L'onda blu
di Alain de Benoist - 15/06/2007
In Francia si parla di “stato di grazia”per definire il pregiudizio favorevole
di cui gode automaticamente
ogni nuovo Presidente della Repubblica
durante i mesi successivi alla sua elezione.
Ciò spiega perché ogni volta che le
elezioni legislative sono state organizzate
subito dopo una elezione presidenziale,
come nel 1981, nel 1988 e nel 2002, gli
elettori hanno dato al neo eletto capo dello
Stato l’ampia maggioranza richiesta.
Con ogni probabilità avverrà lo stesso nei
prossimi 10 e 17 giugno, quando 44,5
milioni di francesi ritorneranno alle urne
per dare il voto decisivo ai 7.750 candidati
attualmente in lista per la conquista dei
577 seggi di deputati all’Assemblea
nazionale. Tutti si aspettano un’“onda
blu”, ossia un ampio successo dell’UMP,
il partito di Nicolas Sarkozy, mentre per i
socialisti l’unica questione che si pone è
verificare l’ampiezza della loro sconfitta.
Con il 37% delle dichiarazioni di voto al
primo turno, l’UMP dovrebbe ottenere tra
le 336 e le 415 circoscrizioni. Il PS, da
parte sua, con il 28%
delle dichiarazioni di
voto, dovrebbe assestarsi tra le
149 e 190 sezioni, ossia un
po’ di più dei 141 seggi di cui
dispone attualmente, ma ciò
non impedirà all’UMP di disporre
di una maggioranza
assoluta.
Dopo tre fiaschi successivi
alle presidenziali, il PS, divenuto
partito di notabili e funzionari,
si ritrova oggi davanti
ad un programma arcaico e ad
un sistema di alleanze superato.
Quanto al partito comunista,
che rappresentava più del
20% degli elettori all’inizio
degli anni ‘70 ed aveva ancora
raccolto il 15,3% dei voti alle
presidenziali del 1981, con
poco più dell’1% si è trasformato
in un fantasma. E dunque
la sinistra abborda questa
nuova scadenza elettorale sulla
difensiva. Il suo obiettivo è
cercare di farcela nelle 203
circoscrizioni in cui Ségolène
Royal ha superato Nicolas
Sarkozy il 6 maggio, e particolarmente
in quelle attualmente
rappresentate in Parlamento
da un deputato di
destra. Il PS potrà così guadagnare
qualche seggio, particolarmente
in Bretagna. La parola
d’ordine è: non lasciare “i
pieni poteri” a Sarkozy.
L’ unica vera incognita è il
punteggio del Movimento
Democratico (MoDem), il
nuovo partito che François
Bayrou vuol rendere autonomo,
mentre afferma che ha già
registrato 75mila domande di
adesione e che presenterà 535
candidati alle elezioni. Per
ora, i sondaggi gli attribuiscono
il 14,5 delle dichiarazioni
di voto. François Bayrou, che
per lo meno è riuscito a riunire
seimila persone a Parigi in
occasione del meeting del 24
maggio, sa che Sarkozy e
l’UMP faranno di tutto per eliminarlo
dal paesaggio politico.
Inoltre dovrà lui stesso
affrontare, per la prima volta,
nella sua circoscrizione dei
Pirenei-Atlantico, un candidato
di Sarkozy. Per evitare una
traversata del deserto, il dirigente
centrista può contare
esclusivamente sull’evoluzione
del PS.
Oggi in preda ad una crisi profonda,
i socialisti non possono
far altro che constatare
che la strategia di “unione
della sinistra” elaborata da
François Mitterrand al congresso
di Epinay (1971) è
ormai divenuta impraticabile
per mancanza di partners.
L’ interlocutore principale
della sinistra di governo
deve essere perciò trovato
altrove, il che porta i socialisti
alla convinzione che
essi potranno tornare al
potere solo con l’appoggio
dei centristi. Per essere più
precisi, il PS dovrà scegliere
nei prossimi mesi se allearsi
con il centro o, per lo meno,
cercare “nuove convergenze”
con lui (Ségolène Royal), trasformarsi
per “realismo” in un
partito apertamente socialdemocratico
allineato ai suoi
omologhi europei (Dominique
Strass-Kahn) oppure adottare
una linea “di sinistra” (Laurent
Fabius) e cioè creare “un
partito progressista” sul
modello del partito fondato in
Germania, a sinistra del SPD,
da Oskar Lafontaine. Questa
scelta, che si annuncia dolorosa,
non si farà dall’oggi al
domani. Non è escluso che si
traduca in una scissione. È per
questo che François Bayrou, il
quale ritiene che il PS non
arriverà a rinnovarsi e che
Sarkozy non riuscirà a risanare
il Paese, ha più convenienza
nell’immediato a rivolgersi
a sinistra piuttosto che a negoziare
con la destra.
Malgrado gli sforzi spiegati da
Jean-Marie Le Pen, che si è
prefissato l’obiettivo di fare
campagna elettorale nelle venti
principali regioni di Francia,
spostandosi con un piccolo
aereo privato, il Front National
avrà gran difficoltà a cancellare
il proprio “score” delle
elezioni presidenziali. Per il
momento i sondaggi lo danno
soltanto tra il 4 e il 7% dei
voti, e ciò finirebbe per impedire
ai candidati da lui sostenuti
di qualificarsi per il
secondo turno (il che è possibile
solo alla condizione di
ottenere al primo turno il
12,5% degli iscritti, ossia circa
il 16% dei votanti). Risultato
che potrebbe mettere il FN
in una situazione finanziaria
difficile, poiché è sulla base
dei risultati alle elezioni legislative
che viene calcolata la
sovvenzione dello Stato ai
partiti politici.
Le legislative dovrebbero dunque
confermare il passaggio di
gran parte dell’elettorato frontista
verso l’UMP di Sarkozy.
Alle elezioni presidenziali, la
mappa della perdita dei voti
subiti dal FN si sovrapponeva
esattamente, soprattutto nel
sud della Francia, a quella della
vincita registrata da Sarkozy.
Sin dal primo turno,
quest’ultimo ha saputo attrarre
il 28% degli elettori lepenisti
del 2002. Al secondo, ha ottenuto
il suffragio del 63% del
voto di Le Pen del 22 aprile.
Queste cifre permettono di
misurare l’ampiezza dell’attrazione
dei voti realizzata.
Il FN è stato letteralmente
depredato da Sarkozy.
Nicolas Sarkozy ha infatti
compreso benissimo che il
mezzo migliore per indebolire
il FN non era opporvisi
frontalmente, come aveva
fatto Chirac, ma riprendere
in prima persona l’essenziale
del suo discorso. È proprio
ciò che ha fatto nel
corso della sua campagna
presidenziale, senza retrocedere
davanti a nessuna
parola o gesto in grado di
sedurre l’elettorato frontista.
Strategia pagante che mostra,
ancora una volta, che la destra
classica è in una posizione
migliore rispetto alla sinistra o
all’estrema sinistra per arrestare
il proliferare della destra
“radicale”.
Storicamente parlando, in
effetti, la destra dura non è
mai stata battuta dalla sinistra,
ma sempre dalla destra moderata
più abile a captare la sua
eredità. Il grande errore di Le
Pen è stato di non aver compreso
in pieno questa minaccia
e di non aver denunciato
Sarkozy come suo avversario
principale sin dall’inizio del
gioco.
(Traduzione di Gertrude Testini)