Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / No comment. La politica statunitense

No comment. La politica statunitense

di Evgenij Primakov* - 13/06/2007



La scorsa settimana, a Vienna, ha avuto luogo il 25o convegno annuale del Inter Action Council. Il Consiglio riunisce 30 ex capi di Stato e di governo “per rafforzare la cooperazione internazionale e l'azione in ambiti prioritari: pace e sicurezza globale, rilancio dell'economia mondiale e princìpi etici universali”. [L'Inter Action Council fu istituito nel 1983 come organizzazione internazionale indipendente, al fine di sfruttare l'esperienza, le energie ed i contatti degli ex dirigenti nazionali per il bene dell'umanità – Nota dell'Editore]

Non è la prima volta che partecipo a questo convegno annuale, ma debbo ammettere che mai prima d'ora aveva sentito commenti così unanimi ed inequivocabili su una questione fondamentale: la politica statunitense. Quelli che seguono sono i passaggi più importanti d'una discussione durata tre ore e mezza.
A introdurre la discussione – ciascun tema è presentato da un relatore, indicato anzitempo – era Walter Mondale, ex vice-presidente degli Stati Uniti d'America. Nel dargli la parola, Jean Chrétien, ex primo ministro del Canada, ha dichiarato: «Molti non hanno capito esattamente il ruolo degli USA nel mondo moderno. Gli Stati Uniti possiedono l'economia più potente e capeggiano gli sforzi internazionali rivolti a numerosi e pericolosi problemi. Qualsiasi cosa avvenga negli USA, colpisce tutti noi. Sono sicuro che quando torneremo a casa, sapremo più di quanto sapevamo prima di quest'incontro».

Mondale, tra le altre cose, ci ha raccontato che non è solo grazie alla loro potenza se, dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli USA sono divenuti la nazione dominante, ma anche perché gli altri paesi credevano nella buona volontà e nel buon senso nordamericano. «I dirigenti statunitensi credevano che una pace lunga e duratura avrebbe richiesto la creazione di nuove istituzioni, aperte alla partecipazione di altre grandi nazioni. Tali sforzi si rivelarono un successo, dato che condussero ad una pace durevole, alla vittoria della Guerra Fredda, nonché alla più impressionante crescita globale mai registratasi nella storia. Ma recentemente la situazione è cambiata. La rivoluzione radicale neoconservatrice, andata a discapito della politica estera multilateralista, ha generato conseguenze ed implicazioni disastrose. La politica statunitense ha cominciato ad essere modellata da individui come Rumsfeld, Cheney, Wolfowitz e Feith. I neoconservatori vedevano nella potenza militare nordamericana un'opportunità per allargare la propria influenza.
«Alcuni di questi figuri s'autodefiniscono “idealisti”. Sono convinti che, facendo ricorso alla forza militare, riusciranno a raggiungere grandi risultati come, per esempio, la diffusione della democrazia [nel mondo]. Ciò può essere definito “imperialismo democratico”. Altri, invece, ritengono che il mondo moderno sia molto cattivo, sicché non ci si potrebbe affidare soltanto alla diplomazia, alle alleanze ed ai trattati. La sola cosa che conta è la forza. Ne abbiamo sentite di cose del genere, tipo “O con noi o contro di noi” eccetera. Costoro vogliono combattere il “Male”, ed i loro argomenti sono spesso intrisi di connotazioni religiose. L'accusa standard che lanciano ai propri critici è quella di non avere saldi princìpi morali.

«Un altro fattore importante è l'ignoranza. Quando si fecero i preparativi per la guerra all'Iràq, i nostri amici sparsi per il mondo, come il primo ministro Chrétien, ci consigliarono di studiare più profondamente le conseguenze immediate d'una guerra del genere, nonché d'analizzare le reali minacce. I suoi suggerimenti, al pari di quelli giunti da moltissimi altri, furono rifiutati. L'opinione della “Vecchia Europa” fu ignorata, per non menzionare quella degl'ispettori dell'ONU e degli esperti del Dipartimento di Stato, della CIA e d'altre agenzie di sicurezza o d'intelligenza. In un memorandum destinato al proprio governo, un agente britannico osservò che gli USA stavano manipolando i fatti per adattarli alla loro politica.

«Gli Statunitensi, che vogliono credere nel proprio governo (specialmente quando sono in guerra), non si fidano più. Alle recenti elezioni congressuali, gli Statunitensi hanno mostrato chiaramente la propria disapprovazione verso la politica bellica. Dopo la consultazione popolare, la Commissione Baker-Hamilton ha preparato un rapporto basato sulle opinioni di numerosi esperti. La relazione, che riguarda l'impegno militare degli USA in Iràq ed il rilancio delle relazioni con i nostri avversari regionali (Iràn e Siria) ha avuto un impatto enorme negli Stati Uniti. Ma l'amministrazione ha ribadito che non intendeva cambiare rotta e nulla sarebbe mutato.
«Nel frattempo, l'opinione pubblica statunitense ha voltato le spalle alla politica di Bush in Iràq. Oggi, persino rappresentanti delle Forze Armate – alcuni in pensione ed altri ancora in servizio attivo – stanno esprimendo il proprio disaccordo con quella politica. Molti uomini stanno lasciando il servizio, i militari hanno problemi nell'acquisizione di manodopera, il morale declina. Una numerosa delegazione di repubblicani moderati si sono segretamente (o almeno così pensavano) incontrati col Presidente per chiedergli cambiamenti urgenti. Andrebbe detto che diversi neoconservatori hanno dovuto lasciare la politica: Bolton, Feith, Rumsfeld, ed ora anche Wolfowitz. Sembra che Condoleeza Rice stia conducendo una diplomazia più trasparente, mentre Robert Gates, il nuovo segretario alla difesa, sta raccogliendo numerosi consensi. Pare cominci a sostenere Condoleeza Rice, secondo la quale bisogna dare la precedenza alle vie diplomatiche.

«Non si può tacere come la campagna irachena stia consumando risorse che sarebbero state utili per affrontare altri problemi.
Vi sono alcune sfide formidabili, che si possono affrontare soltanto unendo gli sforzi. La sfida numero uno è il terrorismo nucleare, una minaccia che sta crescendo di pari passo con la proliferazione delle armi nucleari. Un'altra è la crisi energetica. Io credo che gli Stati Uniti, al pari di molti altri paesi, dovrebbero impegnarsi assai per sviluppare fonti energetiche alternative e tecnologie per il risparmio energetico. Gli USA dovrebbero trovare un modo più efficace per dialogare con gli Arabi e la comunità islamica. La militarizzazione di quel dibattito, l'idea che il problema dell'estremismo islamico si possa risolvere soltanto con le bombe o i proiettili, sta giocando a favore degli estremisti stessi, incapaci di formulare argomenti ragionevoli.
Dobbiamo trovate una via d'uscita dall'Iraq, conservando però la responsabilità su quel paese. Ed io credo che gli Stati Uniti dovrebbero essere visti come un paese impegnato ad assicurare la pace tra Israele, Palestina e loro vicini.
«Gli USA vivranno presto un'elezione presidenziale e, di fatto, il processo elettorale è già cominciato. Chiunque vinca – democratici o repubblicani – vi saranno dei mutamenti. Dico questo perché sono convinto che le idee neoconservatrici hanno fallito, e quasi tutti negli USA se ne sono accorti».

Mondale ha chiuso la propria introduzione dichiarando: «Oggi ho criticato il mio paese. Ha commesso un grande errore, ma io amo il mio paese e so che lo correggerà. Non sono solo gli Statunitensi ad aver bisogno di USA in salute: lo stesso vale anche per il resto del mondo».
Dopo di che, vi sono state domande e commenti.
Helmut Schmidt, ex cancelliere federale della Germania: «Non sono sicuro che la nuova amministrazione comprenderà come gli Stati Uniti non possano fungere da centro unipolare. Quanto dovremo aspettare perché gli Statunitensi la smettano d'insegnare a tutti come devono vivere?».
George Vassiliou, ex presidente della Repubblica di Cipro: «Non crede sarebbe importante raggiungere un accordo con l'Iràn, senza il quale sarebbe difficile fare qualsiasi previsione sul futuro dell'Iràq? Qui non stiamo parlando del Vietnam, dove dopo il ritiro delle truppe statunitensi l'ordine fu comunque garantito, essendoci una forza ben organizzata, cioè il Partito Comunista».

Richard von Weizsäcker, ex presidente della Germania: «Noi vogliamo conservare i legami transatlantici. Durante la Guerra Fredda avevamo la NATO. Ma la NATO è un'alleanza difensiva ed ha perduto il proprio nemico. Nell'ambito della NATO, Unione Europea e Stati Uniti hanno un comune campo di battaglia: l'Afghanistan». (A questo punto è intervenuto H. Schmidt: «L'Afghanistan è fuori dalla zona d'influenza della NATO, definita al momento della fondazione di quell'organismo»). Ancora Von Weizsäcker: «Davvero la NATO è la sede migliore per riunire, in prospettiva, Polonia, Australia, Georgia e Giappone?».

Malcolm Fraser, ex primo ministro dell'Australia: «Vorrei fare una domanda sulla corsa agli armamenti. Sarebbe possibile scartare i piani di costruzione d'uno scudo missilistico statunitense? Credo ch'esso rappresenterebbe un errore molto grave. Tecnicamente parlando, non penso che simili armamenti abbiano alcuna relazione con la difesa nazionale, neppure per paesi come gli USA».
Jim Bolger, ex primo ministro della Nuova Zelanda: «Fino a quando gli USA crederanno d'essere la sola potenza sul pianeta? Che dire di Cina, India e Russia? Gli Statunitensi non hanno criticato granché Israele quando ha lanciato bombe a grappolo sul Libano – ciò non ci dice nulla?».

Thomas Axworthy, professore all'Università di Toronto (Canada), membro associato del Consiglio: «Non voglio utilizzare il termine “coup”, inusuale per la storia statunitense, ma dov'erano i democratici quando i neoconservatori cominciarono a formulare la loro politica? La democrazia non è forse un sistema di controlli e bilanciamenti destinati a vanificare qualsiasi complotto?».
Vi sono stati molti altri interventi, tutti del medesimo tenore.
Come si suol dire: “No comment”.

(traduzione di Daniele Scalea.
Originale in inglese: http://mnweekly.ru/world/20070531/55254983.html
)

* Evgenij Maksimovič Primakov è stato direttore dell'SVR (1991-1996), ministro degli esteri (1996-1998) e primo ministro (1998-1999) della Federazione Russa.

Fonte originale: “The Moscow News Weekly”, nr. 21/2007
Fonte della traduzione:
http://www.eurasia-rivista.org