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Mercato

di Eduardo Zarelli - 09/12/2005

Mercato [collana “Contra - Argomentazioni antieconomiciste”]

Carlo Gambescia

Settimo Sigillo

 

 

Sono oramai una quindicina i volumi della collana “Contra - Argomentazioni antieconomiciste” curata da Carlo Gambescia per le edizioni Il Settimo Sigillo. Testi agili, di sostanza, complessivamente coerenti alle intenzioni dichiarate nella titolazione: una serie di scritti d’autori eterogenei ed anticonformisti, accomunati dallo spirito critico del paradigma economicistico dominante. Tra gli altri già editi ricordiamo Bentham di Halèvy, Denaro di Fried, Rawls di Gambescia, Hayek di de Benoist, Smith di Spann. Gambescia, d’altra parte, è un attento studioso del pensiero sociale, economico e filosofico contemporaneo. Si devono a lui i più recenti ed esclusivi lavori sull’imponente opera del sociologo Pitirim A. Sorokin (Invito alla lettura di Sorokin, 2002), colpevolmente trascurato dalla comunità scientifica nostrana e dalla politica editoriale delle grandi editrici, nonostante la rilevanza internazionale e l’autorevolezza teoretica del pensatore russo. Va da se che tale silenzio è il prodotto scontato del provincialismo culturale e dell’egemonia utilitaristica per cui ogni pensiero non aderente al riduzionismo razionalista, è escluso dal dibattito intellettuale dominante. 

L’influenza del pensiero di Sorokin nelle intenzioni della collana si palesa nel momento in cui il momento critico non si limita ad individuare gli effetti socioeconomici delle contraddizioni ideologiche liberal-capitalistiche, ma si proietta fino al cuore dell’antropologia negativa liberale, imperniata sul determinismo dell’idea dell’homo oeconomicus alla quale si contrappone un’antropologia integrale, in cui l’agire economico rappresenta solo una (e nemmeno la più importante) tra le molte attività che nobilitano l’uomo, come la religione, l’arte, la scienza e in cui la responsabilità sociale (bene comune) e l’altruismo (il dono) sconfiggano l’indifferenza e l’egoismo. È lo stesso Gambescia ad inquadrare la critica all’individualismo utilitarista in una prospettiva “universalista”, dove olisticamente la totalità è filosoficamente superiore alla riduttiva somma delle sue singole parti. Dire che la società precede l’individuo, significa che il comportamento dell’uomo è condizionato (ma non determinato) da valori, norme e credenze che gli preesistono e che sono da lui interiorizzati. Ciò implica la possibilità del cambiamento. Ovvero la possibilità di modificare gradualmente la struttura socioculturale storicamente data, privilegiando quei principi in grado di rappresentare l’uomo nella sua integralità metastorica. O comunque di limitare le pretese di quello che gli economisti e i moralisti liberali chiamano eufemisticamente individuo “massimizzante”, speculare a quell’individuo “desiderante” dei collettivismi tardo marxisti: in realtà il disperato, solitario, eterodiretto uomo anomico dell’estremo Occidente. È, infatti, la critica socio-culturale alla tarda modernità sensistica operata da Sorokin (La crisi del nostro tempo, 2001) a collocare la “crisi dell’Occidente” in una filosofia della storia in cui tre sistemi di società e cultura - ideazionale, idealistico e sensistico - succedono incessantemente l’uno all’altro. Nella sua critica all’idea di progresso infinito, dello scientismo e del relativismo, risiedono gli elementi prepolitici per una rinascita spirituale, una metanoia culturale, un’inversione di tendenza dell’estenuata società materialistica contemporanea.

In quest’ultimo volume di Gambescia, Mercato, bisogna proprio rifarsi al “sensismo” per cogliere i fondamenti del liberalismo e del capitalismo. Dal piano della conoscenza (il primato induttivo dei sensi sull’astrazione ideale alla totalità) fino alla dottrina liberale per cui l’individuo preesiste alla società (in campo economico), per cui il bene del singolo precede il bene comune (in campo politico). In tal senso l’idea di “mercato” ha svolto il ruolo secolarizzante di credenza e giustificazione dello sviluppo capitalista. Ancor prima degli aspetti strettamente economici, il mercato si basa su una certezza, che attiene all’immaginario più che all’empirismo razionale: la “mano invisibile”. Una vera teodicea laica per cui l’individuo, promuovendo i propri interessi, consente al mercato, attraverso lo scontro tra differenti egoismi (il male) di conseguire crescita economica e sviluppo sociale (il bene). Vi è, in tutto ciò, la presunzione meccanicistica di stampo newtoniano per cui il sistema economico, come ogni sistema fisico, tende irreversibilmente all’equilibrio. In realtà la fisica contemporanea ha smentito definitivamente questo riduzionismo causalistico. Relativismo prima, indeterminismo e quantistica poi parlano per modelli relazionali, olistici, alla luce dei quali il “mercato” appare per quello che è: disequilibrio generalizzato tra tutti i fattori che lo compongono tendente ad una sempre maggiore disuguaglianza. A tal proposito la fisica termodinamica coglie con il fenomeno dell’entropia (generazione di un ordine sempre più accentuato in un determinato ambito, inducendo il disordine e la morte nell’ambiente che lo sostiene), l’immagine concettuale più aderente alle dinamiche dello sviluppo capitalistico, dove lo scopo prevalente della vita diviene quello di usare un elevato flusso energetico per creare un’abbondanza materiale e soddisfare ogni concepibile desiderio umano a scapito dell’equilibrio generale (il bene comune). In pratica la teoria economica pura è impossibile, sostenuta da modelli sempre più astratti ed ideologici funzionali al meccanismo d’autoriproduzione di una forma storica di potere sociale.

Gambescia sviluppa quindi con coerenza gli effetti della “credenza” della “mano invisibile” nell’ordine politico, sociale e culturale. Se il meccanismo capitalista tende irreversibilmente al “bene” reale, all’edonismo individuale, a che serve la politica? A che serve il legame sociale?

La politica perde il suo statuto moderno d’esercizio del potere in rappresentanza d’interessi organizzati. La deriva tecnocratico-amministrativa delle democrazie formali è rafforzata dalle tendenze oligopolistiche della globalizzazione del mercato, schiantando la stessa legittimità delle democrazie politiche, fondate sulla partecipazione e il consenso. Con le disincantate riflessioni di Cristopher Lasch, Gambescia ci descrive la dissoluzione sociale del narcisismo individualistico di massa con il primato assoluto (etimologicamente senza-limite, cioè totalitario) dell’uomo privato indisposto ad ogni responsabilità comune, pubblica (l’idiòtes della classicità greca) e il divorzio delle élites da ogni impegno comunitario, identitario. Surrogato dal “piagnisteo” del “politicamente corretto” e, aggiungiamo noi, dalla superficialità egoica e regressiva della società dello spettacolo, dove il relativismo morale e la banalità relazionale contribuiscono allo sconsolante scenario del nichilismo occidentale. Gambescia costata come la deriva utilitaristica diviene all’oggi vero naufragio, corrodendo la base stessa della convivenza e della solidarietà comune. Se palesi si fanno i segni della consunzione del modello di civilizzazione sensistica, il contributo di un pensiero non conformista alla transizione, consiste nell’ipotizzare una «concezione “idealistica” e olistica dell’economia», su modelli di reciprocità, responsabilità ecologica e radicamento comunitario. Per la diffusione di questa prospettiva, l’autore individua nel volontariato un vero e proprio “apprendistato sociale”. Scremato dal filantropismo umanitario può essere una proficua palestra di generosità e sacrificio all’insegna di uno stile di vita sobrio, frugale, interiormente eroico di contro al dominante clima opportunistico e immorale che affoga vocazioni e vitalità delle giovani generazioni. L’uomo è un essere socialmente condizionabile e può sempre interiorizzare nuovi valori e liberarsi dei vecchi. Perciò il momento politico deve essere sempre preceduto da quello sociologico (e pedagogico) dell’interiorizzazione (o socializzazione) dei nuovi valori.

Non sappiamo se, in tal senso, forziamo le tesi dell’autore e, “politicizzandole” constatiamo con Alain de Benoist (Le sfide della postmodernità, 2003) il fallimento di una democrazia che attraverso il parlamentarismo liberale è diventata esclusivamente rappresentativa e non rappresenta più niente. Il punto di partenza della politica democratica è il potere costituente del popolo. La sovranità democratica non è la sovranità nazionale, ma la sovranità popolare. La politica è oggi chiamata a rinascere partendo dalla base, su spinta volontaristica. Ciò implica la necessità di superare la dicotomia artificiale tra lo Stato e la “società civile” per ricostituire, in tutta la sua ricca diversità, la dimensione politica del sociale.

La politica che parte dalla base implica la sovranità condivisa, la partecipazione, il principio di sussidiarietà, il rispetto dei corpi intermedi e delle libertà fondamentali, la costituzione a ciascun livello di un equilibrio fra la deliberazione e la decisione. Tutto ciò è a dimensione locale. Il controllo democratico partecipativo del potere corrisponde comunitariamente ad un territorio condiviso. Il principio di reciprocità si evidenzia nelle identità di gruppo, ove è preminente l’aspetto simbolico-comunitario della relazione sociale. Tra i singoli i rapporti sono regolati da forme generali di giustizia distributiva ispirate al dono e alla complementarietà. In tale contesto norme e scambi sociali, fondati su consuetudini morali, legano organicamente l’economico all’istituzione sociale, comunitaria, quindi etica. La sobrietà dello stile di vita rafforza la ricostruzione del legame sociale e la sua capacità di esprimere peculiarità nello sviluppo autosostenibile riferito ai principi di “ciclicità” e “limite” insiti nell’omeostasi della natura. L’interdipendenza economica poggiata sulla sostenibilità delle risorse naturali e le peculiarità culturali esclude la condizione periferica perché, per dirla con Mircea Eliade, «in ogni luogo esiste un centro del mondo condivisibile». Siamo piuttosto d’innanzi ad una concertazione armonica di cerchi concentrici che senza forzatura eteronoma, nella fluidità sussidiaria, portano la libera personalità a formarsi ed esprimersi trasversalmente dalla comunità naturale ristretta, la famiglia, fino alle comunità allargate di prossimità locale e condivisione generale: l’identità europea, neutrale e difensiva contro ogni pretesa unilaterale.