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Sarkozy, Prodi, e le politiche dell'offerta

di Carlo Gambescia - 11/06/2007

 

La schiacciante vittoria di Sarkozy rischia di favorire il rilancio francese della politica dell’offerta. Anche in Italia la politica economica del governo Prodi sta puntando verso la stessa direzione. E nel resto dell’ Europa ci si muove, più o meno, nello stesso alveo politico-economico. Insomma, il pericolo sussiste.
Ma che cosa significa politica dell’offerta? A grandi linee, significa opporre Smith a Keynes, il Mercato allo Stato. O per semplificare, la libertà delle imprese alla libertà dal bisogno dei cittadini. Come si sforza di giustificare George Gilder, apostolo dei supply-siders (politiche dal lato dell’offerta), in un celebre libro (Wealth and Poverty , Basic Books 1981) è l’offerta che genera la domanda. Il che significa, secondo il "divulgatore" Gilder, che all' offerta, gestita dalle imprese, andrebbe sempre assicurata la massima libertà, in termini di minori regolamentazioni e minori tasse. Insomma, l’esatto contrario di quel che sostengono le politiche economiche dal lato della domanda, teorizzate da Keynes, e soprattutto dai suoi epigoni (si pensi in Italia a Federico Caffè). Politiche rivolte a sostenere direttamente (ad esempio, attraverso salario minimo) o indirettamente ( ad esempio, con le politiche di grandi lavori pubblici) il reddito dei cittadini, liberandoli, innanzitutto, dalla costante paura di finire in povertà, se non in miseria. Ma pure imponendo, per ragioni redistributive, maggiori tasse a chi può permettersi si pagarle,
Per farla breve, le politiche dell’offerta si fondano sulla premessa del dinamismo spontaneo e dell’efficienza innata del mercato. Mentre quelle basate sulla domanda diffidano del mercato, e impongono correttivi e limitazioni alle attività economiche private. Le prime credono nella potenza della mano invisibile del Mercato, le seconde in quella della mano visibile dello Stato.
Gli storici ritengono che le politiche della domanda, abbiano determinato nell’Europa democratica, tra il 1945 e il 1975, una crescita elevata, un miglioramento delle condizioni economiche e sociali di tutti, e una (anche se lieve) redistribuzione della ricchezza. Mentre, sulle politiche dell’offerta, intraprese dalla Thatcher (e poi da Reagan), andati al potere nel biennio 1979-1981, il giudizio degli storici è negativo. Infatti la crescita media dell’economia è stata inferiore a quella del trentennio precedente, la diseguaglianza è cresciuta, così come la povertà. Basta sfogliare una (qualsiasi) storia economica della seconda metà del Novecento, dando una sbirciata alle appendici macroeconomiche.
Questi sono i fatti. Che Sarkozy e Prodi dovrebbero conoscere. O che dovrebbero essere noti a coloro che li consigliano, tutti provenienti da prestigiose università…
Insistere sulle politiche dell’offerta significa viaggiare a velocità supersonica verso la catastrofe sociale. Si pensi solo, al mix (socialmente) esplosivo, che potrebbe crearsi, di qui a 20 anni, quando giungeranno a maturazione le pensioni (magre) di chi oggi ne ha 40-45, in un contesto dove la quota di lavoro flessibile, e dunque sottopagata, rischia di superare, sempre alla stessa data, il 40- 50 per cento della forza lavoro complessiva (oggi in Europa, in media al 15-20 per cento, dopo circa 20 anni di politiche del lavoro basate sulla flesssibilità). Con un’età media (del lavoratore flessibile), sempre tra 20 anni, intorno ai 45-50 anni. E, sempre alla stessa data, con figli (anche se pochi, 1 al massimo 2) e genitori (tra i 70 e i 75 anni), con pensioni molto basse, e quindi bisognosi d’aiuto. In un quadro generale, dove le famiglie saranno più povere, e dove scuole, sanità e pensioni, saranno totalmente nelle mani dei privati. E, infine, con una manodopera straniera (usata come arma di ricatto dalle imprese private), che continuerà ad affluire , via Europa Orientale, e via Mar Mediterraneo.
Ecco, dove rischiano di condurre l’Europa sociale ed economica, politici come Sarkozy e Prodi.