari al 4,12 per
cento del capitale) blindato nel patto
di sindacato di Capitalia: toccherà a
lui rappresentare la Fondazione (e il
mondo cooperativo) nel board del colosso
formato dalla banca romana con
l’Unicredit di Alessandro Profumo.
Altro che Risiko, altro che Visco o
Speciale, altro che il fassiniano “abbiamo
una banca”. E’ la volta che anche
i cooperatori nel loro piccolo s’incazzano.
Il passaparola nel parco buoi
Unipol è questo: o Stefanini e Salvatori
si danno una mossa a comprare
qualcosa di serio (dove?), altrimenti
restituiscano ai soci quei due miliardi
di liquidità creata dal Signor Rimosso.
Tra i recinti della cooperazione il
messaggio si diffonde, basta dare
un’altra occhiatina a quel verbale del
notaio Tassinari. Quando si è trattato
di approvare il bilancio e (vabbè) il dividendo,
il voto è stato bulgaro: il 99,9
per cento ha detto sì. Quando invece il
consiglio di amministrazione ha proposto
il proprio aumento retributivo
da 30.987 a 50.000 euro l’anno a testa e
il rialzo del gettone di presenza da
1.000 a 1.500 euro a seduta, quella percentuale
è scesa al 98 per cento. Qualcuno
ha mangiato la foglia: questa è finanza
rossa, mica fessa.