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Non abbiate paura di noi. Intervista a Ghaleb Abu Zeinab, ministro degli esteri di Hezbollah

di Fulvio Scaglione - 14/06/2007

Fonte: Famiglia cristiana



«Senza il pluralismo etnico e religioso il Libano non sarebbe mai nato: sarebbe rimasto una regione della Siria e nulla più». E non può diventare uno Stato islamico.

Tanto per intenderci: sì, sappiamo che cos’è Hezbollah, il "partito di Dio" degli sciiti libanesi guidato dallo sceicco Hassan Nasrallah. Sappiamo che è considerata un’organizzazione terroristica, non solo da George Bush. E che in effetti il terrorismo è stato praticato da Hezbollah, ultimo caso il rapimento dei due militari israeliani (e l’uccisione di altri otto) il 12 luglio 2006, azione che ha poi scatenato la guerra detta infatti "dei due soldati". Potremmo limitarci a questo e chiuderla lì.

Ma che dire quando, il 25 maggio, il Libano celebra la Festa della resistenza, dal giorno del 2000 in cui le truppe israeliane si ritirarono dal Paese, dopo una resistenza (appunto) che vide in prima fila Hezbollah? Che dire dell’alleanza politica che il movimento sciita ha siglato nel febbraio 2006 con il Libero movimento patriottico del generale Michel Aoun (cristiano maronita), in un inedito tentativo di costruire una piattaforma politica capace di superare le divisioni etniche e religiose?

Ne abbiamo parlato con Ghaleb Abu Zeinab, il "numero 2" politico di Hezbollah. Per chiedergli, in primo luogo, se i cristiani del Libano devono temere la crescita demografica, economica e anche militare della comunità sciita, come la maggioranza di Governo (la coalizione "14 marzo") sostiene e come ribadiscono molti in Europa e in Occidente. «Alle origini dello Stato del Libano», risponde Abu Zeinab, «ci sono il pluralismo etnico e religioso e il rispetto delle differenze tra musulmani e cristiani. Senza questo tratto specifico, il Libano non sarebbe neppure nato: se fosse stato solo musulmano sarebbe rimasto una regione della Siria e nulla più. Per questo noi teniamo tantissimo alla forma che ha preso la democrazia libanese e portiamo nel cuore quello che disse Giovanni Paolo II quando venne qui nel 1997: il Libano è più di un Paese, è un messaggio per il mondo».

La cattedrale cristiana e la moschea a un passo l'una dall'altra nel centro di Beirut.
La cattedrale cristiana e la moschea a un passo l’una dall’altra
nel centro di Beirut
(foto Image).

  • Molti però agitano il timore di una islamizzazione del Libano…

«Sono discorsi strumentali, tesi a impaurire i cristiani. Non tanto quelli del Libano, che conoscono la situazione, ma quelli che vivono fuori, in Europa o negli Usa. Hezbollah, come partito e come forza popolare, crede alla fondazione di uno Stato laico e moderno, che superi le divisioni confessionali, rispetti le diversità religiose e garantisca a ogni comunità la possibilità di esprimersi e di dire la propria parola sulla gestione dello Stato. La nostra alleanza con il Libero movimento patriottico del generale Aoun dimostra che siamo pronti a muovere in tale direzione fin da subito, per arrivare a un Libano in cui nessuna comunità abbia un predominio assoluto sulle altre. La nostra visione del Libano di domani è basata su quattro pilastri: unità dello Stato, libertà per tutti i cittadini, democrazia consensuale, rispetto delle diversità culturali».

  • Questo è un programma ideale e politico. Ma riuscirete a tenere su questa linea anche una comunità come quella sciita, la quale tra pochi anni potrebbe essere largamente maggioritaria nel Paese e quindi spinta dai numeri a "prendersi tutto"?

«Il criterio della democrazia consensuale è per noi irrinunciabile. Il che vuol dire: condivisione dei poteri tra cristiani e musulmani, a prescindere dai dati numerici delle singole comunità. È un principio già stabilito con chiarezza dalla Costituzione, che noi ci impegniamo a difendere. Gli accordi di Ta’ef, d’altra parte, prevedono la formazione di un Senato (che ora ancora non c’è) che, nel caso di uno squilibrio politico della Camera, dovrebbe garantire proprio quella condivisione dei poteri. E aggiungo: non c’è posto, in Libano, per uno Stato islamico. Proprio perché è stato l’esatto contrario del monolitismo etnico o religioso, e cioè la convivenza delle diversità, a far nascere lo Stato libanese in quanto tale. Ogni cittadino deve avere la massima libertà di esprimere la propria fede religiosa, ma questa espressione deve restare, appunto, una forma di libertà. Quando si tratta dei problemi dello Stato siamo tutti, e solo, cittadini libanesi».

  • Questa ipotesi di convivenza pacifica come si concilia con la pratica delle armi, la guerra, gli scontri al confine con Israele?

«Certo, abbiamo dei nemici. La formula che noi auspichiamo, la convivenza in Libano tra comunità diverse, è l’antitesi dello Stato di Israele, che è uno Stato per un popolo solo. E pure gli Usa non amano quel progetto, preferiscono che il Libano abbia governanti ossequiosi verso i piani americani per il Medio Oriente. E con questo abbiamo messo il dito sulla piaga: anche oggi, l’attuale Governo del Libano non ha più dietro di sé la maggioranza della popolazione eppure Washington lo sostiene per la propria convenienza politica, non certo per amore del Libano».

Ghaleb Abu Zeinab deve andare. L’auto blindata che l’ha portato all’incontro lo aspetta, ancora parcheggiata di traverso sul marciapiede: segno che anche i poliziotti, che a Beirut non fanno nemmeno accostare per paura delle automobili imbottite di esplosivo, hanno "riconosciuto" il passeggero. Giusto il tempo per chiedergli qualcosa di più "umano". Ha 44 anni, milita in Hezbollah dalla fondazione del movimento, nel 1982, l’anno dell’operazione israeliana "Pace in Galilea" nel Sud Libano. È sposato, ha quattro figli di cui "due ragazze". Lo dice in italiano, memoria di un anno passato all’Università per stranieri di Perugia, prima del ritorno in patria. Le guardie del corpo, l’auto blindata, la pistola al fianco. Ma i figli di un dirigente di Hezbollah, chiedo, riescono a fare una vita normale? «Sì», dice Abu Zeinab, «tutto bene, tutto normale. Mio figlio studia all’università. L’Università americana di Beirut».

Fulvio Scaglione
   
   

«COSÌ HEZBOLLAH STA CAMBIANDO»

Gebran Bassil, 36 anni, ingegnere di formazione, è il genero e il braccio destro del generale Michel Aoun. Lui ha trovato un’intesa con Ghaleb Abu Zeinab, lui è stato l’artefice, per il Libero movimento patriottico, dell’accordo con Hezbollah. Lo incontriamo in una casa sepolta tra i boschi, dopo sette o otto posti di blocco, in un quartiere dove l’illuminazione pubblica è oscurata, in una strada che pullula di guardie. Lui pare rilassato e sereno: dev’essere l’abitudine.

  • Lei immagina, veramente, che cosa si dice del vostro accordo con Hezbollah?

«Con tutto il rispetto, gli europei non capiscono quasi nulla di ciò che succede qui da noi. La comunità cristiana libanese si riduce, quella musulmana cresce. Gli sciiti sono non solo più numerosi di noi, ma anche più forti e organizzati. Che cosa dovremmo fare? Dobbiamo trovare un modo di convivere con loro e di gestire la situazione senza lasciarci schiacciare dai numeri e dai conflitti che possono derivarne».

  • Sì, ma Hezbollah è un movimento con un’ala militare e terroristica, legato all’Iran. Come pensate di cavarvela?

«È vero, Hezbollah ha una pessima fama. Ma voi, che li vedete con quell’aria dura e intransigente, non sapete quanto siano invece flessibili e quanto stia evolvendo la loro politica. Non parlano più, per esempio, di abbattere Israele ma di riottenere le Shebaa Farms. Questo perché il loro movimento diventa sempre più libanese, sempre più nazionale. L’alleanza che hanno stretto con noi ha voluto dire, per loro, rinunciare a ogni pretesa di dominio su base etnica o religiosa, anche se le prospettive erano a loro favore. E per solennizzarla, la loro Tv, a Natale, ha trasmesso la Messa. Più loro cambiano più la nostra alleanza diventa importante: ecco perché, per fermarci, ora usano anche i fanatici palestinesi come quelli del campo di Nah al Berid».

  • Gli Usa non daranno mai via libera a un progetto politico in cui Hezbollah abbia un ruolo importante…

«È vero, nel 1983 gli Stati Uniti hanno perso qui 241 soldati. Ma per gli orrori della guerra civile nel 1990 il Libano ha decretato l’amnistia. Se gli Usa hanno dei conti da regolare, non possono tirare in ballo noi».

F.S.