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Costantinopoli dall’altra parte della barricata

di redazionale - 17/06/2007

La pubblicazione nella collana “Islamica” della traduzione de La caduta di Costantinopoli dello storico turco Tursun Bey permette di osservare da una prospettiva diversa quello che, per il suo valore simbolico, fu avvertito come un evento epocale nella storia del mondo cristiano.
Il rovesciamento di prospettiva ci pone di fronte non a una disastrosa catastrofe, un eccidio e un barbaro saccheggio voluto da un mostro sanguinario, bensì alla gloriosa impresa di un abile condottiero, di un imperatore saggio e colto. L’aspetto più interessante di questa iniziativa editoriale, giunta al suo secondo volume, è proprio la possibilità di confrontare le due versioni, quella degli storici occidentali cristiani e quella degli storici turchi, nel tentativo di avvicinarsi il più possibile alla verità storica.


Quella che per taluni era stata la «caduta» di Costantinopoli, per altri fu la «conquista» di Istanbul, nuova splendida capitale dell’ecumene islamico. Caduta contro conquista, Costantinopoli contro Istanbul: gran parte del fascino della cronaca di Tursun Bey sta in questa dialettica, indicata da Michele Bernardini nella sua introduzione a La conquista di Costantinopoli (Mondadori, pp. 298, euro 16).
Tursun Bey era il cronista di corte di Maometto II il Conquistatore, il sultano turco che espugnò Costantinopoli il 29 maggio 1453. Un evento che sconvolse tutto il mondo cristiano, orientale e occidentale, per una volta unito nell’esecrazione e nello sgomento, più che altro per il significato simbolico della presa della «seconda Roma», visto che l’impero bizantino era comunque già ridotto all’ombra di se stesso. Abbiamo molti racconti di storici greci e latini che narrano e commentano l’evento. Ma qui la prospettiva è rovesciata: Tursun Bey ci mostra il punto di vista dei turchi. E, ovviamente, quella che per i cristiani fu una catastrofe, rifulge qui come la stella più luminosa nel firmamento di un sovrano grande e saggio [...].
Tursun Bey è un musulmano devoto: molto più di Maometto II, che non appartiene alla razza dei guerrieri della fede ma a quella dei grandi condottieri e imperatori, alla stirpe di Alessandro Magno, di Gengis Khan, di Giulio Cesare: un uomo che guarda oltre i confini della sua stirpe e del suo credo, che sogna un impero universale in cui si mescolino razze e religioni. Maometto II fu visto in Occidente come un mostro sanguinario, un diavolo sterminatore. Ovviamente, in Tursun Bey la prospettiva è opposta. Gli infedeli cristiani sono brutali, stolti e vigliacchi, mentre il Turco si distingue per valore e saggezza.
Bernardini suggerisce di confrontare le due diverse versioni dell’ingresso del Sultano nella chiesa di Santa Sofia. I resoconti cristiani sono cronache dell’orrore. La leggenda diceva che Maometto II in persona aveva violentato sull’altare maggiore, ponendole un crocefisso come cuscino, la figlia del granduca bizantino. E nell’esecrazione del turco l’indignazione dei fedeli si sommava a quella degli umanisti, commossi dalla fine dell’ultima capitale imperiale. Spesso, il fedele e l’umanista erano la stessa persona, come Enea Silvio Piccolomini, il grande dotto che poi diventerà papa col nome di Pio II: «I turchi sono gente discendente dagli sciti, che viene dalla profonda barbarie. Ravvoltolati nella libidine tengono in poca considerazione lo studio delle lettere». [...]
Tursun Bey, che accompagnò Maometto II al suo primo ingresso in Santa Sofia, racconta ovviamente una storia diversa. Dice che il Sultano si rammaricò dello stato pietoso di alcune parti dell’edificio, ammirò la bellezza e l’ingegnosità della cupola e sospirò sulla caducità delle cose terrene. Altri aggiungono che, vedendo un soldato turco danneggiare una lastra di pietra, lo cacciò a bastonate.
Ovviamente, l’agiografia pareggia la leggenda nera quanto a esagerazione. Maometto II non era un barbaro, era circondato da intellettuali e artisti occidentali, ma era anche uno spietato uomo d’azione. A un certo punto Tursun Bey si compiace parlando dei soldati turchi che con le loro sciabole fanno a fette gli infedeli «come si trattasse di cetrioli». Può comunque essere curioso sapere che il nemico in questo caso è rappresentato da Vlad della Valacchia, il principe che diede origine alla leggenda di Dracula, noto anche come «l’Impalatore», per il trattamento che riservava ai turchi. Insomma, per parafrasare Lenin, la storia, come la rivoluzione, non è un pranzo di gala. Meglio ricordare le pagine in cui Tursun Bey esalta, in Maometto II, «la delizia del perdono e della benevolenza» che trionfa sulla durezza della legge islamica, la sharia . Citando un proverbio che alcuni islamici, oggi, hanno dimenticato: «La generosità vince la sharia».