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Chiquita: banane, sangue e terrorismo

di Antonio Pagliula - 15/06/2007

   
 
 
chiquitaPiovono nuove accuse sulla multinazionale statunitense Chiquita. Dopo essere stata riconosciuta colpevole per aver finanziato dal ’97 al 2004 gruppi terroristici di estrema destra, ora i parenti delle vittime sterminate dai paramilitari chiedono a Chiquita un risarcimento milionario.


 
 
 
Molti non sanno che circa tre settimane fa ho ricevuto a sorpresa una mail da parte della Chiquita Italia SpA, firmata dal dr. Paolo Prudenziati, vice presidente per il sud Europa della famosa multinazionale. La mail mi era stata inviata in seguito ad un mio articolo, “Chiquita, le banane insanguinate”, datato 20 marzo ’07, nel quale davo notizia della condanna inflitta proprio alla Chiquita Brands, che in pratica costringeva l’impresa bananiera a pagare 25milioni di dollari per essere stata dichiarata colpevole di aver finanziato un gruppo terroristico colombiano di estrema destra. Lì per lì, la mail (potete leggerla integralmente qui) mi ha molto sorpreso. La Chiquita, infatti, tentava di fare chiarezza sulla sua condotta, dal momento che ritenevano molte delle notizie prodotte dalla stampa in quei giorni piuttosto inaccurate, compreso il mio articolo, ripreso all’epoca da molti siti e blog.

E’ stato quindi doveroso da parte mia un approfondimento della vicenda, ed uno studio approfondito della condanna inflitta a Chiquita, senza trascurare anche la storia passata della multinazionale del bollino blu, sia in Colombia che in tutti i paesi in cui opera.

Questo mio approfondimento però discostava di molto dalla realtà descrittami dalla Chiquita nella mail, ed anzi, i valori fondamentali e gli standard etici che mi venivano proclamati non trovano poi praticamente mai effettivo riscontro. Nel leggere poi l’ultima notizia diffusasi in queste ultime ore, ossia della richiesta di indennizzo delle vittime, a causa della presunta responsabilità nella morte di 144 persone uccise per mano dei gruppi terroristici finanziati in quel periodo da Chiquita, mi è sembrato doveroso rispondere alla mail ricevuta solo qualche settimana fa dalla Chiquita Italia, in cui la multinazionale statunitense si dimostrava “lieta di rispondere ad eventuali domande in merito a questa (il finanziamento di gruppi terroristici) o qualsiasi altra questione”.

RICHIESTA D’INDENNIZZO PER LE VITTIME

AUCPartirei però proprio dall’ultima notizia, ossia dalla milionaria richiesta di indennizzo dei familiari delle 144 persone assassinate dai paramilitari di estrema destra facenti capo alle AUC, Autodefensas Unidas de Colombia. Ammonta a circa un miliardo di dollari il risarcimento che viene richiesto alla Chiquita, già condannata per aver finanziato questo gruppo dal 1997 al 2004 nelle regioni colombiane di Urabá e Magdalena, ed in questo caso ritenuta colpevole di aver utilizzato le stesse AUC per assassinare uomini, donne e bambine che interferivano con gli interessi economici e finanziari della multinazionale (fonte Reuters).

Questa domanda di risarcimento inoltrata ad una corte statunitense da un gruppo di avvocati in rappresentanza dei familiari delle 144 vittime di questi anni cita testualmente: “gli accusati (Chiquita e dieci suoi dipendenti) contrattarono, armarono e/o diressero gruppi terroristici che utilizzarono estrema violenza, morte, tortura e detenzioni illegali di individui che interferivano con le operazioni della multinazionale in Colombia” (fonte El Tiempo).

La notizie è sconvolgente ed in pratica smentisce la linea difensiva di Chiquita, da sempre dichiaratasi lei stessa vittima dei gruppi paramilitari e costretta a pagare il “pizzo” esclusivamente per ricevere protezione delle vite dei lavoratori.

LINEA DIFENSIVA DELLA CHIQUITA

Sino ad oggi tutti i tentativi di giustificazione della Chiquita facevano infatti riferimento alla gravità della situazione colombiana degli ultimi decenni, una realtà in cui veniva meno il ruolo delle istituzioni e in cui le autorità governative non erano in grado di garantire sicurezza e protezione. In questo contesto, l’azienda teneva a precisare la propria condotta, dichiarandosi, da sempre, costretta ad effettuare pagamenti , il cui unico scopo era proprio quello di proteggere le vite dei lavoratori oltre a proteggere la proprietà.

Da questo documento ufficiale del dipartimento di giustizia statunitense, DoJ (Chiquita Brands International Pleads Guilty), emerge tutt’altro. La Chiquita Brands International è stata infatti condannata a pagare una multa pari a 25milioni di dollari, in seguito ad un patteggiamento, in quanto colpevole di aver effettuato più di 100 pagamenti dal 1997 al febbraio 2004 alle AUC (Autodefensas Unidas de Colombia) per un ammontare complessivo di più di 1,7 milioni di dollari. La condanna però punisce solo i pagamenti effettuati a partire dal 10 settembre 2001, giorno in cui il governo degli Stati Uniti d’America includono questo gruppo paramilitare all’interno delle organizzazioni cosiddette FTO (Foreign Terrorist Organization, organizzazioni terroristiche straniere). Questa designazione per le AUC in pratica rende, per le leggi americane di lotta al terrorismo, i finanziamenti di Chiquita un crimine federale per il governo degli Stati Uniti Americani e fa si che la stessa Chiquita arrivi all’ammissione del finanziamento di un gruppo terroristico nell’aprile 2003, ammissione che permette l’inizio delle indagini da parte della giustizia USA.

L’ammissione e la collaborazione di Chiquita è sicuramente ammirevole ma non trovano però giustificazione alcuni successivi comportamenti della multinazionale. Dalla sentenza si legge chiaramente che “il finanziamento di organizzazioni terroristiche non possono mai considerarsi come costi per business”, come Chiquita invece aveva cercato di fare, registrando i pagamenti periodici come spese per la sicurezza della multinazionale. Chiquita in cambio di questi finanziamenti non ha infatti mai ricevuto nessun servizio legato alla sicurezza. Ma da approfondire c’è poi un ulteriore aspetto, Chiquita comincia a finanziare le AUC nel 1997, dopo un incontro tra un senior executive di Banadex, azienda controllata dalla multinazionale, e Carlos Castaño, leader delle AUC. Già nel 2000 però gli executives di Chiquita erano pienamente a conoscenza dei pagamenti e soprattutto erano a conoscenza del fatto che le AUC fossero una violenta organizzazione paramilitare. Nonostante questo però i pagamenti furono comunque approvati da un senior executive e l’alto direttivo era perfettamente consapevole.

Ulteriori dubbi sulla condotta “poco limpida” di Chiquita emergono anche successivamente, sempre dalla condanna emerge infatti che già nel febbraio 2003 alcuni consulenti legali esterni intimavano alla multinazionale l’obbligo di fermare assolutamente i finanziamenti alle AUC, visto che andavano completamente contro le leggi anti-terrorismo Usa. Gli avvisi dei legali che si possono leggere dalla sentenza sono molto chiari: “Must stop payments”, “Cannot make the payment”, “the company should not make the payment”, etc. Nonostante questo però la Chiquita continua a finanziare le AUC, anche se poi arriva ad aprile 2003 ad autodenunciarsi al dipartimento di giustizia degli Stati Uniti d’America.

Chiaramente anche il dipartimento di giustizia intima di fermare i pagamenti che, nonostante l’autodenuncia invece Chiquita continua ad effettuare sino al febbraio 2004 (ossia per quasi un anno), data in cui Chiquita vende Banadex ad un compratore colombiano ed arriva dunque a lasciare il paese. I pagamenti effettuati dopo l’autodenuncia sono 20 pari a 300.000 dollari, una cifra molto considerevole.

I DUBBI SULLA LINEA DIFENSIVA DI CHIQUITA

bananerosChiquita in prima istanza giustifica i pagamenti alle AUC, gruppo paramilitare di estrema destra, con il fatto che altri pagamenti sarebbe stati effettuati anche a gruppi di estrema sinistra come FARC. Le affermazioni degli avvocati difensori di Chiquita però non trovano assolutamente nessun riscontro, visto che dai documenti ufficiali del Department of Justice statunitense non si evince mai di eventuali pagamenti effettuati ad altri gruppi all’infuori delle AUC. Questo rimane perciò un punto oscuro della vicenda, sarebbe infatti interessantissimo da parte di Chiquita dimostrare questi eventuali pagamenti, e farne emergere tutti i dettagli. Ad esempio: quando sono stati effettuati? per quanto tempo? in cambio di quale servizio?

Mai Chiquita ha portato prove di questi eventuali pagamenti, che per di più risultano veramente difficili da inquadrare storicamente visto che le regioni in cui Chiquita operava, ossia Urabá e Magdalena, non sono mai state controllate da fazioni terroristiche di sinistra, né Farc né ELN. Spero si intenda chiaramente che queste domande non mirano a giustificare il terrorismo di estrema sinistra, ma tendono esclusivamente a voler fare chiarezza su questi ipotetici pagamenti, per adesso né certificati né puniti.

Sebbene poi sia da considerare lodevole l’autodenuncia e l’ammissione di colpa che Chiquita fa, non si riesce però bene a capire i motivi che portano la stessa multinazionale a continuare nei pagamenti dei “paras” colombiani dall’aprile 2003 all’aprile 2004, quando era chiaro a tutto il Mondo che le AUC erano responsabili di molti dei maggiori massacri del conflitto civile colombiano, oltre ad essere implicate nell’esportazione internazionale di stupefacenti.

Con la richiesta di indennizzo emersa negli ultimi giorni viene meno però anche la giustificazione dei pagamenti fatti, a detta della compagnia bananiera, sotto minaccia e in cambio di protezione. Oggi i familiari di molte vittime, tra cui anche dipendenti e sindacalisti di Banadex e Chiquita, denunciano invece la multinazionale accusandola addirittura di aver utilizzato le AUC per fare gli interessi dell’azienda. Di quale sicurezza quindi si sta parlando? Sicuramente non quella dei lavoratori o della società civile, visto che sono ben 144 gli omicidi rivendicati, nei quali emerge il ruolo di Chiquita.

Sicuramente questa è un accusa pesantissima per la multinazionale e le prime dichiarazioni di Mike Mitchell, portavoce dell’azienda non sembrano soddisfacenti, visto che rinnovano solo il concetto che i pagamenti furono effettuati a forza e che il “pizzo” era pagato a protezione dei lavoratori. Mitchell continua poi ad insistere sul fatto che i pagamenti venivano fatti anche alle Farc, quasi questa fosse un giustificazione e non un ulteriore aggravante.

Spero quindi che Chiquita faccia al più presto chiarezza, perché anche se, come è stato detto, la multinazionale non credeva nelle istituzioni colombiane non si può giustificare in nessun caso il pagamento di un pizzo. Pagare il pizzo, infatti, non fa altro che far entrare anche Chiquita nei perversi ingranaggi di un sistema mafioso e terroristico, portando poi eventuali e sgradevoli conseguenze. Il pizzo, infatti, oltre alla protezione può portare ad includere anche lo scambio di favori, alimentando una degenerazione collettiva e mettendo a rischio la vita di quegli stessi lavoratori che Chiquita invece cercava di proteggere.

Se poi emergono le accuse di ritorsioni, della stessa Chiquita per mezzo AUC, su chiunque si intromettesse nell’operato della multinazionale, i dubbi sul comportamento della Chiquita aumentano esponenzialmente. Come si può infatti immaginare di assicurare protezione ai propri dipendenti rivolgendosi ad un gruppo paramilitare e terroristico che dal 2001 ha reso teatro di mattanze la regione di Uribé, proprio quella in cui la Chiquita operava e finanziava la AUC sin dagli anni ’90.

Non coincide poi la volontà di assicurare sicurezza con le AUC, nel quale erano e sono tuttora presenti gruppo conosciuti con il nome di “los Mochacabezas” (i taglia teste), divenuti famosi per la caratteristica di tagliare le teste ai lavoratori bananieri. Si registrarono solo negli anni ’90 circa 1000 omicidi di questo genere ai danni di militanti e sindacalisti politicamente orientati a sinistra, e di questi la maggior parte lavorava per imprese bananiere.

Può Chiquita quindi affermare di non essere stata a conoscenza di questi fatti? Sembra strano, considerando che anche fonti ufficiali USA già a fine anni ’90 vedevano le AUC coinvolte con l’uccisione di migliaia di contadini colombiani, la cui unica colpa era quella di essere sospettati di essere legati a gruppi di sinistra. Senza dimenticare poi il coinvolgimento delle AUC ad altri tipi di crimini come la tortura, il sequestro di persona, le violenze sessuali, l’estorsione ed il traffico di droga.

TRAFFICO INTERNAZIONALE DI ARMI

Il traffico internazionale di armi è un altro delicato argomento che proprio la recente denuncia ricevuta da Chiquita riapre. Se è infatti vero che nella mail che ho ricevuto il Dr. Prudenziati si sottolineava come le implicazioni di Chiquita in importazioni illegali di armi da parte del gruppo AUC fossero improprie, a questo punto della vicenda quest’argomento merita una chiarita ulteriormente, in particolare riguardo al ruolo che assunse Banadex. Il rapporto dell’OAS (Organization of American States) a riguardo infatti cita testualmente: "On November 5, 2001, the Otterloo arrived at the port of Turbo, on Colombia's Caribbean coast, without ever having stopped in Panama. The ship was unloaded two days later by a Colombian shipping company called Banadex S.A."

La sopracitata Otterloo portava 14 container di armi e munizioni destinate alle AUC, e non propriamente banane. Banadex all’epoca faceva capo a Chiquita, ed il porto di Turbo era riservato alle sue operazioni. Quando Chiquita provò a scaricare tutte le responsabilità sugli agenti doganali colombiani dimenticò di sottolineare come i rapporti tra Banadex ed i medesimi erano molto intimi, come dimostra ad esempio l'episodio di corruzione avvenuto nel 1995.

E’ doverosa quindi un’ulteriore indagine dato che nella denuncia presentata alla corte federale di Washington solo qualche giorno fa si fa chiaro riferimento, oltre all’ormai accertato appoggio finanziario, anche ad un appoggio espresso in armi alle forze paramilitari.

STANDARD ETICI E DI RESPONSABILITA’ SOCIALE

Per tutto quanto è stato sopracitato vorrei fare appello ai valori fondamentali di Chiquita, che nella mail inviatami il vice presidente di Chiquita Italia Spa elogia e sottolinea. Dove sono infatti gli standard etici e di responsabilità sociale citati? Colgo per questo l’occasione della disponibilità dimostratami nella mail, nella quale Chiquita si dichiarava disponibile a fare chiarezza per chiedere ulteriori chiarimenti sugli argomenti sopracitati, ma non solo, per far emergere altre vicende “poco chiare” e porgere ulteriori domande.

Infatti le promesse di eticità fatte da Chiquita non sembrano trovare effettivo riscontro. Una notizia datata 5 giugno 2007, fonte Adital, parla ad esempio di un ulteriore accusa ai danni della multinazionale. I sindacati bananieri (Colsiba) hanno denunciato l’impresa produttrice di banane per violazioni dei diritti dei lavoratori, anche in questi ultimi mesi. La Colsiba parla di violazione delle norme base dei sindacati, di mancati compimenti di impegni presi e soprattutto di violazioni fisiche dell’integrità di lavoratori affiliati a sindacati. In particolare si denuncia la situazione nelle piantagioni dei lavoratori in Nicaragua, dove la concentrazione di persone può “essere paragonata a quella di campi di concentramento”, ed in Guatemala e Honduras, dove la Chiquita nega rispettivamente da nove e dieci mesi la negoziazione collettiva dei contratti con i sindacati (in Nicaragua sono già passati 10 anni, fonte Pulsar/Adital).

Non è quindi così idillica la relazione tra sindacati dei lavoratori bananieri, Colsiba, e la Chiquita come invece la multinazionale descrive nella mail inviatami a proposito della situazione colombiana e la vendita di Banadex.

NEMAGÓN E FUMAZONE

nemagonUn altro tema delicatissimo di cui Chiquita Brands dovrebbe rispondere e chiarire la sua posizione è quello del Nemagón, pesticida micidiale già proibito a livello internazionale dagli anni ’70. Nonostante ciò però questo potentissimo pesticida veniva abitualmente utilizzato dalla Chiquita, ma anche da altre imprese bananiere, nelle piantagioni, in particolare in Nicaragua e Centro America, contribuendo in questo modo non solo all’inquinamento ambientale, ma soprattutto violando i diritti umani e la salute dei lavoratori delle piantagioni. Solo per il Nicaragua si parla negli anni di 110'000 persone affettate dall’uso del Nemagón e di migliaia di morti. Gli effetti dell’esposizione a questo farmaco sono notevoli (vedi foto) e tutte gravissime, si va dalla perdita della vista alla sterilità, dal cancro alle emicranie, dal provocare difetti ai neonati all’incremento delle possibilità di aborti spontanei.

Sempre notizia di qualche giorno fa poi la marcia dei “bananeros” ed ex-lavoratori del settore proprio in Nicaragua, manifestazione mirata a richiamare l’attenzione sulle richieste di indennizzo per i danni alla salute subiti sia nei confronti di Chiquita che di altre multinazionali che però, ad oggi, invece di riconoscere i reati perpetrati ricercano nuove possibilità per ritardare le tempistiche.

Ma il tema dell’utilizzo dei pesticidi non si limita solo al Nemagón, nel 2002 infatti Human Rights Watch allertava sull’abuso dei diritti umani dei lavoratori da parte delle multinazionali bananiere, tra cui citava anche Chiquita. Oltre al Nemagón si citava anche un altro pesticida, il Fumazone. L’uso di questi due pesticidi continuò nel tempo anche dopo il 1977, anno in cui gli “US Environmental Protection Agency” ne avevano vietato l’uso. Nonostante questo si susseguirono nel tempo i casi di utilizzo di questi pesticidi tossici, e lo dimostrano le cause intraprese ai danni delle multinazionali bananiere non solo in Nicaragua ma anche in Costarica dove nel 2004 i lavoratori delle piantagioni di banane denunciarono ad un tribunale di Los Angeles Chiquita e altre 3 multinazionali per il reiterato utilizzo e l’esposizione dei lavoratori sia al Nemagón che al Fumazone.

CONCLUSIONI

La rivalutazione dell’immagine aziendale, macchiata gravemente da queste vicende non può essere recuperata solo da campagne come “Chiquita e Topolino” per cui con accordi con la Disney si sponsorizza l’impegno di Chiquita per la salvaguardia e la protezione di un lembo di foresta pluviale in Costa Rica. Credo sinceramente sia troppo facile e limitativo…

La mia intenzione con questo lungo articolo non è però assolutamente quello di puntare e mettere in cattiva luce Chiquita Brands, visto che molti degli argomenti e delle violazioni descritti possono essere tranquillamente estesi a molte altre multinazionali del settore bananiero come dichiarato solo poco tempo fa anche da Salvatore Mancuso, uno dei leader della AUC: "Ci pagavano tutti i produttori di banane. Tutti. Facemmo quest'accordo con Chiquita, Dole, Banacol, Uniban, Proban e Del Monte. Ci pagavano un centesimo di dollaro per ogni cassetta esportata. [...] Dole s'incaricava di raccogliere il denaro [...] che si distribuiva proporzionalmente tra la Casa Castaño, il Bloque Bananero, una parte in opere pubbliche e l'altra per corrompere istituzioni dello Stato". L’unico scopo è invece quello di cercare di fare chiarezza su queste realtà sicuramente “poco limpide”, magari approfittando dell’eccellente prova di maturità che Chiquita ha dado cercando il dialogo con mezzi di comunicazione, anche se piccoli come questo blog. Credo sia importante cercare di rendere giustizia a tutte le vittime, i familiari, le organizzazioni sociali e la popolazione civile purtroppo affettate da queste ingiuste atrocità e per cui l’implicazione di multinazionali come Chiquita non può e non deve passare inosservata.