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Erich Priebke: considerazioni di cultura giuridica e storica

di Avv. Lorenzo Borrè - 14/06/2007

La concessione di benefici premiali ad Erich Priebke ha scatenato, puntualmente, un vespaio di polemiche.  

La cosa non stupisce anche se dovrebbe stupire.

In questa nostra Italia si rivendica, anzi si codifica, il “dovere della Memoria”, ma poi ci si dimentica che questo è lo stesso Paese che nel ventennio successivo alla fine della Seconda Guerra Mondiale ha promulgato provvedimenti di indulto e (successivamente) di amnistia in favore di coloro –Fascisti e Antifascisti- che erano stati condannati all’ergastolo per reati commessi nel periodo tra il 25 luglio del 1943 e 2 giugno del 1946.

Nel giugno 1966 è stato promulgato il D.P.R. 4.6.1966 n. 332 che prevede[va] la concessione dell’amnistia:

a) per i reati commessi dal 25 luglio 1943 al 2 giugno 1946 da appartenenti al movimento della Resistenza o da chiunque abbia cooperato con esso, se determinati da movente o fine politico, o se connessi con tali reati ai sensi dell'art. 45, n. 2, del Codice di procedura penale;

b) per i reati commessi, dal 25 luglio 1943 al 2 giugno 1946, anche da altri cittadini che si siano opposti al movimento di liberazione, se determinati da movente o fine politico, o connessi con tali reati ai sensi dell'art. 45, n. 2, del Codice di procedura penale.

Tra i reati in questione, come detto, rientrano anche quelli puniti con l’ergastolo.

Ritengo opportuno ricordare a chi oggi si sdegna che  Priebke, nel 2001, ha  presentato richiesta di applicazione dell’amnistia.

La richiesta è stata rigettata dalla Corte Militare d’Appello di Roma e l’ordinanza di rigetto è stata confermata, ma con diverse motivazioni, dalla Corte di Cassazione.

E qui siamo al punto.

La Cassazione ha escluso l’applicabilità dell’amnistia in favore di Erich Priebke in quanto (riporto la massima giurisprudenziale): “Alla stregua del testuale tenore dell'art.2, comma primo, lett.b), del D.P.R. 4 giugno 1966 n.332, l'amnistia ivi prevista per i reati commessi dal 25 luglio 1943 al 2 giugno 1946 (compresi i reati militari diversi da quelli indicati nel successivo art.4 dello stesso D.P.R.), si applica soltanto ai cittadini dello Stato italiano e non anche ai cittadini stranieri, atteso che il provvedimento di clemenza si proponeva un fine di pacificazione nazionale fra i cittadini italiani in relazione agli eventi bellici interni seguiti alla caduta del regime fascista ed alla nascita della c.d. Repubblica sociale italiana. Né può in contrario valere, ove si tratti di stranieri aventi la cittadinanza di uno dei paesi aderenti all'Unione europea, il richiamo all'art.8 del trattato di Maastricht, reso esecutivo in Italia con legge 3 novembre 1992 n.454, con il quale viene istituita la cittadinanza dell'Unione e si stabilisce che i cittadini dell'Unione "godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti dal presente Trattato", giacché quei diritti, come specificato nel secondo comma dello stesso art.8, sono soltanto - in assenza di un'apposita dichiarazione da presentarsi alla presidenza dell'Unione - quelli di petizione, di libera circolazione in tutti gli Stati dell'Unione, di voto amministrativo nel luogo di residenza, di voto attivo e passivo per il parlamento europeo, di tutela all'esterno del territorio dell'Unione da parte di qualunque autorità diplomatica europea”.

 

Il punto è dunque questo: priebke oggi sconta la pena dell’ergastolo non per la gravita’ del reato ascrittogli ma perche’ e’ cittadino tedesco: SE LA STRAGE DELLE ARDEATINE FOSSE STATA COMMESSA DA APPARTENENTI ALLE BRIGATE NERE O ALLA GUARDIA NAZIONALE REPUBBLICANA, I PARTECIPANTI AVREBBERO USUFRUITO DELL’AMNISTIA.

sE PRIEBKE  Avesse ucciso “COME italiano” oggi sarebbe libero (per spiegarmi meglio: il fascista Pietro Koch, attivamente partecipe nella preparazione della rappresaglia,  avrebbe usufruito di questa amnistia)

 

Con ricorso a Strasburgo, che non ha avuto miglior fortuna per questioni di competenza del Foro europeo,   si è cercato di evidenziare che in tal modo, (il Legislatore del)lo Stato Italiano, pone di fatto una discriminazione fondata sulle condizioni soggettive dell’individuo e, segnatamente, sulla sua cittadinanza, violando il disposto dell’art. 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. 

E’ infatti di tutta evidenza che se un individuo può beneficiare o meno di un provvedimento legislativo (quale l’amnistia) non già in base alla gravità o al tipo di reato commesso, bensì in ragione delle sue condizioni soggettive al momento del fatto (appartenenza ad una cittadinanza anzichè ad un altra), ciò costituisce una discriminazione basata su valutazioni incompatibili con il dettato dell’art. 14.

Ed è lapalissiano che tra un omicidio commesso da un cittadino (che, al tempo, aveva anche lo status di militare) e un omicidio commesso da uno straniero sussiste una sostanziale identità, avendo essi in comune l'elemento materiale e l'elemento psicologico ed identici essendo sia il loro contenuto (in entrambi offensivo dello stesso bene che si è voluto proteggere), sia l'azione tipica delle due azioni criminose (concretantesi nell'uccisione di persone).

E’ lapalissiano ma ciò non impedisce, oggi, una differenziazione di trattamento basata sulle mere condizioni soggettive dei condannati .

La circostanza che la norma in questione sia stata concepita dal Legislatore italiano e comunque applicata dai Giudici italiani con finalità discriminatorie appare ancor più evidente laddove si consideri che mentre la lettera a) dell’art. 2 D.P.R. 332/66 prevede la concessione dell’amnistia  anche a reati commessi da chiunque (e quindi anche militari stranieri) abbia cooperato con il movimento di resistenza, la lettera b) prevede l’applicabilità dell’amnistia per i reati commessi dai (soli) cittadini che si siano opposti al movimento di “liberazione”   [ovvero per reati ad esso connessi].

Tale distinzione è duplicemente discriminatoria: sotto un primo profilo essa opera invero una discriminazione tra stranieri –riguardo alla applicabilità del beneficio (consistente nella rimessione in libertà e nell’estinzione del reato)- a seconda che essi abbiano commesso il delitto cooperando con il movimento di liberazione o lottando contro di esso.

Sotto un secondo profilo la norma opera una discriminazione fondata sulla cittadinanza laddove estingue i reati commessi da quegli italiani che si erano opposti al movimento di liberazione ma non quelli commessi da cittadini stranieri che pure si siano opposti a tale movimento di liberazione.

Alla luce di quanto sopra è dunque veramente il caso di scandalizzarsi se a un vecchio di novantacinque anni vengono concessi benefici previsti dalla legge?

 

La sentenza della Corte di Cassazione che ha rigettato la richiesta di amnistia

Corte di Cassazione Sezione 1 penale
Sentenza 22.04.2002, n. 15139


Integrale

1. Con ordinanza in data 16 luglio 2001 la Corte militare di appello, quale giudice dell'esecuzione, rigettava l'istanza avanzata da Erich Priebke., condannato con sentenza definitiva alla pena dell'ergastolo siccome responsabile del reato di cui agli artt. 13 e 185 c. 1° e 2° c.m.p.g. correlati agli artt. 81, 110, 575-577 nn. 3 e 4 e 61 n. 4 c.p. (concorso in violenza con omicidio aggravato e continuato in danno delle Fosse Ardeatine "effettuata dalle Forze armate germaniche a seguito dell'attentato avvenuto nella romana via Rasella in danno di militari tedeschi), diretta all'applicazione dell'amnistia di cui al d.P.R. 4.6.1966 n. 332.

La corte territoriale affermava che l'istante era stato condannato per un reato militare, che in quanto tale non rientrava tra quelli amnistiabili ai sensi dell'art. 2 lett. b) del d.P.R. 332/1996 ("... è concessa amnistia ... per i reati commessi, dal 25 luglio 1943 al 2 giugno 1946, anche da altri cittadini che si siano opposti al movimento di liberazione se determinati da movente o fine politico, o connessi con tali reati ai sensi dell'art. 45 n. 2 del Codice di procedura penale...").

I giudici del merito pervenivano a tale conclusione rilevando che:

- il reato commesso dal P., per l'entità della pena irrogata, non rientrava tra quelli amnistiabili ai sensi dell'art. 1 del citato decreto clemenziale ("...è concessa amnistia ...a) per i reati per i quali la legge commina una pena detentiva non superiore nel massimo a tre anni...");

- per i reati militari provvedeva esclusivamente l'art. 4 del d.P.R. in questione ("...l'amnistia e l'indulto non si applicano ai reati previsti dal libro secondo, titolo primo e titolo secondo, capo quarto del Codice penale militare di pace e dal libro terzo, titolo secondo e dall'art. 115 del Codice penale militare di guerra...") con specifica elencazione dei reati amnistiabili, nel cui catalogo non era compreso quello addebitato all'istante;

- il reato commesso dal condannato non poteva ritenersi connesso con quelli di cui all'art. 2 lett. b) d.P.R. 332/1996, in quanto il legislatore aveva soltanto indicato la connessione prevista dall'art. 45 n. 2 del codice di rito del 1930, significativamente tacendo in relazione all'art. 264 c.p.m.p. che tale rapporto di connessione espressamente disciplinava.

Precisavano che l'impossibilità oggettiva di applicare al P. l'invocata amnistia rendeva superfluo l'ulteriore esame delle altre argomentazioni (natura politica dei reati contestati al condannato; sussistenza della connessione con quelli addebitati a c.p. e a K. P. con sentenze 21.9.1944 e 4.6.45 dell'Alta corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo aventi anch'essi ad oggetto la sopra indicata rappresaglia; concetto di cittadinanza europea applicabile alla vicenda a seguito del Trattato di Maastricht del 7.2.1992; confronto con quanto statuito, in merito all'applicabilità dell'art. 2 lett. a) d.P.R. 4.6.1966 n. 332 dalla Corte di appello di Trieste, in sede esecutiva, con ordinanza 6.12.1964 in procedimento G. N.) formulate dall'istante a supporto della propria richiesta.

2. Ricorre per cassazione il P., il quale, per il tramite del proprio difensore, deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione (art. 606 c. 1° lett. b) ed e) c.p.p. in relazione al d.P.R. 4.6.1966 n. 332), asserendo che, contrariamente all'assunto della corte territoriale, anche i reati previsti dal codice militare rientrano tra quelli amnistiabili ex art. 2 c. 1° lett. a) e b) e che, in ogni caso, il reato commesso dal P. è un reato soggettivamente politico e connesso con reati politici (quelli commessi da C. e K.), di tal che allo stesso, quale cittadino dell'unione Europea assimilabile in tutto e per tutto al un cittadino italiano così come statuito dal Trattato di Maastricht del 1992, va applicata l'amnistia in questione.

3. Il ricorso è infondato.

Preliminarmente, peraltro, deve precisarsi che la corte territoriale ha errato nell'affermare che i reati militari erano esclusi da quelli amnistiabili ex art. 2 c. 1° lett. a) e b) d.P.R. 4.6.1966 n. 332 dal momento che da nessuna delle disposizioni del testo del decreto clemenziale può ricavarsi tale interpretazione.

Invero, l'art. 4 del decreto, posto a fondamento di tale assunto, statuisce l'inapplicabilità dell'amnistia non a tutti i reati previsti dal codice militare di pace e di guerra, bensì soltanto ad alcuni di essi, specificamente elencati, punibili sia con pene amnistiabili, secondo quanto previsto dal combinato disposto degli artt. 1 e 5 del decreto, sia con pene maggiori: e proprio la previsione di esclusione, prevista in maniera dettagliata, per questi ultimi chiarisce che il legislatore non ha voluto lasciare fuori dalla speciale ipotesi di amnistia di cui al citato art. 2 tutti i reati militari, ma soltanto quelli elencati nell'art. 4.

Detta erronea applicazione di legge, tuttavia, non comporta l'annullamento dell'ordinanza impugnata, ma soltanto, a norma dell'art. 619 c. 1° c.p.p., la correzione del principio di diritto in essa erroneamente affermato sul punto.

Infatti, dalla inequivoca lettera dell'art. 2 c. 1° lett. b) del d.P.R. 332/1966 emerge che l'amnistia riguarda soltanto i cittadini dello Stato italiano e non pure i cittadini stranieri, come il P. cittadino della Repubblica Federale di Germania.

L'art. 2 c. 1° lett. a) e b) del provvedimento in questione, infatti, completava la precedente legislazione clemenziale -l'amnistia di cui all'art. 3 d.c.p.s. 22.6.1946 n. 4; l'indulto ex art. 2 d.P.R. 19.12.1953 n. 922- mirata alla "...necessità di un rapido avviamento del Paese a condizioni di pace politica e sociale. La Repubblica ... presentandosi come il regime della pacificazione e della riconciliazione di tutti i buoni italiani...", come si esprimeva il Guardasigilli dell'epoca nella relazione ministeriale del provvedimento di amnistia del 1946, ponendosi così definitivamente fine agli effetti della guerra civile che aveva insanguinato l'Italia, mediante concessione di amnistia per i reati commessi, sia dagli appartenenti al movimento di liberazione nazionale che da coloro che vi si erano opposti, in relazione agli eventi, bellici e interni, seguiti alla caduta del regime fascista e alla nascita della così detta Repubblica sociale italiana.

Tale ratio legis conferma, se mai ve ne fosse bisogno, la lettera della suddetta norma, dal momento che, essendo i reati amnistiabili ex art. 2 c. 1° lett. a) e b) d.P.R. 332/1966 di natura politica, il legislatore nella costruzione normativa della categoria dei delitti politici, attingendo al criterio obiettivo e a quello subiettivo, ha sempre fatto diretto riferimento allo Stato italiano e al cittadino italiano, risultando dal complessivo sistema penale che non è possibile parlare di interessi politici al di fuori di quelli dello Stato e che per cittadino la legge intenda quello italiano, attesa la contrapposizione sempre posta dall'ordinamento giuridico penale fra cittadino e straniero (cfr., per una questione similare a quella che ci occupa, Tribunale Supremo Militare, 25.10.1960, ric. Kappler).

Conseguentemente la norma in questione non può essere applicata al P. sia perché egli è cittadino straniero, sia perché nel delinquere ha agito come portatore, quale ufficiale delle forze armate tedesche, di interessi politici di uno Stato estero.

Parimenti infondato risulta l'ulteriore argomento prospettato dal ricorrente, secondo il quale il cittadino di uno Stato -nella specie la Repubblica Federale di Germania- dell'Unione Europea deve essere equiparato a quello italiano, ai fini della fruizione dell'amnistia in questione, in applicazione dell'art. 8 (1. E' istituita una cittadinanza dell'Unione. E' cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. 2. I cittadini dell'Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti dal presente trattato) della parte seconda del Trattato di Maastricht del 1992, ratificato dalla Repubblica italiana con legge 3.11.1992 n. 454.

Infatti, stante all'interpretazione letterale della suddetta norma pattizia, i cittadini europei godono dei diritti previsti "...dal presente trattato..." (art. 8.2), i quali sono soltanto quelli di libera circolazione in tutti gli Stati dell'unione, di voto amministrativo nel luogo di residenza, di voto attivo e passivo per il Parlamento europeo, di tutela all'esterno del territorio dell'Unione da parte di qualsiasi autorità diplomatica europea e di petizione (artt. 8.A.1, 8.B.1. e 2, 8.C.3 e 8.C.4), mentre i singoli Stati si impegnano a precisare quali siano le persone che devono essere considerate come propri cittadini, secondo il diritto nazionale di ciascuno Stato membro e per diventare titolari di diritti diversi da quelli sopra indicati, mediante una dichiarazione presentata alla Presidenza dell'Unione (Dichiarazione sulla cittadinanza di uno Stato membro, allegata al succitato Trattato) : dichiarazione mai presentata, riguardo alla frizione da parte del cittadino straniero dell'amnistia ex d.P.R. 332/1966 da parte della Repubblica italiana.

Detto criterio interpretativo è confortato non soltanto dal principio della irretroattività delle leggi (art. 11 delle preleggi) costitutive di diritti, come risulta essere ogni norma che riconosce allo straniero lo status di cittadino italiano, ma anche dal canone di interpretazione storico-sistematica (art. 14 delle preleggi), secondo cui non solo la legge posteriore generale -quale è quella di ratifica del Trattato di Maastricht- non può derogare a quella eccezionale -tale in ogni provvedimento di clemenza- anteriormente emanata, ma anche che tutte le leggi eccezionali non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati: circostanze che, riguardo all'invocata amnistia di cui all'art. 2 c. 1° lett. b) d.P.R. 332/1966 fanno esclusivo riferimento ai cittadini italiani e agli interessi politici dello Stato italiano, come sopra si è di già evidenziato.

L'inapplicabilità soggettiva della richiesta amnistia rende superfluo ogni ulteriore esame relativo all'esistenza o meno della connessione ex art. 45 n. 2 c.p.p. 1930 tra i reati per i quali il P. è stato condannato e quelli addebitati a C. e K., mentre è appena il caso di rilevare che la vicenda di cui alla citata ordinanza della Corte di appello di Trieste è estranea all'odierno thema decidendum, in quanto G. N. non risulta essere cittadino straniero.

Per le suesposte ragioni il ricorso deve essere respinto con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.