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Cyborg, potere e ordine reticolare

di Paolo Bellini - 12/06/2007

 

 

Esiste un ordine che emerge dalla globalizzazione? Esiste, in particolare, un ordine

politico e planetario in fieri? Evidentemente, come accade in ogni settore dello scibile

umano, la risposta alle questioni qui sollevate dipende dal punto di vista adottato

dall’osservatore. Ora, è chiaro che, in questo caso, la prospettiva migliore non può che

coincidere, coerentemente con l’oggetto in questione, con una visuale globale. Occorre, in

altri termini, osservare il pianeta Terra dall’esterno, andare simbolicamente in orbita e

adottare un punto di vista siderale, collocandosi idealmente al posto dei satelliti artificiali

che affollano lo spazio extraterrestre. Da tale posizione prospettica il pianeta appare, nel

suo insieme, come un’enorme superficie quasi sferica ricoperta per circa i due terzi

d’acqua e per il resto dalle terre emerse. Da questa distanza, ad occhio nudo, la Terra

appare bellissima nell’accostamento dei suoi caratteristici colori: il verde delle foreste, il

marrone chiaro dei deserti, il blu del mare e il bianco dei ghiacciai. Tuttavia, utilizzando

dalla medesima distanza i potenti occhi elettronici di cui spesso i satelliti artificiali sono

dotati, si può facilmente notare come le terre emerse siano ricoperte da un complesso

reticolo di vie di comunicazione (strade, ferrovie, ponti), a cui si aggiunge la rete di

approvvigionamento energetico di superficie, composta da cavi e collegamenti di varie

dimensioni. A tutto questo si deve ancora sommare, per avere un quadro completo, la fitta

rete di cavi e collegamenti invisibili (sotterranei e subacquei) e di onde elettromagnetiche

che avvolge l’intero pianeta. La morfologia di tali reti è di tipo tendenzialmente

aristocratico1. Esse sono caratterizzate da una serie di hub o nodi che hanno, rispetto agli

1 «Se guardiamo a come le connessioni sono distribuite tra gli elementi di una rete, vediamo che le reti di

Watts e Strogaz sono egualitarie, nel senso che le connessioni sono ripartite più o meno equamente. Invece

gli hub, i nodi con un alta concentrazione di connessioni, dominano le reti di Albert e Barabási. Il

meccanismo per cui, con il procedere della storia, i ricchi diventano sempre più ricchi, conduce

immancabilmente ai connettori, … Queste reti dotate di hub, così diverse da quelle di tipo egualitario, si

potrebbero definire aristocratiche, visto che la maggior parte delle connessioni fa capo a pochi elementi» (M.

Buchanan, Nexus, trad. it di L. Serra, Mondadori, Milano, 2003, pp. 139-140).

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altri punti che compongono tali reti, un numero di connessioni molto elevato, per cui buona

parte degli elementi che le compongono non sono connessi direttamente tra loro, ma la

loro connessione passa per gli hub. Ciò rende questi ultimi determinanti per il buon

funzionamento di tali sistemi reticolari. In altri termini, la tipologia delle reti di tipo

aristocratico è quella caratteristica del World Wide Web, quell’ «immensa rete di pagine

web collegate da link ipertestuali, cioè da quegli spazi del Web su cui si clicca per essere

trasportati altrove. … in queste reti pochi nodi hanno tante connessioni. Anzi, il fenomeno

è così accentuato che l’80-90% di tutte le connessioni della rete fa capo a una piccola

percentuale di nodi»2.

Se si osserva, quindi, il mondo dalla giusta distanza emerge dal groviglio reticolare che lo

avvolge, apparentemente caotico se lo si guarda da troppo vicino o invisibile da troppo

lontano, un ordine aristocratico piuttosto evidente. La risposta, quindi, alla prima domanda

può essere considerata affermativa, esiste un ordine morfologico-strutturale della

globalizzazione. Tuttavia il concetto di globalizzazione è troppo vasto e generico, deve

essere maggiormente precisato, diversamente anche l’affermazione precedente

apparirebbe altrettanto generica e quasi ovvia. La globalizzazione è prima di tutto un

fenomeno economico e planetario che ubbidisce alle regole del capitalismo e che è

caratterizzato da una capacità di scambio di informazioni, merci, uomini, denaro e altro

ancora, che rende obsoleti gli Stati-nazione3. In particolare vi è una regola fondamentale

del capitalismo che la globalizzazione tende a conservare e, se possibile, a estendere

all’intero globo terrestre: il profitto. In altre parole, la produzione di un bene qualsiasi

(materiale o immateriale) tende a essere subordinata alla sua capacità di generare,

direttamente o indirettamente, un surplus di capitale, rispetto a quello originariamente

investito4. Ciò significa che l’intero pianeta, dato che la produzione di beni necessita di

energia e di materie prime, tende a essere messo al servizio del capitale, cioè di una pura

2 Op. cit., p. 95 e p. 98.

3 Cfr. J. Rifkin, Economia globale e network commerciali, in Il sogno europeo, trad. it di P. Canton,

Mondadori, Milano, 2004, pp. 183-200.

4 «Nel capitalismo i prodotti assumono la forma generalizzata di merce. Ma la circolazione mercantile non si

connota di per sé in senso capitalistico: ciò significa che la produzione di merci non si determina

necessariamente come produzione di plusvalore. … Lo scambio capitalistico ha invece come motivo

propulsore del movimento il valore di scambio. Chi dispone di una quantità di denaro, il capitalista, acquista

sul mercato merci che gli permettono di ritornare sul mercato con del prodotto da riconvertire in denaro

accresciuto. Il movimento non è semplicemente D-M-D (Denaro-Merce-Denaro parentesi mia), ma D-M-D’:

cioè si conclude con un accrescimento del valore di scambio (Plusvalore, in Dizionario Marx Engels, diretto

da F. Papi, Zanichelli, Bologna, 1983, p. 285).

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astrazione che, tuttavia, ha degli effetti molto rilevanti sull’esistenza di miliardi di esseri

umani e sull’ambiente all’interno del quale essi vivono. Dietro tale sistema economico e

produttivo si nasconde la visione del mondo tipicamente moderna, che mostra ormai tutti i

suoi limiti e che necessita di una radicale trasformazione, forse già in atto.

La modalità moderna di interpretazione della realtà si è, nel corso dei secoli, sostanziata

in alcune ideologie politiche, come il liberalismo5 che ha fatto del mercato e del profitto il

fondamento della sua ragion d’essere e come il comunismo, il fascismo e il

nazionalsocialismo che hanno invece tentato di combattere il sistema capitalistico in nome

del Proletariato (comunismo)6, dello Stato (fascismo)7 o della Razza (nazionalsocialismo)8.

In tutti questi casi, che storicamente hanno anche dato luogo a fenomeni inquietanti come

il totalitarismo comunista e nazista o la dittatura fascista, la modernità ha dispiegato tutto il

suo arsenale, per assestarsi dopo la II guerra mondiale nelle strutture politiche tipiche

delle liberaldemocrazie occidentali. Tutti queste ideologie, anche quando hanno

utopisticamente combattuto il profitto e il capitale, si sono comunque dedicate a una

progressiva colonizzazione industriale dei territori sottoposti al loro dominio, svelando

l’essenza nichilistica della modernità. La globalizzazione è, in questo senso, la forma

compiuta attraverso cui la logica nichilistica si estende a livello planetario. Se per un verso

è quindi vero che il profitto muove il processo di globalizzazione, per un altro la sua

esistenza veicola una volontà di consumo e di annientamento senza precedenti nella

storia dell’uomo. Ora, è la diffusione di tale volontà che, in realtà, articola e determina

l’esistenza degli esseri umani nel mondo globalizzato. Qui si deve intendere con il termine

nichilismo quella volontà di potenza desacralizzante che anima il soggetto moderno e

post-moderno, il quale pretende di ergersi oltre il limite della propria finitudine,

comportandosi come se potesse creare ex nihilo o in nihilo, cioè dal nulla o nel nulla in

senso assoluto. Ciò che conta, in questo senso, non è tanto la maschera che tale volontà

assume, quanto il suo contenuto. Tale contenuto può infatti indossare l’abito politico più

adeguato alle circostanze, colorandosi di rosso o di nero o adottando un sistema

5 P. Barcellona, Il declino dello Stato, Dedalo, Bari, 1998, pp. 83-142 e A. Smith, Ricchezza delle nazioni, a

cura di Anna e Tullio Bagiotti, U.T.E.T., Torino, 2001.

6 Cfr. K. Marx-F. Engels, Manifesto del partito comunista, trad. ti di E. Cantimori Mezzomonti, Einaudi,

Torino, 1983.

7 Cfr. G. Gentile, Origini e dottrina del fascismo, Istituto nazionale fascista di cultura, Roma, 1934 e B.

Mussolini, La dottrina del fascismo, Milano-Roma, 1933.

8 Cfr. A. Hitler, Mein Kampf (La mia battaglia), La lucciola editrice, Albairate (Mi), 1992 e J. Evola, Il mito del

sangue, Hoepli, Milano, 1937.

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economico più o meno liberista, ma resta condizionato da una pulsione tecnoperformativa,

votata a una radicale trasformazione dell’uomo e dell’ambiente che lo circonda. Tale

pulsione consiste nel compimento storico della visione del mondo moderna, fondata sulla

separazione tra soggetto e oggetto. Con ciò non si vuole individuare, è bene precisarlo,

una sorta di causa prima, ma cogliere sinteticamente il contorno, la forma autentica del

contenuto, smascherandone ogni mistificazione ideologica. Se si osserva con attenzione

l’incipit dell’età moderna si può, forse, con maggiore facilità comprendere quanto è stato

affermato. I fenomeni storici e culturali più evidenti, riscontrabili tra il XVI e il XVII secolo,

sono fondamentalmente tre: la nascita dello Stato9, la costituzione della scienza

sperimentale moderna10 e l’affermarsi dell’individualismo politico11 e sociale. Dalla

prospettiva del XX e del XXI secolo si può sicuramente affermare che lo Stato moderno12

come l’individualismo politico13 sono ormai agonizzanti, mentre la scienza sperimentale ha

subito, in alcuni suoi fondamentali presupposti, una trasformazione radicale14. A questi

paradigmi politici e culturali (Stato, individualismo e scienza sperimentale), che hanno

mostrato una certa solidità e resistenza, devono poi essere aggiunti tutti gli altri fenomeni

di tipo economico, ideologico e sociale che hanno subito un processo costante di

mutazione accelerata nel corso della storia moderna e post-moderna. Solo un elemento è

rimasto costante, il progresso scientifico e tecnologico. La civiltà umana è così passata

dalla macchina a vapore ai viaggi nello spazio, dall’osservazione delle stelle attraverso il

cannocchiale ai telescopi astronomici, dalla produzione di energia attraverso i mulini a

vento alle centrali nucleari. Tutto ciò che è stato fatto sembra aver avuto come unico

scopo, se si volesse analizzare la questione da un punto di vista teleologico

desacralizzato, l’accrescimento della potenza del soggetto umano in relazione a se stesso

e all’ambiente che lo circonda. Questo tipo di fenomeno è ciò che si può qualificare come

pulsione tecnoperformativa e ha come sua condizione necessaria quella visione del

mondo, dove la divisione della realtà in soggetto e oggetto è chiara e indiscutibile.

9 Cfr. N. Matteucci, Lo Stato moderno, il Mulino, Bologna, 1997, pp. 15-79.

10 Cfr. P. Rossi, La nascita della scienza moderna in Europa, Laterza, Roma-Bari, 1998.

11 Cfr. J. J. Chevalier, Storia del pensiero politico, trad. it di N. Tonna, il Mulino, Bologna, 1989, Vol II, pp.

167-194 e pp. 243-282.

12 Cfr. M. Hardt – T. Negri, Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, a cura di A. Pandolfi, Rizzoli,

Milano, 2001.

13 Cfr. M. Maffessoli, Il tempo delle tribù. Il declino dell’individualismo nelle società post-moderne, trad. it di

V. Grassi, Guerini, Milano, 2004.

14 Cfr. J. P. Luminet, La segreta geometria del cosmo, a cura di C. Sinigaglia, Raffaello Cortina, Milano, 2004

e P. Davies, I misteri del tempo: l'universo dopo Einstein, trad. it di E. Del Castillo, Mondadori, Milano, 1997.

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Tale visione del mondo conduce all’ordine reticolare in fieri della globalizzazione. Se la

realtà viene considerata, infatti, come divisa tra un soggetto che si concepisce come io

autocosciente e un oggetto che coincide con la rappresentazione del mondo e delle cose

di tale io autocosciente, allora ogni trasformazione possibile di tale oggetto è lecita e, in

linea di principio, auspicabile. L’ordine reticolare della globalizzazione, quindi, è il supporto

materiale e la dimensione spirituale che amplifica, come naturale conseguenza di questa

visione del mondo, la potenza della rappresentazione dell’oggetto e la sua capacità di

essere arbitrariamente trasformato dal soggetto che se lo rappresenta. La globalizzazione

stessa risulterebbe incomprensibile, senza nessun riferimento a un tale ordine che ne è la

condizione necessaria e sufficiente. Inoltre questa globalizzazione può essere interpretata

alla luce della pulsione tecnoperformativa che anima l’ordine reticolare, che tende a una

trasformazione radicale del soggetto stesso e che asservisce al potenziamento e alla

riproduzione di se stessa la totalità delle civiltà umane nei loro vari aspetti economici,

ideologici e culturali. Tale ordine sistemico sta evidentemente sconvolgendo i sistemi

politici, provocando un mutamento senza precedenti nella storia dell’umanità.

Per capire tale mutamento è opportuno, prima di tutto, analizzare la nuova soggettività a

cui l’incessante sviluppo demiurgico dell’età moderna ha dato luogo. Questa può essere

facilmente compresa attraverso l’immagine del cyborg. Letteralmente cyborg è la

contrazione inglese della locuzione cybernetic organism (organismo cibernetico) e

rappresenta una forma di vita umanoide composta da parti biologiche e parti artificiali

(meccaniche, elettroniche ecc), per estensione tale definizione può essere anche usata

per indicare forme di vita animali o vegetali dello stesso genere. Ovviamente tale

immagine, presa alla lettera, si proietta in un prossimo futuro, ma in realtà esprime già

l’esistenza di un nuovo soggetto umano, psichicamente diverso dall’uomo del passato. Se,

infatti, l’ibridazione uomo-macchina in senso materiale, cioè come colonizzazione

tecnologica del corpo umano è solo agli albori, la trasformazione della sua forma mentis si

trova invece in uno stadio assai avanzato, di cui è già possibile misurare gli effetti. Questa

trasformazione si mostra con chiarezza fin dalla fine della seconda guerra mondiale,

quando la civiltà umana è definitivamente entrata nell’epoca post-moderna. Da questo

punto in poi si è manifestata con grande evidenza la progressiva sparizione dell’ambiente

naturale dal processo di formazione psichica di ogni individuo, specialmente nelle società

tecnologicamente avanzate. Ora, l’ambiente di riferimento all’intero del quale il soggetto

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matura e forma le categorie di interpretazione del reale, come la sua modalità di stare al

mondo, individuando i propri bisogni e desideri, funge da specchio dove egli scopre se

stesso e la propria interiorità15. Di conseguenza, la radicale trasformazione dell’ambiente

di riferimento che passa da una dimensione paranaturale, a una ad alta tensione

tecnologica e artificiale, produce evidentemente una nuova soggettività di tipo cibernetico

e tecnosensibile16. In particolare gli strumenti di comunicazione di massa, i computer, gli

apparati meccanici ed elettronici, come la velocità di spostamento e di comunicazione

globale, insieme a ogni altro componente del sistema tecnologico planetario non possono

essere considerati alla stregua di semplici mezzi, dotati di una loro intrinseca neutralità,

sono invece parte costitutiva di una soggettività nuova che da tali mezzi è stata incubata

durante tutta la seconda metà del XX secolo. Nulla è più come era prima, tutto è cambiato

e da quel fitto reticolo di strade, campi elettromagnetici, cavi di ogni genere, ponti, ferrovie

e autostrade virtuali è ormai emerso il nuovo soggetto post-moderno, il simbionte17

denominato anche cyborg. In particolare, si possono osservare alcune fondamentali forme

a priori attraverso cui tale soggetto rappresenta la realtà, gli oggetti che la compongono e

il proprio orizzonte relazionale (rapporto con gli altri soggetti) nelle sue componenti

razionali ed emotive. Tali forme sono:

1) Velocità.

2) Performance.

3) Distorsione dello spazio-tempo.

4) Tecnoemotività.

5) Controllo.

6) Uniformità.

7) Assorbimento.

15 Questa immagine suggerisce un’estensione filosofica e simbolica del rapporto con lo specchio

nell’interpretazione psicoanalitica elaborata da Lacan. Qui lo specchio non è il luogo originario di

riconoscimento dell’io, ma l’ambiente di riferimento all’interno del quale il soggetto, una volta riconosciutosi

come io, matura le proprie convinzioni e le forme mentali attraverso cui interagisce con la realtà e attraverso

cui si rappresenta il mondo che lo circonda. Si determina così una relazione dinamica di mutua dipendenza

tra soggetto e ambiente, dove il cambiamento di un termine produce degli effetti sull’altro in modo tale

tuttavia che non possa mai essere individuato con certezza, da parte del soggetto che in tale dinamica

relazionale è immerso, un prima e un dopo o una relazione di causa ed effetto unidirezionale. Cfr. J. Lacan,

Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’ Io in Scritti, a cura di G. B. Contri, Einaudi,

Torino, 2002, vol. I.

16 Cfr. P. Bellini, Il cyborg, in Cyberfilosofia del potere. Immaginari, ideologie e conflitti della civiltà

tecnologica, Mimesis, Milano, 2006.

17 Cfr. G. O. Longo, Il simbionte. Prove di umanità futura, Meltemi, Roma, 2003.

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La velocità si concretizza nella vertiginosa rapidità attraverso cui le macchine permettono

al soggetto tanto di muoversi e comunicare quanto di eseguire determinati compiti

assegnatigli. In questo senso internet è un esempio evidente di velocità iperbolica di

movimento, esecuzione e comunicazione all’interno della rete mediatica. La performance

è, invece, la generale potenza di esecuzione e di comando che gli strumenti tecnologici

permettono di ottenere a ogni livello del relazionarsi tra soggetto e mondo. La distorsione

dello spazio-tempo consiste, da un punto di vista soggettivo, in una contrazione dello

spazio e in una dilatazione del tempo che la tecnologia induce nella coscienza. Per quanto

riguarda lo spazio esteriore è facile osservare come le distanze, attraverso il

perfezionamento a tutti i livelli dei mezzi di comunicazione, si siano fortemente ridotte

rispetto al passato. Per ciò che concerne lo spazio interiore le macchine inducono un tale

effetto di attrazione e di assorbimento mediatico da lasciare un margine assai scarso

all’esplorazione introspettiva e all’espressione della propria interiorità. Per quanto riguarda

il tempo, esso si dilata a dismisura, tanto in senso coscienziale, quanto in senso storico.

Per la coscienza assorbita nel sistema comunicativo globale, infatti, l’interazione con le

macchine produce uno smarrimento temporale, un’intuizione diversa del tempo dove molte

ore misurate oggettivamente con l’orologio, sembrano alla coscienza, assorta nella

relazione con la macchina, lo scorrere di pochi minuti. In senso storico, parimenti, il ritmo

accelerato di crescita tecnologica permette di far esperire al soggetto post-moderno nello

spazio di pochi anni, quello che nel passato veniva sperimentato nello scorrere di interi

secoli. Ovviamente, se si osserva tale distorsione dello spazio-tempo da un punto di vista

oggettivo, ovvero da quello di un osservatore esterno, emergono forme inverse, ovvero la

dilatazione dello spazio e la contrazione del tempo. Da tale prospettiva appare, infatti, un

soggetto che per mezzo delle macchine, in particolare di quelle informatiche, ha molto più

spazio a disposizione, cioè può andare potenzialmente ovunque e può viaggiare

attraverso la rete mediatica all’interno di miriadi di luoghi virtuali diversi. Il tempo, invece,

visto da questa prospettiva, sembra contratto, nel senso che quell’accadere e comunicare

che avviene a un ritmo vertiginoso rispetto al passato, rappresenta in senso oggettivo una

contrazione temporale. In ogni caso comunque, ciò significa che la civiltà tecnologica

segna una rottura percettiva con il tempo e lo spazio che erano vissuti classicamente

come assoluti e immutabili in senso newtoniano18. Possiamo giustamente affermare che le

18 «Il tempo assoluto, vero, matematico, in sé e per sua natura senza relazione ad alcunché di esterno,

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forme post-moderne dello spazio e del tempo sono esperite nel medium tecnologico in

senso relativo, per analogia con la celebre teoria della relatività di Einstein19. La

tecnoemotività è la forma dell’esperire emozionale mediata dalle macchine e dagli

strumenti di comunicazione ad alta tecnologia (cinema, televisione, computer ecc.). Infatti,

attraverso la costante interazione con le macchine, il soggetto post-moderno è esposto a

un eccesso di stimolazioni psichiche e sensoriali, che inevitabilmente conducono a una

generale incapacità di provare delle emozioni profonde e durature, capaci di sopravvivere

alle mode. Inoltre, tale processo stimolativo costante produce un’assuefazione agli eccessi

sensoriali, che induce una sorta di narcosi psichica di cui ciascuno è incapace di privarsi e

a cui la civiltà post-moderna tributa i più grandi sforzi, al fine di controllare la popolazione

mondiale. La forma della tecnoemotività produce inoltre una sempre maggiore difficoltà

nella percezione del meraviglioso, di ciò che desta stupore, poiché l’abitudine a questa

ipertrofica stimolazione tecnologica rende il soggetto più duro e insensibile, più freddo e

simile alle macchine. Il controllo riguarda quella forma tipica di ogni tecnologia cibernetica,

il cui funzionamento dipende da una ferrea logica del conoscere e del poter controllare, in

qualsiasi momento, il mal funzionamento delle macchine inserite all’interno di un sistema

reticolare globale. Per quanto tale sistema sia continuamente insidiato da fluttuazioni

caotiche e incontrollabili, esso si fonda sulla possibilità di risalire con un certo grado di

certezza al tipo di operazioni eseguite, all’operatore, al tempo e al luogo e in questo

senso, nel rapporto con il soggetto, la macchina individua la forma del controllo.

L’uniformità riguarda invece il funzionamento delle macchine che, in una certa misura e in

base alla tipologia, obbediscono a procedure computazionali o meccaniche, producono

cioè un linguaggio universale a cui ogni individuo deve adeguarsi se intende servirsi degli

strumenti tecnologici. L’assorbimento, in ultimo, è quella forma della potenza tecnologica

che tende sia ad appropriarsi di funzioni proprie del soggetto come la memoria, l’abilità

aritmetica ecc., sia alla veicolazione esclusiva della cultura e del sapere, in modo tale che

questi ultimi tendano a non essere più praticabili al di fuori di un contesto di riferimento ad

alta tecnologia.

scorre uniformemente, e con altro nome e chiamato durata; … Lo spazio assoluto per sua natura senza

relazione ad alcunché di esterno, rimane sempre uguale e immobile» (I. Newton, Principi matematici di

filosofia naturale, a cura di A. Pala, U.T.E.T., Torino, 1989, pp. 105-106).

19 Cfr. P. Davies, I misteri del tempo: l'universo dopo Einstein, op. cit.

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L’emergere sulla scena storica di questa nuova soggettività, fa assomigliare la rete

planetaria che la produce a una sorta di Grande Madre20, che se per un verso genera i

suoi nuovi figli, per un’altro impedisce loro di raggiungere la piena consapevolezza di ciò

che effettivamente sono. Si può così rispondere alla seconda domanda posta all’inizio di

questa trattazione: esiste un ordine politico e planetario in fieri e coincide con l’estendersi

di una civiltà materna e policentrica. In questo tipo di civiltà, condizionata da un ordine

reticolare la cui morfologia è di tipo aristocratico, prevale un sistema politico in cui il potere

coincide con la capacità di garantire agli individui che gli sono assoggettati un consumo

continuo di risorse materiali e spirituali o una promessa di accesso futuro a tali risorse che

vengono postulate come virtualmente illimitate o, al limite, un esercizio brutale della forza

che soffochi ogni genere di ribellione. Da un punto di vista genealogico si può affermare

che, dalla seconda metà del XX secolo in poi, vi è stato un progressivo estendersi

planetario di una civiltà fondata sul consumo21, sulla spettacolarizzazione della realtà22 e

sullo sviluppo tecnologico23 e che tale processo ha avuto come sua caratteristica fondante

la produzione di un ordine reticolare. Tale civiltà può essere efficacemente interpretata

attraverso il simbolismo della Grande Madre non solo perché ha un comportamento

analogo, ma anche perché ha un ordine morfologico e strutturale di tipo reticolare. Se si

considerano, infatti, tutti i significati simbolici che sono associati alla rete, come immagine

del divenire, del destino e di un femminile morbido, avvolgente e labirintico24, emerge

esattamente il quadro di un materno dove gli opposti sono contenuti in una reciproca

20 «Le grandi dee madri sono state tutte dee della fecondità: Gaia, Rhea, Era, Demetra in Grecia, Iside in

Egitto e nelle regioni ellenistiche; Ishtar presso gli Assiro-Babilonesi; Astante presso i Fenici, Kalî presso gli

Indiani. Nel simbolo della madre si ritrova la stessa ambivalenza presente nei simboli del mare e della terra:

vita e morte sono correlate. Nascere significa uscire dal ventre della madre, morire è ritornare alla terra; la

madre è la sicurezza della protezione, del calore, della tenerezza e del nutrimento, ma è anche il rischio di

oppressione nell’ambiente ristretto e il pericolo di soffocamento nel prolungamento eccessivo della funzione

di nutrice e di guida: la madre diventa allora la genitrice che divora il futuro genitore, la generosità che

cattura e castra» (J. Chevalier - A. Gheerbrant, Madre, in Dizionario dei simboli, trad. it. di M. G. Margheri

Pieroni, L. Mori e R. Vigevani, Bur, Milano, 1994, Volume II p. 52).

21 Cfr. H. Marcuse, L’uomo a una dimensione: l'ideologia della società industriale avanzata, trad. it di L.

Gallino e T. Giani Gallino, Einaudi, Torino, 1997.

22 Cfr. G. Debord, La societa dello spettacolo, trad. it di P. Salvadori e F. Vasarri, Baldini & Castoldi, Milano,

2001.

23 Cfr. P. Bellini, Cyberfilosofia del potere. Immaginari, ideologie e conflitti della civiltà tecnologica, op. cit.

24 G. Durand, Le strutture antropologiche dell’immaginario, trad. it. di E. Catalano, Dedalo, Bari, 1991, pp.

322-324.

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indifferenza, in una maternità uroborica25. Tale simbolismo è assolutamente appropriato

alla dimensione reticolare di questo tipo di civiltà, poiché il potere che la anima ha queste

caratteristiche declinandosi, in prevalenza, in senso femminile e materno. A tal proposito è

sufficiente considerare, per esempio, l’aspetto consumistico veicolato dalla ragnatela

mediatica che circonda ciascun individuo. Tale fenomeno tende, non a caso, ad avere due

fondamentali caratteristiche: la spettacolarizzazione dell’abbondanza di beni di ogni

genere e la narcosi collettiva che ne consegue26. Nel primo caso si manifesta l’aspetto

benevolo, produttivo e curativo dell’immagine archetipica della Grande Madre, nell’altro il

suo aspetto divorante e nefasto che non permette ai soggetti coinvolti di raggiungere la

piena autocoscienza di ciò che sono divenuti. Tale ordine reticolare di tipo materno si lega

indissolubilmente con il nichilismo, a cui si è fatto riferimento nelle pagine precedenti. Si

tratta, cioè, di un enorme sistema di potere che sembra avere come unico scopo

l’accrescimento indefinito della propria potenza, attraverso la trasformazione costante

dell’ambiente naturale e la sua mutazione in un gigantesco Leviatano tecnologico

planetario. I suoi alfieri e alleati sono le grandi corporations che condizionano l’economia

mondiale, gli Stati più grandi e potenti che gestiscono l’ordine poliziesco globalizzato e la

rete mediatica che uniforma i gusti e le aspettative di miliardi di individui. In questo senso il

potere politico assume una logica policentrica, nonostante sia votato a unico progetto

sistemico di dominio e controllo globale. Tale ordine politico presenta, tuttavia,

un’inquietante criticità che deve essere necessariamente superata, se ciò non dovesse

accadere, esso sarà sempre di più una minaccia per la conservazione della vita

autocosciente sul pianeta. Questo pericolo dipende dal suo connubio con l’atteggiamento

nichilistico della rete-Grande Madre, che non può più essere sostenuto dal supporto

materiale su cui esercita la propria potenza distruttiva. A tale scopo l’unica prospettiva

praticabile sembra essere la costituzione di un Impero mondiale che superi l’ordine

materno della rete, senza rinunciare alle sue potenzialità tecnologiche. Qui entra in gioco il

nuovo soggetto, il cyborg, poiché è l’unica forza in grado di rompere la circolarità

annichilente di questo sistema politico globale. Tale creatura che vive già dentro gli

25 L’Uroboros è il simbolo per eccellenza dell’unione dei contrari, intesi come elementi di una totalità

indistinta e indifferenziata, in unione al materno rappresenta, in un ottica psicologica, l’ìnconscio personale e

collettivo contro di cui la coscienza deve lottare per venire alla luce. Cfr. E. Neumann, Storia delle origini

della coscienza, trad. it di tr. it. di L. Agresti, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1978, pp. 27-103.

26 Cfr. . P. Bellini, Cyberfilosofia del potere. Immaginari, ideologie e conflitti della civiltà tecnologica, op. cit.

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individui globalizzati, attende solo di essere evocata e di acquisire la coscienza propria del

suo status. A tale scopo ogni individuo dovrebbe smettere, prima di tutto, di credere

passivamente alle cosiddette verità spacciate all’interno della dimensione mediatica, dove

consuma la propria esistenza. Deve, cioè, interiorizzare il principio secondo cui: «… anche

la realtà più evidente, indiscussa, comune a tutti, di cui nessuno dubita, come quella del

mondo esterno o dell’io, non può essere affermata se non con un atto di credenza; così

speranza, credenza, certezza o realtà costituiscono tre fasi tra cui i confini scompaiono,

che trapassano, si spostano, fluiscono l’una nell’altra»27. Una volta che tale convinzione è

stata interiorizzata, è possibile procedere alla trasformazione della Grande Madre,

nell’Impero planetario, disgiungendo tecnologia e nichilismo. Tale Impero, a cui qui si

accenna solo sinteticamente, dovrebbe avere come scopo fondamentale il superamento

del consumismo, dell’economia fondata sul capitale e dei conflitti etnici che affliggono il

genere umano, attraverso una sacralizzazione della tecnologia fondata sulla salvaguardia

della vita e della diversità. Si tratta di un’opera ambiziosa la cui riuscita non è scontata, né

certa, un’opera che richiede coraggio e scelte dolorose, che vanno da un’ibridazione

consapevole tra uomo e macchina, al totale sovvertimento delle ideologie politiche

dominanti. Non bisogna pensare, tuttavia, a una sorta di direttorio globale con un forte

carattere ideologico, immagine che invece fotografa sul piano della prassi politica la

situazione contemporanea, piuttosto con il termine Impero si intende definire un sistema di

potere assai diverso da quanto è stato tratteggiato dalle varie ideologie moderne.

L’Impero, infatti, dovrebbe rappresentare una metabolizzazione e trasformazione del

percorso politico della modernità, non una sua allegoria negativa; una possibile strategia di

salvezza, intesa come capacità di affrontare un destino innescatosi nel XV secolo e che

nel XXI sta concludendo la sua parabola storica. In questo senso, solo per delinearne,

alcuni tratti essenziali, se si vuole alcuni postulati determinanti per una sua corretta

edificazione, l’Impero dovrebbe essere caratterizzato da una dialettica tra Autorità e potere

di ordine assai diverso da ciò che lo precede. Dal punto di vista dell’Autorità esso sarebbe

caratterizzato dal superamento del concetto di sovranità popolare ovvero dalla presa d’atto

della scomparsa storica del popolo, come entità omogenea e politicamente significativa. A

questo concetto vuoto e ormai insignificante, andrebbe sostituito il termine più pregnante

di vita come luogo di legittimazione del potere, cioè in quanto Autorità. Per ciò che

27 G. Rensi, La filosofia dell’assurdo, Adelphi, Milano, 2002.

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marzo 2007 anno II n°3

concerne il potere, invece, esso andrebbe riorganizzato secondo un sistema concentrico,

che dal suo centro fondativo (l’Autorità) si irradia verso la periferia secondo un certo ordine

gerarchico. Quest’ultimo a sua volta, dipenderebbe, non più dalla forza dei singoli Stati,

ma da quella di gruppi omogenei a forte valenza identitaria, in grado si sostituire

efficacemente la scomparsa della logica individualista moderna. Nell’Impero, per esempio,

non avrebbe più senso parlare di diritti/doveri individuali, ma solo di diritti/doveri di gruppi a

cui i singoli individui fanno riferimento. Purtroppo, i limiti e lo scopo di questo breve saggio

non permettono di approfondire ulteriormente la questione. È utile tuttavia ricordare ai

lettori, in particolare a coloro i quali considerano quest’ultima parte una vera e propria

violazione di dogmi quasi impronunciabili come sovranità popolare e diritti individuali, che

questi non esistono già più28 e che l’umanità naviga pericolosamente sul limitare di un

nulla divorante, di un abisso che potrebbe in un futuro non troppo remoto, inghiottirla

senza nessuna speranza di salvezza.

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28 Di fatto i diritti individuali cari alle logiche liberaldemocratiche vengono effettivamente rispettati solo

quando si appartiene a un determinato gruppo sociale. Anche nel cosiddetto mondo occidentale, dove

formalmente tali diritti vigono per tutti, in realtà essi possono essere effettivamente esercitati solo dai membri

dei gruppi dominanti, per tutti gli altri valgono spesso regole assai diverse, improntate a una logica della

brutalità e dell’esercizio della forza. È sufficiente osservare la concretezza dell’esistenza individuale in

alcune periferie o in alcune zone particolari di città come Napoli o Palermo, per constatare direttamente la

veridicità di quanto è stato affermato.