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Cina-USA, la storia si ripete. A chi gioverà la corsa al riarmo?

di Paolo De Gregorio - 15/06/2007

 


“Historia magistra vitae!” Pare proprio che gli uomini siano allergici alla ragionevolezza e agli insegnamenti della Storia, come dimostra la decisione cinese di potenziare la sua flotta per fronteggiare nel Pacifico la potenza navale americana che dalla fine della 2a guerra mondiale non ha più lasciato quelle acque.
Il ricordo va allo stesso fenomeno a cui abbiamo assistito, sempre alla fine della 2a guerra mondiale, che riguardò la Unione Sovietica, che scelse di affamare i suoi cittadini pur di raggiungere un livello di potenza militare pari e forse superiore a quello americano.
Non avendo l’URSS la stessa capacità finanziaria, industriale, commerciale degli USA, questo confronto sottrasse tante risorse al popolo russo che al momento della crisi,con gli arsenali pieni e i supermercati vuoti, nessuno difese quel regime, nemmeno i generali e i servizi segreti.
La strategia Usa di fare una grande pressione militare ai confini con l’URSS (la guerra fredda) fu vincente e la Storia cambiò per questa superiorità strutturale e finanziaria dell’America.
L’Urss abboccò alla corsa agli armamenti e alla strategia del terrore della distruzione reciproca, senza tener conto di un aspetto fondamentale della sua storia, che dimostra che qualunque esercito invase la Russia fu annientato, e che la più grande potenza imperiale, gli Usa, non riuscì in 20 anni ad avere ragione di un piccolo popolo di poveri contadini in Vietnam, e anche la precedente guerra di Corea dimostrò che erano una tigre di carta.
Le attuali guerre in Iraq e Afghanistan confermano la impossibilità di piegare un popolo ai propri voleri, anche se si tratta della più grande potenza militare del mondo, e sono sicuro che anche da lì gli americani e i loro complici saranno cacciati.
Tutta questa premessa per dire che la Cina non dovrebbe abboccare alla corsa agli armamenti che la pressione di 200 navi della terza e settima flotta americana (sei portaerei, 2000 aerei imbarcati, 60 sottomarini, 250.000 marinai, ecc. ecc.) gli propone, per fronteggiare le quali si dovrebbe dissanguare, e pensare solo ad una strategia difensiva che renda il suo territorio inattaccabile.
La Cina è preoccupata per i rifornimenti petroliferi che percorrono la rotta che va dai paesi arabi allo stretto di Malacca, fino al Mar Cinese Meridionale, che sono pattugliati da questa enorme e provocatoria presenza navale.
Ma la Cina ha una grande carta da giocare senza farsi intrappolare in un confronto militare. Basta guardare la carta geografica: essa confina a Nord con la Russia da cui , con un apposito gasdotto, può arrivare il gas naturale di cui la Russia è il più grande produttore mondiale, e soltanto l’Afghanistan la separa dall’Iran, e forse il vero scopo della guerra è di impedire a Cina e India di costruire oleodotti capaci di rifornire queste economie del petrolio necessario, fuori dal controllo del dollaro, e al riparo dalla flotta Usa.
Per i cinesi fare una politica in tal senso, chiedendo con forza una conferenza di PACE per l’Aghanistan e il ritiro Usa dall’Iraq, anche con la forza di poter manovrare sul versante monetario che gli consentono le loro grandi riserve di dollari, è una strada più intelligente del potenziamento della Marina, anche a rischio di perdere Taiwan.
La fine della egemonia anglofona sul Medio Oriente significa il rafforzamento di un mondo multipolare, l’autonomia dell’Europa, la prospettiva di una economia libera e non condizionata dalle minacce militari.
Quanto alla questione di Taiwan, è utile ricordare chi ha creato questo problema: nel 1949 l’esercito del Kuo-Min-Tang, del generale Chiang-Kai-shek, sconfitto dalla rivoluzione di Mao-Tse-Thung, fu fatto riparare sull’isola di Formosa appoggiato dalle forze navali americane, senza le quali la “questione di Taiwan” non ci sarebbe mai stata.