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Libertà d’opinione e democrazia: vita d’autore….

di Romolo Gobbi - 14/06/2007

Fonte: romologobbi


Pensare che per la libertà d’opinione sia sufficiente una dichiarazione costituzionale, è uno dei tanti inganni della democrazia, a meno che si creda che la libertà di opinione sia la libertà di pensare quel che si vuole nell’intimità del proprio cervello. Ma se si vuole esternare il proprio pensiero, cominciano le difficoltà. Quando di libertà non ce n’era affatto, venne approvato un codice penale che puniva chi osava esprimere la propria opinione, in contrasto con il regime. Ma Dopo la fine della guerra, ovvero dalla “liberazione”, gli articoli contro i reati di opinione non vennero più applicati. Poi, improvvisamente, nel 1964, venne di nuovo applicato l’articolo 414 del Codice Penale, che punisce l’apologia di reato: lo so perché il condannato ero io, in quanto direttore responsabile del numero zero del giornale “Gatto selvaggio”.
Negli anni successivi, quando cominciai ad esprimere le mie opinioni sotto forma di libri, scoprii quali altri ostacoli si dovevano superare per rendere pubblico il proprio pensiero in una repubblica democratica che deve difendere la storia dei suoi “liberatori” e ancora occupanti il nostro paese.
Oltre a queste contraddizioni della democrazia, il limite principale alla libertà di espressione è dovuto al fatto che essa è affidata alla libera iniziativa privata degli editori. E’ vero che un editore ha il diritto di pubblicare quello che vuole per raggiungere il suo “giusto profitto”, ma non vi è nessuna garanzia che invece non eserciti una censura etico-politica sugli scritti che gli vengono affidati. In effetti, le case editrici più grandi hanno un comitato scientifico che giudica la “validità” dei libri, ma non esiste nessuna garanzia che i componenti dei comitati non siano degli inquisitori eletti apposta (da chi?…) per censurare l’opinione degli scrittori. Per scaricare ulteriormente i sospetti che l’editoria funzioni come un’inquisizione, sono stati inventati i cosiddetti “editors”, che all’interno delle case editrici decidono se pubblicare o meno un libro. Ma chi sono gli editors?, Chi li ha scelti? Che professionalità hanno? Nel paese (l’Italia) delle corporazioni, che oggi si chiamano ordini (dei giornalisti, dei medici, degli avvocati, etc), non esiste un ordine degli editors, nonostante la loro funzione sia vitale per la libertà di opinione.
Un ulteriore scarica barile della responsabilità di pubblicare o meno un libro, è rappresentato dall’esistenza dei cosiddetti lettori, che, su incarico dell’editore, dovrebbero valutare la “leggibilità” dell’opera. Ancora una volta, si pone la domanda chi sono i “lettori”, chi li ha scelti, che competenze professionali hanno e come le hanno acquisite? Un membro del consiglio di amministrazione di una nota casa editrice ha definito i lettori come dei poliziotti. Alla faccia della democrazia! Per demistificare ulteriormente la figura del lettore, voglio riportare la mia esperienza personale di quando ero alle prime armi e mi venne recapitato dal mio editore di allora, quando ormai il libro era in corso di stampa, il parere offensivo, umiliante, ingiusto, del “lettore” di turno. In questo modo non si voleva influire sul testo per imporre cambiamento o altro, ma semplicemente far risaltare la “benevolenza” dell’editore che aveva pubblicato il libro nonostante il parere negativo del suo lettore. Molto tempo dopo scoprii il mistero, perché lo stesso editore mi propose la lettura di un libro, che doveva assolutamente pubblicare, in quanto scritto da un potente uomo politico. Nella mia unica esperienza di lettore, mi venne chiesto di dare due letture: una veritiera e l’altra cattiva e demolitrice, quella destinata all’autore….
Tutti questi passaggi, oltre a rappresentare un intralcio alla libertà di espressione, prolungano enormemente il tempo che passa dalla consegna alla casa editrice e la pubblicazione. Sia comunque chiaro che un libro non può essere mandato ad una casa editrice senza avere al suo interno una persona “amica” che lo riceva, altrimenti viene cestinato. Oltre a queste lungaggini vi sono i tempi per la composizione, l’impaginazione del libro, le correzioni delle bozze, la decisione della copertina e del retro di copertina.
Ma il povero autore deve ancora sottoporsi ad un ulteriore censore: il libraio; infatti spetta al libraio decidere quanti libri ordinare, se esporre o meno il libro in vetrina, se tenere o meno la pila dei libri in bella vista all’interno del negozio o se, addirittura tenerli sul banco della cassa, invitando esplicitamente i clienti ed acquistarlo.
Tutto questo sta finendo, partendo proprio dalle librerie, questi luoghi che sembrano fatti apposta per intimorire il cliente, infatti, i libri si vendono anche nei supermercati, negli uffici postali e nelle edicole dei giornali. Ma anche questi luoghi saranno superati della sempre crescente diffusione dell’acquisto in rete. L’autore è finalmente libero di scegliere i contenuti, il titolo del libro, la copertina e anche il prezzo del libro che ha scritto e se lo vede recapitare dopo pochi giorni già stampato. Finalmente la democrazia e la libera espressione del pensiero sono raggiunte.