Guerre politiche. Goffredo Parise sulla propria epoca impazzita e corrotta
di Stenio Solinas - 15/06/2007
C
he cosa spinse GoffredoParise, fra la fine degli anni
Sessanta e la prima metà
degli anni Settanta, a scrivere
di “guerre politiche”?
L’aggettivo che sorregge e
corregge il sostantivo è del
resto suo e proprio
Guerre politiche si intitolòallora la raccolta di
reportage dello scrittoreveneto che ora Adelphi ripresenta (275
pagine, 13,50 euri). Quarant’anni dopo, è
cambiato tutto, ma è come se non fosse successo
niente. Il Vietnam che fu il suo battesimo
del fuoco, conosce le carte di credito, le
griffes
della moda internazionale e la proprietàprivata, il Laos e la Cambogia sono
mete da turismo di lusso, decine di nuovi
Biafra, ultimo in ordine di tempo il Darfur,
hanno via via preso il posto di quello storico
e dimenticato, il Cile è tornato alla democrazia,
ma Pinochet, che prima la seppellì e poi
di nuovo la permise, è morto nel suo letto e
c’è chi ha pianto per lui...
Nell’avvertenza che Parise scrisse a mo’ di
prefazione, le ragioni di quei viaggi rimangono
oscure:
«Partecipazione umana? Sì, inparte. Curiosità politica? In parte. Inquietudine
intellettuale e personale? In parte.
Amore del rischio? In parte, perché in quegli
anni la vita non mi piaceva e mi piaceva
invece giocarla, stupidissimamente. Tutte
queste parti, però, non fanno l’intero, nemmeno
la più piccola parte dell’intero. Per
cui la domanda “perché quei viaggi?”
rimane nell’oscurità e io non so dare una
risposta a me stesso. Sono quelli che si diceva
un tempo “casi della vita”».
Eppure, frale tante ipotesi citate e in fondo scartate, l’unica
che veramente conti viene lasciata, più
o meno inconsapevolmente, da parte, per il
senso di costrizione che da essa sarebbe
emanato, per l’imbarazzo che si sarebbe portata
dietro. La chiameremo lo
Spirito delTempo
e qui di seguito cercheremo di spiegarla.Scrittore apolitico arrivato al successo di critica
con un romanzo surreale e fiabesco,
Ilragazzo morto e le comete
, e a quello di pubblicocon
Il prete bello, epopea sgangheratae picaresca dell’Italia provinciale fra le due
guerre, alla fine degli anni Sessanta, quando
in Europa scoppia la contestazione, in Africa
e in Asia la decolonizzazione si tinge sempre
più di fremiti rivoluzionari e nelle Americhe
soffia il vento della rivolta sociale, economica
e dei costumi, Parise è uno scrittore in
affanno sulla propria epoca. Romanziere
puro, si ritrova circondato da colleghi che
giurano sulla morte del romanzo, genere
borghese e ottocentesco, lo accettano solo in
forma “sperimentale”, plaudono all’“opera
aperta”. Intellettuale non impegnato e non
allineato, si ritrova circondato da colleghi
che firmano manifesti e petizioni, spesso
senza nemmeno leggerli, partecipano a sit-in
e marce di protesta, si sentono rivoluzionari,
sognano l’uomo nuovo e una palingenesi
epocale. E‚ il
Zeitgeist, lo Spirito del Tempo,appunto, e Parise se ne rende perfettamente
conto: sa che non è il suo spirito e il suo
tempo, ma una sorta di astuzia terragna, contadina,
la sua condizione di figlio di padre
ignoto all’anagrafe, e quindi di
outsider inuna società dentro la quale si è fatto spazio a
forza e grazie al suo talento, gli consiglia di
non andare completamente controcorrente:
rischia l’ostracismo della “classe dei colti”,
la messa al bando. In più, è in un momento
particolare della sua carriera di scrittore, ha
mutato registro e interessi, ha appena scritto
Il padrone
, un classico romanzo sull’industriaeditoriale come allora la moda esige, ma
non è un grande romanzo, è in crisi narrativa,
non sa bene che cosa il futuro gli riserva...
Così, non trova altro da fare che lasciarsi trasportare
dal fiume della storia e dalle ideologie
che lo solcano, si chiamino esse guerra
del Vietnam, fame del Biafra, golpe del
Cile... L’importante è restare a galla, vedrà
lui, durante il percorso, come navigare, quando
e se approdare.
Letti in quest’ottica, i reportage di
Guerrepolitiche
sono un piccolo capolavoro di veritàe menzogna, di autocensura e di equilibrismi
ideologici, di squarci letterari e di fughe
in avanti teoriche e, sotto questo profilo, il
resoconto dell’esperienza cilena è il più
emblematico e il più illuminante. L’esperimento
socialista di Allende, lo sconquasso
che esso provocò, la crisi economica e il colpo
di Stato militare che ne seguì, provocarono
in Italia emozioni vivissime. In campo
politico, fu il fallimento cileno a dar vita alla
cosiddetta teoria del “compromesso storico”,
ovvero l’idea che in nazioni dove esisteva
una radicata e forte componente moderata di
borghesia degli affari e delle professioni, fosse
rischiosa e anche controproducente una
scelta politica tendente alla sua esautorazione
e/o eliminazione e più logica una pratica di
alleanze e di gestione congiunta del potere.
In campo etico-ideologico, quell’esperimento
servì alla messa a punto di una visione
socialcomunista più sentimentale che reale,
dove la repressione vincente veniva usata per
la costruzione di una rivoluzione sconfitta
che aveva dalla sua la nobiltà e la fierezza, la
giustezza della causa stroncata nel fiore delle
aspirazioni, il martirio dei suoi ideatori. Così
facendo, si metteva la sordina al velleitarismo
e alla cecità degli stessi, alla realtà
minoritaria che ne era alla base (Allende non
aveva vinto le elezioni, il socialismo non era
maggioranza nel Paese) alle infantili pulsioni
rivoluzionarie (l’estremismo come malattia
infantile del comunismo, appunto) che l’avevano
portata al disastro.
Di tutto ciò Parise era perfettamente consapevole,
ma sapeva altrettanto bene che
occorreva misurare le parole, dire e non dire,
pagare qualche tributo al “politicamente corretto”
dell’epoca, giocare una sorta di partita
a scacchi con il pensiero unico imperante,
accettarlo per – in qualche modo – sfuggirlo.
Così, il reportage si apre con una dichiarazione
di intenti tanto nobile quanto ipocrita e
falsa: «In un Paese sconvolto da avvenimenti
politici che sono andati in un certo modo e
da azioni militari che si sono concluse in un
certo modo, lo scrittore sa sempre dove
andare: egli andrà “naturalmente” verso la
parte più umile di quel popolo, verso la parte
più povera e diseredata, e illusa e delusa.
Dell’altra parte di popolo (le altre classi
sociali) lo scrittore diffida, perché prive di
sogni e di speranze. La parte di popolo che
subisce sogna la libertà come una cosa semplice.
L’altra parte di popolo (le altre classi
sociali) sanno invece che la libertà è un complicato
corpo a corpo senza libertà, dove è
sempre necessario vincere. La parte di popolo
che sogna la libertà spesso muore senza
averla vista. L’altra parte muore egualmente
senza averla mai vista e nemmeno sognata».
Non c’è bisogno si scomodare la storia per
ricordare come questa dicotomia storicamente
non abbia alcun senso, come le istanze di
libertà e democrazia siano anche e soprattutto
aristocratiche e borghesi, nate cioè in classi
sociali che nel teorizzarle e perseguirle
misero spesso a repentaglio rendite di potere
economico e di prestigio sociale. Il Risorgimento
italiano nasce così, la rivoluzione bolscevica
è avanguardia intellettuale, gli Stati
generali alla base di quella francese, vedono
nobiltà e borghesia contro lo strapotere di
Versailles... Ma Parise non è uno storico e
quello di cui ha bisogno è la strizzata d’occhio
verso gli “umiliati e offesi” di cui a sinistra
e da sinistra ci si fa banditori, il popolo
buono che sogna contro la cinica classe borghese,
i momios, le mummie, come sempre
il popolo ne ha ribattezzato i componenti:
senza vita, senza sentimenti, senza ideali...
E‚ una strizzata d’occhio necessaria, perché,
da cronista, Parise fa parlare tutti, riconosce
che “Allende tentò di rendere‚ politicamente
cosciente‚ il sottoproletariato, riuscendovi in
minima parte, che lo illuse e deluse per troppo
cuore e troppa poca ragione”, dà conto
delle ragioni e delle paure della classe media,
degli esperimenti sociali dei moderati, del
delirio ideologico di socialisti e comunisti.
Scrive, insomma, un perfetto reportage nello
stile del suo tempo disprezzo per il quieto
vivere, la maggioranza silenziosa impaurita,
l’idea che legge e ordine, economia e disciplina
siano di per sé valori negativi, e tuttavia,
giunto alla fine, il lettore si chiede quanto
le imbecillità estremiste, l’incapacità a
programmare, l'insufficienza rivoluzionaria
non siano le vere cause del golpe, non la
paura delle riforme, dunque, ma il fallimento
delle stesse per cecità, incapacità, violenza
gratuita.
Laddove Parise non deve pagare in qualche
modo un tributo al proprio tempo,
Guerrepolitiche
resta un buon esempio delle suequalità di scrittore, il tenace e felice tentativo
di “dare sempre l’odore, il sapore delle
cose”, l’occhio assoluto capace di cogliere
un lenzuolo insanguinato che scivola da un
elicottero e schiocca nell’aria bollente del
Vietnam come una bandiera. In Vietnam, in
Biafra, nel Laos, questa specie di “fame fisica
e mentale che porta a confondere il proprio
sangue con quello degli altri, in luoghi e
Paesi che non siano soltanto quelli della propria
origine” raggiunge i suoi massimi.
Dopo, Parise altri viaggi del genere non ne
farà più. Un po’ perché la leucemia glielo
impedirà, un po’ perché
«secondo un certoobbligo corrente è quasi indegno uno scrittore
che non fa‚ “viaggi politici” e i viaggi
puri e semplici potrebbero significare “disimpegno”.
(Quante virgolette, ma anche
quanti termini che vanno presi con le molle,
cioè con le virgolette). Personalmente, dopo
tutti i miei viaggi, non me ne importa niente
delle parole impegno e disimpegno. Lo confermo,
sapendo a cosa vado incontro».
Mase n’era già accorto mentre li faceva e, a
mente fredda, era consapevole di aver dovuto
barare per portarli a termine.