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Iraq: un altro segnale ostile

di Christian Elia - 11/06/2007

Il parlamento iracheno vota una legge per vincolare al suo volere il prolungamento del mandato delle truppe Usa
E' molto probabile che alla fine si risolva in una bolla di sapone, ma quello che è accaduto nel Parlamento di Baghdad il 6 giugno scorso ha dell'incredibile. Un gruppo di deputati, guidati da quelli fedeli all'ayatollah sciita radicale Moqtada al-Sadr, ha presentato un disegno di legge per vincolare il prolungamento del mandato Onu per il contingente militare internazionale, guidato dagli Usa, a un nulla osta dell'assemblea.

moqtada al-sadrMossa astuta. In poche parole viene scardinato il meccanismo diplomatico con il quale, in netto ritardo rispetto all'invasione militare dell'Iraq nel marzo del 2003, le Nazioni Unite posero il loro imprimatur sulla missione in Mesopotamia. La procedura individuata dalle Nazioni Unite era quella che il governo iracheno doveva chiedere di volta in volta, tramite lettera del primo ministro di Baghdad al Consiglio di Sicurezza del Palazzo di Vetro, il prolungamento della presenza del contingente internazionale.
Pensata così, salvava la faccia a tutti. Quella del governo iracheno, rispetto a coloro che lo hanno sempre ritenuto uno strumento nelle mani di Washington, che così mostrava di decidere da solo. Quella delle Nazioni Unite, che non venivano messe in un angolo dall'unilateralismo degli Usa, mettendo il cappello sulla missione, e quella degli Stati Uniti e dei loro alleati, che potevano mostrare alle recalcitranti opinioni pubbliche interne di agire solo su richiesta dell'Onu.
Ma il parlamentarismo e la democrazia da esportazione, a volte, hanno le loro controindicazioni. E così, il 6 giugno scorso, approfittando di una seduta alla quale hanno partecipato solo 144 deputati su 275 (valida per il raggiungimento del quorum previsto), un gruppo di deputati ha proposto la legge che incrina il meccanismo 'perfetto', vincolando la richiesta che il premier al-Maliki dovrà presentare al Consiglio di Sicurezza entro il 28 novembre al voto parlamentare. Questo, considerato il crescente dissenso dei parlamentari iracheni verso i militari stranieri in Iraq, metterebbe a rischio il prolungamento del mandato, che al momento scade il 31 dicembre 2007.

il premier iracheno nouri al-malikiSegnale forte. “Il governo dovrà ottenere il permesso del Parlamento prima d'inoltrare la richiesta all'Onu per estendere il mandato delle forze militari internazionali”, ha esclamato trionfante alla fine della seduta Nassar al-Rubaie, il capofila dei deputati fedeli ad al-Sadr. Lo schieramento che, con 85 voti a favore e 59 contrari, è riuscito a far approvare il disegno di legge è variegato: accanto ai sadristi ci sono infatti altri sciiti, quelli del partito al-Fadhila, e anche i sunniti del Sunni Accordance Front, guidato da Adnan Dulaimi. Sciiti e sunniti assieme, almeno quando si parla di ritiro delle forze militari straniere. “Questo è solo il primo passo verso il raggiungimento del nostro obiettivo: il ritiro dei militari stranieri”, ha commentato Rubaie.
“Questa legge è una follia”, ha ribattuto Mahmoud Othman, uno dei deputati più influenti del blocco curdo, “non ha senso parlare di bloccare il rinnovo dei mandati per il contingente internazionale prima che l'addestramento delle forze armate irachene sia completato”.
Al governo guidato dal premier al-Maliki i numeri per bloccare la legge non mancano. Secondo la legge irachena infatti, il governo può porre il veto su tutte le leggi che non abbiano il sostegno di almeno due terzi dei deputati. E i 'ribelli' non arrivano a tutti questi voti.
Il segnale però resta: il parlamento iracheno, frutto delle prime libere elezioni della storia moderna irachena, era il fiore all'occhiello di tutti coloro che hanno appoggiato l'invasione dell'Iraq. Anche dell'amministrazione Bush, che adesso dovrà spiegare all'opinione pubblica Usa, sempre più ostile al conflitto in Iraq, che la presenza statunitense in Mesopotamia è possibile solo grazie al veto di un premier sempre più solo.