Chi nasce sappia che ormai è merito dell’anestesista e del medico
di Alessandra Di Pietro e Paola Tavella - 12/06/2007
S
abato, in piazza Navona, mentre cercavamodi scampare al parapiglia con la
bambina Agata in braccio, ci è apparsa Artemide,
Dea delle femmine, del parto e dei
piccoli. Era furente, e pensavamo volesse
rimproverarci per aver portato una lattante
alla manifestazione No Oil. Macché. Voleva
comunicarci che intende colpire con frecce
la zona della commissione Affari sociali di
Montecitorio dove hanno appena licenziato
un disegno di legge a tutela della partoriente
e del bambino a Lei sommamente sgradito.
Il momento dell’apparizione non ci sembrava
opportuno ma, appena dato ascolto
ad Artemide, subito un libraio ha alzato la
saracinesca e ci ha salvate. Onoriamo dunque
il debito con la divinità annunciando
che per placare Artemide, quando il ddl
verrà discusso in Aula, come minimo dovrebbe
alzarsi qualcuna e far notare che il
parto fisiologico è relegato in un apposito
paragrafo, come se il parto non fosse fisiologico
per definizione. E magari qualcun altro
a dire che è strampalato affermare “compatibilmente
con le indicazioni mediche deve
essere evitata l’imposizione di procedure e
di tecniche che risultino non rispondenti alla
volontà della partoriente”, perché i casi
sono due: o si ritiene che ci siano matte ostinate
a fare di testa loro nonostante le indicazioni
mediche, oppure accade di frequente
che si impongano tecniche e procedure
contro la volontà della partoriente. La Dea,
che non ha un carattere facile, disapprova
parecchio che nessun ruolo rilevante sia affidato
alle ostetriche sue figlie, custodi del
sapere sulla nascita. In altri paesi succede
esattamente il contrario, in Olanda un terzo
delle donne partorisce in casa, e in Gran
Bretagna sono attivi progetti di quartiere
per sostenere quelle che vogliono partorire
a domicilio con una midwife sempre a disposizione:
è sicuro, costa meno alla collettività,
abbassa il numero di cesarei e accresce
quello dei bambini allattati al seno,
quindi più sani. Ma soprattutto questo disegno
di legge è incentrato sull’uso dell’anestesia
epidurale, e quindi come potrebbe lasciar
spazio alla fisiologia, alla nascita come
evento naturale? L’epidurale consiste nell’infusione
di anestetico nella dura madre,
la membrana che riveste il midollo spinale.
Ci vogliono aghi, tubi, anestesista, chirurgo
all’erta in caso di cesareo (il rischio aumenta).
La madre perde mobilità e libertà di
scegliere la posizione, sente un’eco lontana
delle contrazioni, dipende dalle istruzioni
dei medici per le spinte, viene messa insomma
in una posizione passiva, e tra l’altro è
inevitabile che il bambino ne esca un po’
rincoglionito, ormai ci sono studi (australiani)
che dimostrano come i nati sotto anestesia
facciano molta più fatica a succhiare dal
seno. Non siamo contrarie all’epidurale in
sé – Ale l’ha usata per il suo primo figlio e
le è stata utile – tantomeno alla gratuità. Ma
questo andazzo ci sembra una spia eloquente
del trionfo della medicalizzazione, che va
di pari passo alla confusione delle madri, le
quali – ci dicono le nostre amiche ginecologhe
– talmente non capiscono più nulla che
arrivano a chiedere di poter fare epidurale
e parto in acqua contemporaneamente.
Mettere l’accento sulla sofferenza vuole dire
farne l’esperienza più significativa del
parto e spaventare tutte, mentre miliardi di
donne che non sono né masochiste né arretrate
possono testimoniare che quel tipo di
dolore si sopporta e poi si dimentica, perché
non segnala malattia ma al contrario
annuncia grande gioia e non lascia tracce. E
poi, come spesso accade nella vita delle
femmine, molto e a volte tutto dipende dalle
relazioni e dal modo in cui si pensa a se
stesse. Se durante la gravidanza non è la
paura a farla da padrona, non è l’ombra della
patologia, bensì la fiducia nel proprio
corpo e in un buon rapporto con l’ostetrica,
le cose vanno bene. Tranne casi eccezionali,
le statistiche ci dicono che gli incidenti
perinatali si verificano per mancanza di attenzione,
ed è più facile essere prive di attenzione
in corsia piuttosto che in una casa
del parto con un’ostetrica, un’amica, il padre
del nascituro. Ascoltando le storie di
nascita delle altre, ci siamo rese conto che,
quando la narrazione è centrata solo sul dolore,
e vengono raccontate sofferenze insopportabili,
quasi sempre il travaglio è avvenuto
senza sostegno, compagnia, conforto,
accoglienza, assistenza, agio. Promuovere e
mettere al centro l’epidurale di massa – e
non un uso selettivo, ragionevole, opportuno
dell’anestesia – significa far ruotare il
parto intorno all’evento anestetico, e quindi
indirizzare la maggior parte delle partorienti
verso l’ospedale, a dispetto del lavoro
trentennale fatto da ginecologhe, ostetriche,
consultori, luminosi pionieri come Lorenzo
Braibanti, per adeguare la realtà italiana
non a un’ingenua e imprudente utopia, ma
alle direttive dell’Oms. E significa anche
sancire che il parto è una scena passiva per
le donne, e non attiva. Che non siamo abbastanza
“competenti”, “qualificate”, “capaci”,
“responsabili”, “forti” per far nascere i
nostri bambini e scegliere come. Tutto ciò
che scriviamo è nella storia delle donne di
sinistra, e ci rimane quasi incomprensibile
come mai molte delle deputate che abbiamo
votato, e che fino a qualche anno fa sostenevano
queste stesse idee, oggi ci tradiscano
anche su questo. Non sono certo le
evidenze scientifiche sui vantaggi dell’epidurale
ad averle convinte, poiché gli studi e
l’esperienza dicono che i rischi ci sono, in
molti casi perfino superiori ai benefici. Ora
non vorremmo che a protestare per questo
disegno di legge restino soltanto le ostetriche,
fra le quali ce ne sono alcune già pronte
a scendere in piazza, anche se non perdono
la fiducia di essere ascoltate e ottenere
norme condivise. Così, quando il ddl arriverà
in Senato, la Dea Artemide, alla quale
piaceva esser doppia, potrebbe prendere
possesso di Livia Turco e Anna Finocchiaro,
due semidee consapevoli che quando è
necessario si possono fare alleanze ben oltre
le divisioni tradizionali della politica, e
non lasciare il nostro patrimonio indifeso.