Saper leggere i "segni" vuol dire essere desti e consapevoli
di Francesco Lamendola - 11/06/2007
Quando si prepara un periodo di cattivo tempo, il contadino sa (o meglio sapeva) leggerne i segni in anticipo, nella terra e nel cielo. Quando si avvicina uno sconvolgimento naturale, ad esempio un terremoto, gli animali lo sentono con molte ore di preavviso e lo manifestano chiaramente con il loro comportamento. Sono esempi di come i viventi, affidandosi all'istinto, siano in grado di captare una minaccia o un pericolo in arrivo e di prendere le opportune contromisure. Ma noi, da alcuni secoli, preferiamo affidarci alla Scienza: ci penserà lei, ci avvertirà lei. Peccato che, quando è arrivato lo tsunami che ha mietuto innumerevoli vittime sulle coste dell'Oceano Indiano, a nulla siano valse le più sofisticate strumentazioni tecnologiche: gli unici a salvarsi, rifugiandosi per tempo lontano dalla riva, sono stati i "primitivi" abitanti delle Isole Andamane, che non avevano alcuno strumento di rilevazione meteorologica o sismica e neppure un telefono con cui essere avvertiti dell'onda anomala in arrivo.
Ma vi sono altri "segni" che sembrano annunciare un diverso ordine di pericoli e che noi, forse troppo affaccendati in altre cose come la corsa al profitto e al benessere e la distruzione sistematica dell'ambiente, non siamo in grado di cogliere. Segni inquietanti di "qualcosa" che si sta avvicinando in modo sempre più netto e che noi non sentiamo, ci sforziamo di non sentire. Altre voci e altri suoni giungono graditi ai nostri orecchi, quelli di un consumismo forsennato e di un edonismo senza limiti. E poi, di che cosa dovremmo preoccuparci? Non abbiamo forse un esercito di "tecnici" e di "esperti" che ci avvertirebbero, se vi fosse qualcosa di anomalo in vista? Non li paghiamo per questo? Già, perché con la scienza e il denaro noi pensiamo di poterci comprare tutto - non solo la sicurezza contro ogni imprevisto, ma anche una lunga vita e, possibilmente, l'immortalità.
Eppure… i "segni" ci sono, per chi li sa vedere. Per chi non è del tutto obnubilato da uno stile di vita che ci fa prendere fiaccole per lanterne, stravolgendo completamente le nostre facoltà di discernimento. Per chi è sveglio in mezzo ai dormienti che si credono svegli anch'essi, anzi iperattivi. Ricordiamo l'ammonimento di Gesù: «Vegliate e non dormite, perché voi non sapete quando verrà il momento».
C'è una cosa che ci ha sempre colpiti, una domanda che ci ha sempre assillato fin da quando, bambini, abbiamo letto per la prima volta, nel libro dell'Esodo, le vicende che hanno preceduto la partenza del popolo ebreo dalla terra d'Egitto. «Perché il Faraone non ha saputo leggere e comprendere per tempo l'avvertimento delle piaghe che si stavano abbattendo sul suo Paese e sul suo popolo? Perché ha atteso la decima piaga, la più grave di tutte, dopo che già tanti 'segni' avrebbero dovuto ammonirlo a lasciar partire gli Ebrei? E i suoi ministri, i suoi consiglieri, erano dunque tutti ciechi e sordi davanti a tali calamità e al manifesto volere di Dio? Perché non hanno saputo interpretare per tempo il significato di quei prodigi, di quelle sciagure; perché hanno atteso che la misura dell'angoscia e della sofferenza fosse riempita sino all'orlo? Un velo copriva dunque i loro occhi, rendendoli ciechi davanti all'evidenza?». Questi interrogativi ci affollavano la mente, e non riuscivamo a trovare una risposta.
È vero che la Bibbia dice che il cuore di Faraone s'era indurito. Ma quanto doveva essersi indurito per lasciare che le cose giungessero a tanto, che tutti i primogeniti morissero inspiegabilmente, compreso il suo, prima di capire la volontà divina e di arrendersi ad essa? La sua figura, così, acquistava nella nostra immaginazione infantile dei connotati di grandiosa tragicità, di orgoglio prometeico: come è possibile, ci domandavamo, sfidare la pazienza divina fino a un tal punto? L'interrogativo è rimasto senza risposta, almeno sul piano psicologico. Eppure, i "segni" del cielo dovevano essere più che evidenti, nella loro drammatica successione. Dieci piaghe, una dopo l'altra, una più sconcertante e spaventosa della precedente. E tutte con il marchio del soprannaturale, fin dalla prima: l'acqua mutata in sangue. Poi la seconda: un'invasione di rane; la terza: un'invasione di zanzare, la quarta: un'invasione di tafani; la quinta: l'inarrestabile moria di bestiame. E così via: la sesta: delle ulcere ripugnanti sul corpo di uomini e animali; la settima: una grandine così tremenda da distruggere non solo i raccolti, ma anche la vita di quanti si trovavano allo scoperto; l'ottava: un'invasione di cavallette divoratrici; la nona: una densa tenebra che scende sul mondo per tre giorni consecutivi. E infine la decima, al cui confronto tutte le altre impallidiscono: la morte improvvisa dei primogeniti d'Egitto (ma non di quelli della comunità ebraica), che riempie di pianti e di lamenti tutta la valle del Nilo.
Sono passati gli anni, e ci è capitato di fare delle "strane" riflessioni sull'attualità, tali da riportarci alla memoria quei vecchi interrogativi rimasti senza risposta. Non si dà il caso che stiano accadendo molte, troppe cose insolite e piuttosto allarmanti? E non è ancora più strano che nessuno se ne sia accorto; o meglio, che nessuno abbia pensato di collegarle in un quadro completo e interrelato, benché di alcune di esse (non di tutte) le cronache dei mezzi di comuncazione di massa si siano occupate alquanto, con il solito piglio sensazionalistico, fortemente emotivo ma nel complesso superficiale? Ci spieghiamo. Non amiamo, e non ci sono mai piaciuti, gli esaltati e i fanatici religiosi che a ogni pie' sospinto levano alte grida millenaristiche e annunziano la prossima fine del mondo: corvi del malaugurio che vedono "segni" dappertutto e seminano confusione e paura. Questo, però, non deve renderci ciechi e prevenuti, al punto da avere occhi che non sanno più vedere e orecchi che non sanno udire. Chi si rifiuta di vedere dei "segni" ad ogni costo non è migliore di chi li vede sempre e ovunque, anche dove non vi sono: la durezza di mente e di cuore non sono migliori della credulità e della superstizione. In entrambi i casi il risultato è lo stesso: l'incapacità di leggere il mondo intorno a noi, di relazionarci in maniera aperta e consapevole con quanto ci circonda.
Perché, se siamo in grado non solo di guardare, ma anche di ascoltare; se non abbiamo smarrito la facoltà, oltre che di udire, di ascoltare, i "segni" ci sono, eccome. Segni di che genere, segni di che cosa? Segni apocalittici: nel senso etimologico del termine: segni di rivelazione (dal greco apokalipto, che significa "io svelo"). Segni che ci svelano una realtà misconosciuta, che ci avvertono di qualche cosa che si sta preparando. Ma, per non parlare per enigmi, cercheremo di essere più espliciti e cominceremo col fare una distinzione di massima fra diversi ordini di "segni". Che cos'è, infatti, un segno? Il vocabolario Zingarelli, ad es., ci informa che esso è «un indizio, un accenno palese da cui si possono trarre deduzioni, conoscenze e simili riguardo a qualcosa di latente». Segno deriva dal latino signum che a sua volta, probabilmente, viene dal verbo secare, ossia tagliare: dunque, un segno è qualche cosa che ci taglia, che ci attraversa la strada, costringendoci a fermarci e a riflettere. Non è necessariamente un miracolo, o un prodigio, o comunque qualcosa che sfida con forza evidente le leggi conosciute della natura: un segno è un indizio, non una rivelazione. Il segno suggerisce una realtà non del tutto evidente, e che deve essere comunque interpretata, non si impone con la forza immediata di un evento soprannaturale, anche se rimanda a una sfera che non è semplicemente quella esperibile con i sensi ordinari e con il logos calcolante e strumentale. Decifrare un segno, pertanto, non ha a che fare principalmente con l'intelligenza, la razionalità e la cultura, ma con l'apertura coscienziale, con la disponibilità al trascendente, con il senso del limite e del mistero. Chi non possiede queste attitudini non saprà mai riconoscere un segno, anche se dovesse sbatterci contro; parlerà piuttosto di coincidenze, di singolarità, o semplicemente di suggestione. Il suo cuore resterà chiuso all'esperienza dell'altrove, chiuso e duro come quello di Faraone.
Ed eccoci arrivati a una prima, possibile risposta alla domanda circa l'incredulità del sovrano egizio al tempo di Mosé e dell'esodo degli Ebrei. Un segno non è automaticamente auto-evidente: per essere riconosciuto, è necessario possederne, se non il codice, almeno la disponibilità a riconoscervi un linguaggio, un linguaggio che non è completamente umano. Chi non ammette una tale possibilità, non possiede neppure gli strumenti minimi per poter riconoscere un segno ( o dieci segni, come le piaghe d'Egitto): semplicemente, non riuscirà a vedere alcun collegamento fra la cosa significante e la cosa significata. Un segno bianco e rosso sul tronco di un albero, a lato di un sentiero di montagna, è - ad esempio - un segno: significa che siamo sulla strada giusta, che non ci siamo allontanati dal retto cammino. Ma, per il cervo o per il capriolo che passano lì accanto, quel segno non significa nulla del genere: non rientra nel loro codice di comunicazione. E così il Faraone non seppe riconoscere il significato delle dieci piaghe (se non dopo l'ultima), perché la sua mente e il suo cuore non erano disposti a riconoscervi la presenza di un messaggio: erano, semplicemente, degli accadimenti, e non avevano nulla di speciale - a parte la loro distruttività, ovviamente.
Una seconda, possibile risposta all'interrogativo che ci eravamo posti riguarda i meccanismi del logos calcolante e strumentale. Per colui che ne è dominato, tale forma di pensiero non vede dei fini negli altri enti, ma solo dei mezzi per i propri fini; non valuta la razionalità dei fini, ma bada solo ad ottimizzare il rapporto tra mezzi e fini. Pertanto il Faraone e i suoi ministri avranno, sì, preso atto che si verificavano una serie di eventi insoliti, ma senza leggervi altro che una serie di accadimenti sfortunati per la prosperità dell'Egitto, riconducibili, comunque, a cause più o meno conosciute del mondo naturale. Per chi non possiede e non ammette altro organo di conoscenza della realtà che la mente razionale, nessun segno - per quanto anomalo e spettacolare - acquisterà mai la valenza di un segno. Noi non abbiamo a che fare con le cose, ammoniva un filosofo antico, ma con le nostre opinioni sulle cose: se pensiamo che per tutto esista una spiegazione (che magari la scienza oggi non possiede, ma domani sarà in grado di raggiungere), allora non ci viene neppure il sospetto che forse gli eventi possano essere dei segni, ossia degli avvertimenti scritti in un linguaggio che non è umano, e che viene dall'alto - o, magari, dal basso. In una seduta spiritica, ad esempio, la manifestazione di una presenza altra è il segno della irruzione di forze ed entità non umane nel nostro piano ordinario di realtà; e, sia detto fra parentesi, dubitiamo assai che esse siano quel che dicono di essere.
Una terza, possibile ragione all'incredulità del Faraone è che i segni ben raramente appaiono come "puri", ossia totalmente staccati e rilevati rispetto alla realtà quotidiana; al contrario, vi sono frammisti e per così dire immersi, sicché il loro riconoscimento richiede un occhio che sia un minimo esercitato. Per il turista distratto, un sentiero nel bosco non presenta proprio nulla di speciale; ma per l'uomo che conosce a fondo il mondo della natura, e non in modo libresco - per un indigeno dell'Amazzonia, ad esempio - quel sentiero è come un libro aperto che presenta innumerevoli tracce: quali esseri viventi vi sono passati prima di lui, da quanto tempo di quale specie, di che età, ecc. Per i segni è la stessa cosa: l'occhio distratto non li riconosce perché non è abituato a leggerli. Soprattutto, non è abituato a collegarli. Vede il ramo spezzato, ma non sa fare lo sforzo d'immaginazione per "vedere" l'animale che ha fatto ciò; percepisce, in qualche modo, il silenzio improvviso, ma non gli sovviene che quel subitaneo ammutolire delle creature viventi deve essere l'indizio di qualche cosa. Non sa collegare: vede i fatti e gli eventi in maniera statica, isolati l'uno dall'altro. Il faraone e i suoi ministri videro le singole manifestazioni quali le cavallette, le ulcere, la grandine, ma non furono in grado di istituire dei nessi, dei legami organici ra cose apparentemente diverse. Non venne loro in mente che fossero parole di una frase, elementi di un discorso: non venne loro in mente perché gli eventi in sé stessi erano percepiti come realtà statiche e isolate, non come una forma di linguaggio.
Ed eccoci al presente. Quel che la nostra mente analitica ha, in genere, disimparato, è la capacità di vedere le cose nella loro unità e complessità, di vederle a volo d'uccello: vede le singole foglioline, ma non distingue la foresta; ode le singole note, ma non riconosce il concerto. La maggior parte di noi vive con il pilota automatico perennemente inserito: vive, cioè, una vita intera senza chiedersi veramente perché fa determinate cose, o perché incontra determinate cose: bada solo a ottimizzare il rapporto mezzo-fine, a raggiungere il massimo rendimento con il minimo dispendio (come nella catena di montaggio inventata da Henry Ford). Non ci stupiamo più davanti alla bellezza delle cose, alla loro eccezionalità, alla loro unicità; non le vediamo con gli occhi della meraviglia e della gratitudine, ma con quelli della consuetudine e dell'utilitarismo: che è come dire che non le vediamo affatto. In sostanza, viviamo come ciechi che credono di vederci benissimo, e corrono spericolatamente; come dormienti che si credono ben desti, e si aggirano invece, in stato sonnambolico, su cornicioni e su tetti.
I segni, dicevamo, possono essere di differenti ordini di realtà. Possono essere di natura fisica, come le crudeli e inspiegabili mutilazioni di bestiame che da alcuni decenni si verificano in varie parti del mondo. Questo genere di fenomeni ha un inizio ben preciso: il 15 settembre del 1967; e un luogo d'origine altrettanto preciso: la contea di Alamosa in Colorado. Quel giorno e in quel luogo, venne ritrovata la carcassa di un puledro di razza Appaloosa nella St. Luois Valley: la sua testa era stata ripulita della carne e dei muscoli, il cervello, gli organi interni e il midollo erano scomparsi e intorno al corpo della povera bestia non v'era una sola goccia di sangue. All'animale erano stati asportati il cuore, i polmoni e la tiroide. Una operazione del genere - estrarre gli organi da un corpo vivente senza versare neanche un po' di sangue - si potrebbe realizzare con i raggi laser, ma all'epoca tale tecnologia non esisteva ancora. Dopo di allora, migliaia e migliaia di animali al pascolo hanno fatto una fine analoga, sempre in circostanze assolutamente inspiegabili. Si è parlato di esperimenti governativi segreti, di sette sataniche, di alieni a bordo di dischi volanti; ma la realtà è che il fenomeno continua, e non se ne sa nulla.
Ci sono poi i cerchi nel grano, dai disegni talmente complessi (quelli 'autentici', ovviamente) che sembrano fatti al computer: invece appaiono su vaste superficie di campi coltivati, nell'oscurità, e prima del nuovo giorno risultano già completi e perfetti. Eppure, solo dall'alto se ne può vedere tutta l'armoniosa geometria. Chi o che cosa piega le piantine verso terra, formando quegli arabeschi da Mille e una notte? Certo, le mutilazioni sugli animali e i cerchi nel grano sembrano provenire da due diversi tipi di volontà: maligna la prima, benevola o quanto meno 'spirituale' la seconda. Ma hanno in comune il fatto che si tratta di fenomeni fisici che rimandano a qualche intenzione occulta, a un disegno di cui ci sfugge completamente il senso.
Su un altro piano di realtà sembrano collocarsi le piogge acide, il buco nello strato di ozono, l'effetto serra e il riscaldamento globale, lo scioglimento dei ghiacci, l'essiccamento di laghi e fiumi e la desertificazione di vaste regioni del pianeta. Qui noi conosciamo bene le cause dei fenomeni, tuttavia stentiamo a leggervi dei segni, segni che annunciano un disastro imminente. Come l'acqua del Nilo tramutata in sangue, così l'acqua della Terra, all'inizio del III millennio, rischia di tramutarsi in un liquido imbevibile, formicolante di virus e batteri e, per giunta, sempre più raro e sempre più caro: già, perché abbiamo deciso di monetizzare anche quella.
La scomparsa sempre più frequente di esseri umani rimanda ancora a un differente piano di realtà. Migliaia di esseri umani scompaiono continuamente e, per una parte di tali scomparse, non sappiamo trovare alcuna spiegazione convincente. Oltre all'allontanamento volontario, agli omicidi con conseguente occultamento dei cadaveri, agli omicidi finalizzati al traffico di organi e al commercio di esseri umani come schiavi, sembra esservi qualcos'altro, qualcosa a cui è difficile pensare. Talvolta di tratta di scomparse improvvise e clamorose, con numerosi testimoni: come accadde a quell'allevatore del Tennesse che il 23 settembre 1880, presso la cittadina di Gallatin, scomparve davanti a causa sua, sotto gli occhi della moglie, dei figli e di un conoscente. Semplicemente un momento era lì, che camminava sul sentiero di casa sua; e un momento dopo non c'era più. La sua voce fu udita, qualche giorno dopo, dalla figlia; ma sempre più debole, fino a quando cessò del tutto. Ed egli non fu mai più ritrovato. Si chiamava David Lang, era un uomo normale dalla vita normale; era conosciuto dai vicini e possedeva una bella fattoria. Scomparve letteralmente, e poi più nulla. Non è questo il luogo per approfondire un tal genere di fenomeni, d'altronde più frequenti di quanto non si creda; ne abbiamo già parlato altrove (nell'articolo Sincronicità, multiverso e significato della persona). Ma è un fatto che accadono, e che non siamo assolutamente in grado di spiegarli, se non ricorrendo a ipotesi più o meno fantasiose.
Diverso ancora è il caso di quei comportamenti sociali che, non eccezionali in sé stessi anche se altamente negativi (casi sempre più efferati di abusi sessuali su bambini piccoli; omicidi senza movente o collegati al satanismo; esplosioni di violenza inconsulta e sproporzionata; atti di terrorismo collegati dal comune denominatore di una occulta strategia della tensione) non possono non sorprendere per la loro irruzione massiccia e subitanea, come se una buona fetta di umanità fosse improvvisamente impazzita o si trovasse sotto l'influenza, improvvisa e inarrestabile, di forze demoniache. Il cambiamento di mentalità e di costumi indotto dalla società attuale, per quanto rapido esso sia, non riesce a spiegare in modo soddisfacente il dilagare fulmineo di tali comportamenti distruttivi, che fa pensare piuttosto alla diffusione di una pestilenza o a una grandiosa operazione di magia nera, di cui l'umanità sarebbe, per così dire, la cavia.
Potremmo continuare, ma una descrizione completa (si fa per dire) dei segni che caratterizzano gli ultimi anni del secondo millennio e questi primi anni del terzo esula dall'orizzonte della nostra presente riflessione. A noi importa, piuttosto, riconoscere che qualcosa sta accadendo, qualcosa che i mass media hanno deciso d'ignorare o di minimizzare e che la scienza "ufficiale" si volta dall'altra parte per non vedere (e per non dover ammettere che non sa minimamente come spiegarli). Non solo: ma che questo qualcosa non è opera del caso, che non si tratta di mere coincidenze; ma che dall'insieme degli eventi strani e allarmanti di questi nostri tempi si può evincere un disegno complessivo, o se non altro un linguaggio comune. Non possediamo il codice, ma abbiamo buone ragione per riconoscervi un codice, cioè un insieme di simboli significanti.
Forse, per tentar di penetrare nel codice, dovremmo spogliarci di alcune presuntuose certezze del logos strumentale e calcolante, della nostra presuntuosa scienza materialista, ed aprirci alla dimensione altra, al trascendente. Forse, allora, qualche cosa capiremmo. Magari non tutto, ma qualche cosa sì. Per esempio, che stiamo percorrendo, al buio e senza freni, una strada stretta e pericolosa, lanciati a tutta velocità; e, oltre a tutto, con gli occhi bendati.. Forse è il caso che ci togliamo la benda e che, per lo meno, rallentiamo un poco; poi, che cominciano a riflettere verso quale meta ci stiamo dirigendo, con quali mezzi, e perché. A quel punto, forse, ma non prima, qualche cosa cominceremo a capire, o almeno a intuire. L'uomo interiore, l'uomo spirituale che ora giace dimenticato e quasi soffocato in fondo a noi stessi, ridestandosi, ci aiuterà a interpretare quei segni. Forse ci insegnerà l'umiltà per chiedere una luce dall'alto, perché noi da soli, questo è certo, non possiamo e non potremo mai capire tutto. Forse capiremo che le cose più importanti si comprendono solo cercando un aiuto che non è solamente umano, e facendo un atto di fede amorevole verso di esso.