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Il caso Priebke. Tra giustizia e supergiustiza

di Carlo Gambescia - 18/06/2007

 

Un premessa. La nostra condanna per i crimini commessi da Priebke è totale. E, in quel che scriveremo, non c’è alcuna volontà di sminuirli o di trovare giustificazioni. Così come è totale la nostra solidarietà verso le vittime. E ovviamente verso congiunti e parenti dei Caduti delle Fosse Ardeatine.
Quel che invece desideriamo sottolineare, prendendola come nostro solito da lontano, è quel conflitto, tra teoria e pratica, che distingue il diritto moderno, e in particolare quello penale. Probabilmente fin dalle sue origini. Veniamo subito al punto.
Per un verso il diritto moderno pretende di fondarsi sul principio dell’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, mentre per l’altro, in alcuni casi specifici (come ad esempio quello di Priebke), mostra di voler ignorare tale principio. E qui va ricordato che il diritto moderno, nato e sviluppatosi dalle e attraverso le rivoluzioni inglese, americana e francese, è frutto di un nobile sforzo. Quale? Quello di voler imprimere “sulla” società un principio giuridico, cercando di uniformare quel che in realtà non sempre può essere uniformato: gli interessi e i valori degli uomini e dei gruppi sociali. Insomma, di voler conciliare il diritto con la sociologia.
Tutta la storia del moderno stato di diritto è perciò segnata dal conflitto, tra l’affermazione del principio che tutti gli uomini sono uguali davanti alla legge e il tentativo di attuare concretamente l’ uguaglianza nel diritto, nei diritti e nelle procedure penali. Qui non si vuole mettere in discussione il valore morale del principio, ma spiegare le ragioni della sua faticosa affermazione, soprattutto se intesa e auspicata nella sua compiutezza. Perché il problema è appunto questo: per la prima volta nella storia, il diritto, dopo essersi affrancato da principi extragiuridici, ha cercato di costituirsi, in parte riuscendovi e in parte no, come un sistema organizzativo, basato sulla generalità (in termini applicativi) del diritto positivo e sul rispetto di procedure uguali per tutti. E questo, nonostante gli uomini e i gruppi sociali, da parte loro, continuino tuttora a rispecchiare e promuovere, all’interno della stessa società moderna, interessi e valori, particolari e mutevoli nel tempo. Insomma, dal punto di vista sociologico (e dunque senza conferire alcuna connotazione morale all’intera questione), alla giustizia dello stato di diritto, continua ad opporsi, regolarmente, la supergiustizia invocata dai gruppi sociali portatori di interessi e/o valori settoriali. Come del resto è giusto che sia, dal punto di vista della dinamica sociale.
Il che però significa, che quel che alcuni avvertono come ingiustizia, per altri può non esserlo. Ma, ecco il punto, quel conta - nella tradizione moiderna - è che lo stato di diritto, possa riuscire a imporsi, ogni volta, come giuridicamente super partes, sui gruppi particolari. Per il bene di tutti, e poi vedremo perché. Perciò, come nel caso Priebke, è sociologicamente scontato che certi gruppi sociali sollecitino l’applicazione inesorabile di una supergiustizia, capace di andare oltre i normali principi della giustizia moderna, basata sull’uguaglianza giuridica, promossa, difesa e rappresentata dallo stato di diritto Il che, se valutiamo i gravi delitti di cui si è macchiato l’ex ufficiale nazista, può essere comprensibile sul piano morale. Ma quel che può essere compreso, se non giustificato, dal punto di vista della supergiustizia (che si fonda su valori e/o interessi), può però non esserlo da quello della normale giustizia amministrata dal diritto moderno, che deve imporre procedure e “certezze”uguali per tutti, a prescindere dalle connotazioni politiche, morali e di interessi. Di conseguenza, se la legge, prevede e consente un determinato trattamento di clemenza nei riguardi dell’ex ufficiale nazista, non può essergli negato, proprio in nome del principio di uguaglianza davanti alla legge. Anche perché, la stessa legge consente a coloro che eventualmente possano essere contrari a quel trattamento, la sua impugnazione.
Quel che invece va assolutamente evitato è la trasformazione della “pressione” esterna (extragiuridica) sullo stato di diritto, come frutto di una cieca volontà di supergiustizia, in un verdetto di colpevelezza o innocenza... Perché un fatto del genere, può distruggere, nel tempo, le fondamenta stesse del moderno sistema di giustizia. Anche quando, al centro della vicenda giudiziaria, vi sia un vecchio nazista, probabilmente non pentito, come Priebke. Dal momento che è proprio in certe situazioni difficili che andrebbe dimostrata la superiorità funzionale ( attenzione non morale, eccetera…) dello stato di diritto, rispetto alle altre organizzazioni giuridiche della storia umana.
Che fare? Una via d’uscita, ma in contraddizione con i principi dello stato di diritto, può essere fornita, dalla creazione di magistrature speciali (come quella militare, che però ha condannato Priebke, sulla base di fortissime pressioni extragiuridiche…), ritenute capaci di trattare, in termini di “supergiustizia” ,socialmente organizzata, i delitti di particolare gravità e ripugnanza sociale. In tale senso, si potrebbe introdurre per certi delitti, il principio di “odiosità sociale”. Criterio che andrebbe a fare il paio, con quello, già giudizialmente utilizzato, di “crimini compiuti contro l’umanità”. Tuttavia, va segnalato un pericolo: creando magistrature speciali, si rischia di far nascere pericolose ingiustizie, basate appunto sulla disparità di trattamento. Inoltre resterebbe difficile, se non a prezzo di equilibrismi legislativi e di tecnica giuridica, conciliare sul piano procedurale, il rispetto dell’uguaglianza davanti alle legge con provvedimenti restrittivi, basati sul criterio (extragiuridico) della supergiustizia.
Non restano perciò che due possibilità. O la applicazione integrale, e quindi anche a figuri come Priebke, delle procedure della giustizia moderna, fondate sul principio di uguglianza, ignorando gli interessi, legati al desiderio di supergiustizia di gruppi particolari. Oppure, fare un passo indietro, e istituire, magistrature speciali, non solo internazionali ma anche interne, ispirate a criteri di supergiustizia, da affiancare a quella ordinaria.
Per contro, quel che va assolutamente evitato è continuare a barcamenarsi tra l’uguaglianza formale e la disuguaglianza sostanziale, o se si vuole, tra giustizia e supergiustizia. Perché ne va della sorte del moderno stato di diritto, come principio di organizzazione sociale.
La posta in gioco è altissima.