Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Significato e valore della vita nel pensiero di Rudolf Eucken

Significato e valore della vita nel pensiero di Rudolf Eucken

di Francesco Lamendola - 19/06/2007

 

 

 

 

 

 «Carneade, chi era costui?», si chiedeva più irritato che incuriosito don Abbondio davanti a quel nome che gli ricordava qualcosa, ma non ricordava più che cosa. Allo stesso modo, uno studente di filosofia dei nostri giorni potrebbe domandarsi: «Eucken, chi era costui?»: un nome che ricorda vagamente qualcosa, ma cosa?  Forse, il nostro studente ricorderà, con un certo sforzo di memoria, che Max Scheler, il teorico dell'etica dei valori, era stato studente di Eucken e ne aveva subito l'influsso in modo non certo superficiale; ma chi era, a sua volta, questo Eucken, e che cosa aveva fatto, oltre a contribuire alla formazione di Scheler e quindi, indirettamente, allo sviluppo della fenomenologia?

In effetti, i testi di storia della filosofia ad uso scolastico peccano, quasi tutti, di conformismo culturale: vi si trovano solo certi autori che fanno, per così dire, audience; altri, magari non meno importanti, devono accontentarsi di una citazione frettolosa in poche righe, o magari neppure di quella. E il Nostro si trova, appunto, in una situazione del genere. E' penoso vedere quanti sforzi facciano i curatori dei testi di filosofia (ma anche di storia della letteratura) per 'aggiornarsi' inserendo qualche pagina o magari un capitoletto sul più recente enfant prodige della cultura "d'avanguardia", sull'ultimo pensatore alla moda; nomi che, fra pochi anni solamente, diranno poco o niente al grande pubblico, dato che ricadranno nell'oscurità da cui erano emersi d'improvviso, come meteore, sulla scia di qualche iperbolica lode della critica "ufficiale", di qualche intervista sulla stampa a grande tiratura, di qualche lucroso best seller che resterà in vetta alle classifiche dei libri più venduti per qualche settimana o qualche mese, giusto il tempo di venire debitamente consumato e digerito dal capace stomaco della cultura di massa. Almeno tutto questo conformismo, tutta questa corsa alla 'modernità' sortisse l'effetto di far studiare un po' approfonditamente i filosofi contemporanei; macché! I testi scolastici, generalmente parlando, ci regalano la sagra della banalità, della ovvietà, dell'insipidezza critica.

Ma lasciamo perdere queste malinconiche considerazione torniamo a dove eravamo partiti. Sfogliando L'Enciclopedia Garzanti di Filosofia (edizione 1992), alla voce Eucken troviamo questo breve profilo bio-bibliografico:

"Eucken, Rudolph (aurich, Frisia orientale, 1846-Jena 1926), filosofo e scrittore tedesco. Fu docente a Basilea e quindi all'università di Jena. Fece parte di quella corrente di pensiero che reagiva alle dottrine del positivismo e che confluì in parte nella fenomenologia.

"Eucken studiò il concetto della vita, nella quale individuò un livello biologico (la natura) e un livello noologico (il mondo spirituale), fra loro irriducibili, anche se sostenne che devono essere considerati in stretta connessione. Al vertice del mondo dello spirito Eucken collocò la sfera del divino, la cui espressione più alta è il Dio cristiano. Egli tuttavia rifiutò le istituzioni storiche in cui il cristianesimo si è cristallizzato, propugnando una religiosità e una visione del mondo fondate esclusivamente sulla libertà interiore dell'uomo. Opere principali: Storia e critica dei concetti fondamentali del nostro tempo (1878); La visione della vita dei grandi pensatori (1890); Il contenuto di verità della religione (1901); Il significato e il valore della vita (1908).

Notiamo, en passant, che il curatore di questa "voce" ha tralasciato di citare una sciocchezzuola come il conseguimento del Premio Nobel per la Letteratura, nell'anno 1908: perchè Rudolf Eucken, horribile dictu!, oltre a essere un filosofo originale vigoroso era anche uno scrittore che sapeva tener bene in mano la penna, cosa supremamente sconveniente nell'ambito ella filosofia accademica, specialmente tedesca, dove - da Fichte in poi - scrivere in modo pressoché incomprensibile sembra essere stato uno dei requisiti indispensabili per essere presi seriamente in considerazione nei salotti buoni della cultura. Nel 1927 lo stesso riconoscimento sarebbe toccatoa un altro filosofo, questa volta dell'area francese: Henri Bergson, l'autore de L'evoluzione creatrice, di Materiae memoria e de Le due fonti della morale e della religione, e del quale tutti gli studenti ricordano, almeno, l'esaltazione dell'élan vital, dello 'slancio vitale', come tipico esempio (ma sarà poi vero?) di una filosofia pericolosamente vitalistica e irrazionalistica.

Il conferimento del Premio Nobel a Rudolf Eucken avvenne nel 1908, che fu un anno drammatico per la politica europea, in quanto sembrò foriero di quella tempesta che da tempo brontolava all'orizzonte e che tutti temevano, pur senza credervi veramente (arriverà, assai più distruttiva del previsto, nel 1914, e sarà la prima guerra mondiale). Infatti in quell'anno il ministro degli Esteri dell'Impero austro-ungarico, Aerenthal, realizzò il "colpo" da tempo paventato dalle diplomazie europee, dell'annessione della Bosnia-Erzegovina ai domini asburgici: una ex provincia ottomana che l'Austria occupava fin dal 1878, ma che, giuridicamente, non aveva cessato di dipendere dalla sovranità turca. La Germania di Guglielmo II si schierò subito accanto all'alleata, a coprirle le spalle; Serbia e Russia dovettero mandar giù il rospo (ma non l'avrebbero mandato giù una seconda volta, sei anni dopo); la Francia e la Gran Bretagna, benché allarmate e irritate, del pari dovettero stare a guardare. Come se non bastasse, il bellicoso capo di Stato Maggiore dell'esercito austro-ungarico, Conrad von Hötzendorf, in quello stesso anno premeva sull'Aerenthal perché l'Austria, profittando del disastroso terremoto che aveva raso al suolo Messina e Reggio Calabria, lanciasse un attacco preventivo contro la malfida alleata nominale, l'Italia; talché il ministro, esasperato, finì per chiederne a Francesco Giuseppe l'allontanamento. Era tempo: per un momento, i fasti della belle époque erano rimasti sospesi, quasi di colpo, sull'orlo dell'abisso: e, nel gran silenzio provocato dal tintinnare delle baionette degli eserciti messi sul piede di combattimento, erano stati in molti a temere che la cosa non sarebbe finita lì, che la guerra non sarebbe stata, all'utimo momento, scongiurata, come già era accaduto con la prima crisi marocchina.

Il clima intellettuale di quel 1908 non era molto più disteso del clima politico, e ciò spiega le aspre polemiche che accompagnarono la candidatura al Nobel di Eucken (alla quale furono contrapposte, fra le altre, quella dell'italiano Antonio Fogazzaro e quella della svedese Selma Lagerlöf)). Scrive Gunnar Ahlström (nel saggio introduttivo dedicato ai Saggi di Eucken nella collana I Premi Nobel della Letteratura dei Fratelli Fabbri Editori, Milano, 1964, pp.7-13):

"Innanzi tutto, chi era Rudolf Eucken? Chiarito il mistero, ci si chiese con pari stupore se questo professore di Jena avesse davvero la statura di un Premio Nobel. Se proprio era necessario rendere omaggio alla filosofia,  e alla filosofia tedesca in particolare [e il momento, come abbiamo visto, non era dei migliori politicamente parlando: nota nostra], perché non scegliere fra quelli la cui opera aveva una portata indiscutibilmente più considerevole: uno Heinrich Rickert, uno Herman Cohen o un Wilhelm Windelband? Paragonato ad essi, il buon Eucken era una stella di ben minore grandezza. La Germania stessa non lo prendeva troppo sul serio. Dall'autobiografia, pubblicata nel 1921, si rileva il suo imbarazzo e il suo stupore proprio per questo fatto: ma egli nota con altrettanta soddisfazione che all'estero le sue prodezze intellettuali erano tenute in considerazione. L'«estero» era poi sostanzialmente la Svezia, la cui modesta importanza era compensata dall'eccezionalità del Premio.

"Una fama così imprevista era fatta per suscitare commenti umoristici.  Un esempio è l'Offenbachiade canzonatoria con cui Jean Floence divertì i lettori della rivista parigina La Phalange. Viu si legge che l'attribuzione del Premio del 1908 era la logica conseguenza delle frequenti visite del nuovo sovrano di Svezia a Berlino: «Geloso come una tigre della fama letteraria del suo popolo, Guglielmo II dovette certo aver sussurrato una parola al suo confratello svedese sull'alto valore morale dei suoi professori di filosofia. Può anche avergli lasciato intendere che aveva a Jena, nella persona di Rudolf Eucken, un degno successore di Fichte, e che tutto sommato un filosofo tedesco - un professore di filosofia tedesco - valeva ben un poeta italiano, un verseggiatore francese, un aedo provenzale, un drammaturgo spagnolo o un jingo inglese [questi ultimi sono tutti riferimenti ai primi Nobel assegnati per la Letteratura: Carducci, Sully-Prudhomme, Mistral,  Echegaray e Kipling. Nota nostra]».

"Era l'epoca in cui Guglielmo II non si lasciava sfuggire occasioni per far scintillare 'aquila conquistatrice del suo elmo, suscitando nei suoi sudditi fedeli un'ammirazione servile, e, in quelli che non lo erano, frecciate pungenti. Non contento delle sue alte gesta politiche, voleva distinguersi con tutto lo splendore di un genio universale; dipingeva e componeva versi: ad esempio il famoso Gesang an Aegir.

"Il critico parigino proseguiva dicendo che se  si trattava di far cosa gradita all'imperatore tedesco, i signori svedesi avrebbero dovuto seguire fino in fondo il loro intendimento:  «Quei bravi accademici dovevano addirittura incoronare lui, e vuotare le loro tasche nelle sue. Durante un viaggio nella erra dei poeti e dei pensatori, mi fu dato di ascoltare il Canto ad Aegir. Proprio bello non era, ma bisogna riconoscere che né il re d'Inghilterra né Fallieres ne sanno fare di uguali: 'O Agir, Herr der Fluten, dem Nix und Neck sich beugt': Aegir, re dei flutti, davanti a cui s'inchinano l'ondina e l'ondino…'.

"La storia ha dato un giudizio severo di Guglielmo II. Ma bisogna riconoscere che nell'affare Eucken egli non entrò assolutamente. Del resto l'Accademia svedese era un'istituzione indipendente, e la sua posizione era tale da consentirle di non tener conto delle preferenze di un sovrano. L'illustre assemblea decideva secondo criteri suoi, troppo fiera per lasciarsi incantare alle invocazioni imperiali al 're dei flutti'. Il canto di sirena cui essa non restava insensibile, era piuttosto il convenzionalismo che gli Accademici carezzavano nell'intimo del loro cuore. E questo fascino diveniva poi addirittura irresistibile quando venivano pronunciate le magiche e sacre parole di 'ideale', 'idealismo' e 'idealista'. Questi dolci suoni furono quelli che valsero a Eucken la vittoria.(…)

"Il filosofo Eucken apparve come il salvatore mandato dal cielo. La sua toga universitaria sembrava tagliata su misura per essere in armonia con lo spirito della Fondazione Nobel. Ecco finalmente un idealista indiscutibile.  A Jena egli si era fatto l'apostolo d verità più o meno celesti, e alla sua fama di brillante conferenziere si aggiungeva quella di autore versatile che aveva dimostrato attitudini letterarie con la sua opera Verso una filosofia nuova (1906). L'opera era nel suo genere un buon prodotto dello spirito tedesco ex cathedra, ma non troppo tecnica e perfino permeata di una moderata tolleranza nei riguardi di chi professava altre teorie, purché naturalmente fosse chiaro che tali teorie erano errate, essendo il riprovevole risultato di un errore nel mondo dei fenomeni.

"La candidatura era stata proposta da un collega e simpatizzante svedese dell'Università di Gothemburg: fu evidente che essa raccoglieva la maggioranza. Alla fine del 1908 la notizia era di dominio pubblico: Rudolf Eucken avrebbe ricevuto il Premio Nobel. Si cominciò subito a sospettare che una tale imprevedibile decisione avesse delle cause del tutto particolari. Non si deve dimenticare che su un giornale belga era apparso un articolo con questo titolo: «Un grande filosofo proclama il crollo del materialismo». Una frase che riassumeva in sostanza tali motivi."

 

Da tale presentazione traspare una palese ironia nei confronti dei meriti filosofici di Eucken, dovuta forse - osserviamo noi - alle convinzioni personali dell'autore, evidentemente non molto in sintonia con l'idealismo professato dal filosofo tedesco. Molto più equilibrato e attendibile il ritratto che di Eucken delinea Armand Cuvillier nel suo saggio La vita e l'opera di Rudolf Eucken, anch'esso contenuto nel volume citato in precedenza, e dal quale riportiamo alcuni brani (pp. 31-38), benché neanche in esso manchino alcuni futili spunti polemici di matrice anti-tedesca (come quando ricorda il sostegno morale dato da Eucken al suo Paese in guerra: come se gli intellettuali francesi o quelli  britannici si fossero regolati diversamente, in quella stessa circostanza).

"Rudolph Christoph Eucken era nato il 5 gennaio 1846 ad Aurich, nello Hannover occidentale. Perduti, quando era ancora bambino, il padre e l'unico fratello, ebbe dalla madre un'educazione che lasciò in lui una forte impronta. Studiò all'Università di Gottinga e poi a Berlino, dove ebbe per maestro Adolf Trendelenburg, filosofo antihegeliano e promotore d'una dottrina neo-aristotelica. Il Trendelenburg, con cui egli ebbe rapporti di amicizia, sosteneva una concezione «organica» dell'universo secondo la quale il mondo, sia esteriore che interiore, costituisce un tutto organico dotato di un  movimento costruttivo e tendente verso un fine. Probabilmente questa concezione finalistica - o, come la chiamano i filosofi - 'teleologica' di Trendelenburg esercitò un'influenza decisiva sul futuro Premio Nobel.

"Dopo aver insegnato in Germania in diverse scuole superiori, nell'autunno del 1871 fu nominato professore 'ordinario' (ossia titolare) di filosofia all'Università di Basilea, e successivamente nella primavera del 1874, all'Università di Jena, dove rimase fino al termine della carriera. Nel 1912 tenne delle conferenze come exchange professor negli Stati Uniti, alla celebre Università Harvard, e nel 1914 come visiting professor all'Università di Tokyo.

"In un primo tempo si era occupato soprattutto di filologia e di storia della filosofia: principalmente, come il suo maestro, di filosofia aristotelica. Uno dei suoi primi lavori universitari fu appunto uno studio sulla terminologia di Aristotele (De Aristotelis dicendi ratione, 1866). Tutte le sue opere del primo periodo gravitano attorno ad Aristotele. Nel 1879 pubbicòà anche Geschichte der philosphischen Terminologie (Storia della terminologia filosofica);  e, nel 1880, uno studio sul significato delle immagini e delle similitudini in filosofia: Bilder und Gleichnisse in der Philosophie. D'altra parte non trascurò mai la storia delle dottrine filosofich: oltre a un'opera sul valore della storia della filosofia, scrisse brevi saggi sul pensiero di Sant'Agostino e su quello di San Tomaso, e nel 1890 pubblicò un'opera importantissima dal titolo Die Lebensanschauungen der grossen Denker von Plato bis zum Gegenwarts (La concezione della vita nei grandi pensatori, da Platone ai giorni nostri).

"Per Eucken tuttavia questi studi non erano semplici ricerche erudite. Come appare dai titoli stessi della maggior parte delle sue pubblicazioni, la questione principale era conoscete l'idea che i grandi filosofi s'erano fatti della vita, del suo significato e del suo scopo, e di quanto possiamo ricavare per il presente, per la nostra epoca. Il suo pensiero andava sempre di più orientandosi verso una filosofia della vita universale, una specie di neo-idealismo di ispirazione fichtiana ma nello spirito del moderno protestantesimo: un neo-idealismo che considera la vita spirituale come un regno superiore al mondo empirico e allo psichismo soggettivo, anche se questo regno si realizza solo con lo sforzo dell'uomo.

"Nel 1878 era comparsa una delle opere principali di Eucken, dal titolo: Geschichte und Critik der Grundbegriffe der Gegenwart (Storia e critica dei concetti fondamentali del presente). Era una rassegna delle principali categorie del pensiero moderno, come ad esempio: soggetto e oggetto, teoria e pratica, pensiero ed esperienza, meccanico e organico, civiltà e cultura, società e individuo. Quest'opera riordinatae ampliata riappare nel 1904 con il nuovo titolo di: Geistige Strömungen der Gegenwart (Correnti spirituali contemporanee).

"Il nuovo titolo indicava già di per sé il mutamento di prospettive: la prima edizione consisteva fondamentalmente in una esposi<zione storica, mentre ora predominavamo l'interpretazione e la discussione e, come afferma l'autore steso nella prefazione, il libro era diventato «prima di tutto l'espressione della sua personale convinzione», della sua concezione della vita. Con ciò egli si allontanava dalla concezione oscuramente intellettuale della filosofia «che ritiene - diceva - di poter perseguire tranquillamente il suo lavoro scientifico senza lasciarsi turbare né dalle questioni né dai dubbi» sollevati dai conflitti della vita moderna.

"Tutte le opere successive di Eucken ebbero quindi per tema la vita dello spirito e le sue esigenze, in opposizione a quello che egli chiama 'il vuoto spirituale' della nostra epoca, e il contributo che la religione può arrecare alla vita dello spirito: nel 1887 e nel 1888, due studi su «l'unità della vita spirituale»: Prolegomena zur Forschung über die Einheit des Geisteslebens in Bewusstsein und tat der Menschheit (L'unità deklla vita dello spirito nella coscienza  e nell'azione dell'umanità); nel 1896 un libro che ha per titolo: Der Kampf um einen geistigen Lebensinhalt (Lotta per un contenuto spirituale della vita). Nel 1901 uscì il suo più importante lavoro sulla religione: Der Wahrheitsgehalt der Religion (Religione e verità).

"Nel 1907 comparve un nuovo studio sulle linee fondamentali  di una nuova visione della vita:  Grundlinien einer neuen Lebensanschauung. Sempre nello steso anno venne pubblicata l'opera Der Sinnund Wert des Lebens. Nel complesso delle opere di Eucken, questa occupa  una posizione veramente centrale, perché egli pone  quello che ai suoi occhi era il problema centrale della filosofia: La vita ha un significato, un valore?  E qual è dunque questo significato? Qual è questo valore? E riassume i motivi essenziali della sua filosofia della vita in una forma accessibile al pubblico colto, per quanto lo stile sia talvolta ancora oscuro: tutti i commentatori di Eucken sono infatti d'accordo nel riconoscere che questo stile, personalissimo e leggermente profetico, non èp sempre di immediata comprensione. Eucken contrappone  quelle che egli chiama 'le risposte del tempo' (in quanto portano il segno di un momento della storia) e la costruzione di una concezione nuova che salvi i caratteri eterni, extratemporali della vita.

"Nel 1908 pubblica Einführung in eine Philosophie des Geisteslebens (Introduzione a una filosofia della vita dello spirito), e nel 1912, uno studio introduttivo alla teoria della conoscenza: Erkennen und Leben (Conoscere e vivere) dove si afferma il primato della vita rispetto alla conoscenza, che ne è soltanto una delle manifestazioni, e, nell'ambito della conoscenza (stessa,  afferma il primato dell'intuizione, vera conoscenza (Erkennen), perché con essa lo spirito assimila le cose, rispetto alla conoscenza superficiale (Kennen) che non penetra il reale e introduce nel mondo la propria soggettività.

"Purtroppo - e non si può passare sotto silenzio quest'ultima fase della carriera filosofica di Eucken - la guerra del 1914 doveva orientare ilk suo pensiero in un senso assai particolare. In un libro uscito proprio alla vigilia della seconda guerra mondiale, Edmond Vermeil, parlando de 'l'eterna protesta tedesac contro l'intellettualismo', ha mirabilmente indicato il peso che ha avuto questo atteggiamento filosofico nella genesi della mentalità nazional-socialista. Col pretesto di denunciare gli angusti limiti dell'intelligenza - spiega l'eminente germanista - si esalta 'la vita e l'azione' e si giunge a un'apologia del Machtwille, come dice Nietzsche, e di tutte le forze passionali e irrazionali dell'anima. Eucken certamente non era nietzschiano, e dobbiamo onestamente riconoscere che eglki non è mai caduto nell'apologia dell'irrazionale. Ciononostante dispiace vedere - a partire dal 1913 -il suo idealismo vitalista colorarsi in maniera assai tendenziosa.è di questa data infatti il suo appello 'all'unione degli spiriti' (Zur Summlung der Geister) in cui si sforza di porre le basi di un nuovo 'idealisno tedesco' e invita tutti quelli che nella crisi e nello smarrimento attuali cercano un solido appoggio e una direzione sicura, a raccogliersi intorno a questo centro ideale. «Con questo libro - scriveva allora la Gazzetta di Colonia - ci si sente trasportare nell'atmosfera spirituale dei Monologhi di Schleiermacher e dei Discorsi alla nazione tedesca di Fichte». Ora si sa quale posizione assunse il primo - anche allora si trattava di un teologo romantico - durante e dopo la campagna di Jena, e nessuno ignora che i Discorsi di Fichte, cui d'altronde Eucken si richiama qui espressamente, sono stati il breviario del nazionalismo tedesco.

"Anche durante la guerra, l'atteggiamento di Eucken rimane del tutto simile a quello dei suoi due predecessori. Non solo egli firma nel 1914 il Manifesto degli intellettuali tedeschi, ma si unisce a Wundt per dichiarare che la dottrina di Bergson - e Bergson aveva scritto, per l'opera del 1907, un'introduzione particolarmente elogiativa - è solo «una raffazzonatura senza valore doi vecchie teorie germaniche». Nel 1914 pubblica un opuscolo dal titolo Die weltgeschichtliche Bedeutung des deutschen Geistes (Il significato dello spirito tedesco per la stoiria del mondo) e un altro nel 1915: Die Träger des deutschen Idealismus (I rappresentanti dell'Idealismo tedesco). Nel 1919 escono ancora due opuscoli di una trentina di pagine, uno Deutsche Freiheit: ein Weckruf (La libertà tedesca: un grido d'allarme), l'altro intitolato: Was bleibt unser Halt? Ein Wort an ernste Seelen (Che cosa ci resta come appoggio? Una parola alle anime serie). Mensch und Welt: eine Philosophie des Lebens (Uomo e mondo: una filosofia della vita) tratta principalmente della 'crisi spirituale' che ha fatto perdere a molti la fede in Dio: non solo, ma che anche ha fatto sì che la vita abbia perduto il suo significato e il mondo la sua ragione ultima. Nella prefazione alla seconda edizione, del dicembre 1919, però egli deplora «l'immensa catastrofe che si è abbattuta sul popolo tedesco», una catastrofe «quale nessuno poteva prevedere e quale la storia del mondo non vie mai», e proclama che la colpa da cui ha avuto origine non è soltanto di un popolo, ma «si estende all'umanità intera».

"Rudolf Eucken si ritirò dall'insegnamento nel 1920; rimase però a  Jena e pubblicò ancora numerose opere; ricordiamo Lebenseirinnerungen (Memorie, 1920), Der Sozialismus und Seine Lebensgestaltung (Il socialismo e il suo metodo di vita, 1921), Prolegomena und Eplog zu einer Philosophie des Geisteslebens -(Prolegomeni ed epilogo ad una filosofia della vita dello spirito, 1922), Ethik als Grundlage des staatsbügerlichen Lebens (La morale come fondamento della vita del cittadino, 1924). Morì, nella città dove per tanto tempo aveva insegnato, il 15 settembre 1926.

"L'etnocentrismo (come lo chiamava nella stessa epoca il sociologo il sociologo inglese W. G. Summer) che Eucken ha dimostrato allo scoppio della prima guerra mondiale, non deve renderci ingiusti verso la sua filosofia che, nonostante ciò che ha di oscuro e di vago, rappresenta indubbiamente un contributo di reale valore allo spiritualismo moderno e giustifica ampiamente l'assegnazione del Premio Nobel nel 1908.

"Durante la cerimonia della consegna, avvenuta poco dopo la pubblicazione dell'opera che qui presentiamo, il direttore dell'Accademia svedese, professor H. Hjärne, dichiarò che il Premio gli era stato assegnato «per l'impegno nella ricerca della verità, per l'acutezza penetrante del pensiero  e la larghezza di vedute, per l'ardore e la forza dell'esposizione, con cui aveva sostenuto e sviluppato una concezione ideale del mondo», e avvicinò il pensiero di Eucken a quello del filosofo svedese Bostrm (1797-1866) che aveva già anticipato una concezione idealista, diversa certamente da quella di Hegel che sostanzializzava la natura, mentre per Boström la natura esiste solo «in noi e per noi» ed è strutturata in una gerarchia di esseri individuali che hanno al loro vertice Dio e la vita eterna.

"Né meno parco di elogi è Bergson: «Nessuno - egli dice nella sua prefazione a quest'opera - ha compreso meglio di Eucken i limiti che la materia ci impone; ma nessuno ha più chiaramente visto come lo spirito può impossessarsi della materia e trascinarlo nella sua orbita». Poco dopo, nel 1912, anche Boutroux dichiara  che «se l'assegnazione del Premio Nobel è stata accolta con molta simpatia non solo nell'ambiente filosofico vero e proprio, ma anche dal grande pubblico, ciò è dovuto al fatto che Eucken ha cercato di togliere la filosofia dall'ombra delle scuole per ricollocarla nel cuore del mondo reale e farla partecipare alla vita degli uomini e delle cose».

 

L'opera Il significato e il valore della vita si apre con una panoramica storica sugli antichi sistemi di vita, e in particolare su quello religioso - che, per Rudolf Eucken, culmina - come si è visto - nell'esperienza storica del Cristianesimo.

"Il sistema religioso - egli scrive (op. cit., p. 67-69) - fa della religione il centro della vita e la creatrice di un particolare mondo spirituale. Tale tendenza nacque da profondi perturbamenti dell'esistenza umana; si svolse in tempi che mostravano all'uomo, con evidenza assillante, la propria limitazione e la vanità della vita, pur riempiendola di un desiderio ardente di miglioramento(…)

"In questo sistema, la vita si è concentrata in un solo scopo, nella relazione con lo spirito assoluto e perfetto; ogni altra attività non ha valore, se non per tale rapporto e per i vantaggi che se ne ricavano. A questa concentrazione si collega strettamente la formazione di una interiorità del tutto autonoma,  che si eleva al di sopra delle complicazioni del mondo; interiorità che libera l'uomo dal fascino del successo, mostrandogli in se medesimo il primo scopo da raggiungere; stabilisce un legame tra le anime e la possibilità di una perfetta comunanza di sentimento e di vita; e, su questa affinità fondamentale, unisce gli uomini più saldamente di quanto potrebbe farlo qualunque altro fattore. Tale vita della religione si basa sull'amore infinito di Dio per gli uomini; ad esso si aggiunge la santità di un ordine morale, che dà alla vita una grande austerità oltre che un carattere d'interiorità.

"In tali condizioni l'uomo acquistò la più alta considerazione di sé e della vita. Come immagine di Dio, egli si trovava al centro della realtà; intorno a lui si agitava l'universo; le sue azioni decidevano del destino del tutto, per l'eternità. L'individuo era un membro del regno di Dio sulla terra; doveva assimilarsi le esperienze dell'insieme ma, nello stesso tempo, formava da solo una cerchia particolare ed era considerato come fine in sé; la sua decisione era necessaria per il perfezionamento dell'insieme di cui neppure una piccola parte doveva andar dispersa.

"Questa vita non era scevra da cure, miserie e dolori; l'altezza delle esigenze e le lotte del mondo umano impedivano ogni gioia e felicità, nel senso comune della parola. E anche il peso del dolore e del peccato, a prima vista, poteva sembrare aumentato, piuttosto che diminuito. Ma l'esperienza fondamentale della religione, l'esperienza della remissione di una colpa inespiata e della creazione di una nuova vita, elevava l'uomo sul terreno della lotta e della miseria; l'unione con Dio, operata dall'amore e dalla grazia, gli permetteva di partecipare alla perfezione divina e a una beatitudine infinita; la resistenza di un mondo ostile, la rivelazione di una nuova vita, che facesse interamente misurare l'entità di una tale resistenza, non potevano precipitarlo nel dubbio, né paralizzare i suoi sforzi. Se si considera l'importanza dei doveri che ne derivavano, tale vita non era facile, ma piena di movimento e fondata su rapporti concreti: non era una vita vana."

Ma l'avvento della modernità ha messo in crisi non solo la religione, ma anche tutta la concezione del mondo di cui essa era espressione. Allorché gli uomini, nell'età umanistica, ripresero orgogliosamente fiducia in se stessi e scoprirono, con gioia, nuove attrattive nella vita umana, essi persero il riferimento fondamentale alla trascendenza e tutto il sistema religioso cominciò ad entrare in crisi. Crebbe il numero di quanti si allontanavano dai vecchi valori, di quanti non si riconoscevano più nella visione della vita medioevale, basata sulla forza del sentimento religioso. Il bilancio, all'inizio del XX secolo, è chiaro (p. 71): "(…) l'estendersi incessante di tale negazione, senza contraddizione possibile, dimostra che ampie sfere della civiltà attuale non sono più capaci di entrare nell'ingranaggio delle forze motrici della religione, e che questa e il suo mondo sono diventati loro essenzialmente estranei, cioè incomprensibili."

Resterebbe il sistema di vita dell'idealismo immanente, culminato - in Germania .- con la gigantesca figura e l'opera di Goethe (pp. 72-73): "Questo sistema di vita si impernia soprattutto sul contrasto fra l'interiore e l'esteriore, tra mondo invisibile e mondo visibile. La vita interiore deve dominare la vita esteriore ed animarla; ma nello stesso tempo deve, dallo stadio di vago disegno, passare allo stadio di opera compiuta. Così nasce un'attività spirituale creatrice che, sorretta dalla ragione universale - base comune a tutte le cose - genera alla sua volta, di fronte alla natura sordida e all'insignificante vita giornaliera, una vita essenzialmente nuova, un regno dello spirito che - col suo concetto di vero, di bello, di buono- pone l'uomo in intima comunione con l'universo e lo fa partecipare della sua grandezza e pienezza. Una vita così concepita non aspira a nessun compenso, non tende ad alcun fine esteriore: trova invece il suo senso nel proprio svolgimento, e la gioia nella contemplazione di sé; e nonostante la sua continua attività posa saldamente nella sua essenza.

"Le più importanti manifestazioni di questa vita sono l'arte e la scienza, in quel significato elevato che, rovesciando la situazione iniziale, ci porta alle stesse fonti creatrici e ci rende atti ad abbracciare la profondità del mondo. Dovunque si vedono sforzarsi a render chiaro ciò che è oscuro, piegare ciò che è rigido, riunire ciò che è sparso, ad appianare i contrasti , a rendere armonioso l'insieme ed elevare al di sopra della semplice utilità il bello, che s'impone per se stesso. Ne risulta un'organizzazione di vita, che differisce notevolmente dall'organizzazione religiosa.

"La religione tende ad accentuare i contrasti, mentre la civilizzazione ideale tende invece ad attenuarli; quella, per quanto è possibile, racchiude la vita in un solo punto, questa tende ad allargarla in tutta la sua estensione; l'una dà la massima importanza ai sentimenti, l'altra esige in primo luogo un'attività creatrice: la religione si ferma alla debolezza, la civilizzazione ideale alla forza e alla grandezza dell'uomo - dell'uomo che s'inserisce nell'universo e vi esplica la sua forza; l'una non trova la via che conduce all'affermazione della vita se non attraverso radicali rinunce e rigide negazioni; l'altra crede di poter compiere tale affermazione a tutta prima, in un audace slancio di vita…"

Quindi, Eucken passa a prendere in esame i nuovi sistemi di vita affermatisi con la modernità, la loro base comune e considera, poi, il sistema di vita che meglio rappresenta, secondo lui, le nuove istanze venute alla ribalta dopo la crisi degli antichi sistemi, e cioè quello del naturalismo. Con questo termine egli intende il sistema creato dalla Rivoluzione scientifica, preannunciato dalla filosofia di Francesco Bacone (1561-1626) e culminato con la cultura positivistica di fine Ottocento. Eucken, in particolare, coglie il carattere di artificiosità di una Weltanschauung che si richiama ai processi della natura; processi che, se in essa si svolgono in una sfera extra morale, nel caso della società umana invece non possono ignorare la distinzione tra bene e male e richiano, pertanto, di proporsi come una implicita esaltazione della forza. Non è chiaro se Eucken avesse in mente la dottrina del "superuomo" di Nietzsche, o il positivismo estremo di Haeckel, o il materialismo di Moleschott; o ancora, magari, i teorici del darwinismo sociale. Certo è che egli coglie perfettamente il carattere di radicale e violenta  negazione del naturalismo nei confronti dei sistemi di vita più antichi, particolarmente di tipo religioso, e ne mette acutamente in evidenza le implicazioni sia positive che negative. In particolare, egli vede con chiarezza che lo scientismo porta a uno sviluppo sempre più  grande della tecnica, al quale non corrisponde e non può corrispondere, per la natura stessa della nuova visione del mondo, un analogo sviluppo delle facoltà spirituali caratteristiche dell'essere umano, giungendo a mettere la ragione - tanto esaltata - in grave contraddizione con sé stessa.(pp. 80-86).

"Il processo naturale si compie positivamente, oltre la propria esistenza non ha alcuna significazione; sfugge ogni giudizio apprezzamento esterno; ignora il bene e il male; e le sue differenze non sono in questo caso che differenze quantitative di forza.

"L'applicazione di questo processo alla vita umana, produce una completa rivoluzione rispetto allo stato tradizionale. Qualunque siano le sue linee essenziali, sinora esse furono scartate e poco apprezzate, anzi combattute; non poterono dunque svilupparsi liberamente né unirsi insieme. Se ormai questo sviluppo e quest'unione divengono possibili, ne risulta un aspetto essenzialmente nuovo; ora, per la prima volta, si tiene conto pienamente dello stato di dipendenza di ogni attività psichica relativamente alle condizioni fisiche, della forza elementare dell'impulso di natura e dell'istinto di conservazione, dell'azione vigile della lotta per la vita, della vasta estensione di una positività cieca e senza scopo, sin nel dominio dell'uomo. Mentre tutto ciò concorre in un'azione comune, sorge un tipo di vita particolare, capace di imprimere la sua orma allo stesso lavoro spirituale.

"Ma questo tipo di vita comincia con un'aspra negazione, la qual cosa dà al suo insieme un aspetto aggressivo. E deve dapprima crearsi una via che gli permetta di avanzare liberamente contro un altro tipo di vita fortemente radicato; deve dichiarare lotta accanita a tutto ciò che vorrebbe oltrepassare la natura, ed è, per questo, fonte di errori e di chimere, e non può che disgregare la realtà.

"In questo senso agirono la religione e la metafisica, come ogni morale che si basi su di esse; pr conseguenza bisogna distruggerle da cima a fondo., con tutto ciò che ne deriva. Bisogna inoltre soffocare incessantemente ogni movimento del soggetto per liberarsi dal dominio delle cose e tracciarsi vie proprie nel dominio della fantasia. La stretta schiavitù della vita, allo stato di fatto della natura, appare qui come un'orientazione verso una vita più sincera e forte. Ma nello stesso tempo, come un'orientazione verso la libertà. Poiché queste creazioni fantastiche esercitano una pressione molteplice sull'uomo e gl'impediscono di utilizzare pienamente tutte le sue forze, la condizione muta radicalmente se è permesso alla natura di svolgersi senza ostacoli e se nessun pregiudizio religioso o morale venga ad intralciare ed opprimere la vita. Quella che si svolge sarà dunque sorretta dalla coscienza di essere libera e vera. Inoltre essa è caratterizzata all'immediatezza e dall'evidenza, dalla certezza d'esser fondata su d'un terreno solido, dalla ricerca dell'unione stretta con tutto ciò che la circonda, da un gioioso sentimento della sua forza in mezzo a stretti legami, da un'azione incessante, che guarda sempre più lontano. Pare che tale vita porti in sé tanta pienezza e tanta gioia, che ogni rinunzia a un aldilà non possa recarle amarezza.

"Tutto ciò che ne deriva di caratteristico per la vita dello spirito, estende la sua azione in tutti i campo: nelle arti e nelle scienze, nell'educazione e nella cultura, nella vita sociale e politica. Dappertutto si tratta di mettere in opera i fattori sensibili e materiali e perciò di rendere la vita più piena, di conservarla strettamente unita al mondo circostante e di garantirla da ogni dispersione nell'oscuro e nell'incerto. La conoscenza sembra qui trasformarsi in una feconda attività. Poiché, come la scienza della natura così com'è,  ha dato all'uomo per la sua tendenza alla tecnica forza sempre maggiore sul mondo, così, nella vita collettiva umana, si diffonde la tendenza a prendere per punto di partenza ciò che è vicino, distintamente visibile, che cade sotto i sensi. Parallelamente aumenta ancora la nostra potenza d'azione. Cosa che ci permette di sperare in un progresso incessante della ragione contro il suo contrario.

"Con quale forza abbia agito questo movimento e sino a che punto abbia trasformato l'esistenza umana, è chiaro ai nostri occhi come la luce del giorno. È fuori dubbio che qui non si tratta soltanto di opinioni e di voti soggettivi, ma piuttosto della presenza reale di una forte corrente di vita, che porti vittoriosa le convinzioni più radicate. La freschezza delle impressioni, di cui questa vita circonda l'uomo, agisce in suo favore, come la brutale negazione che facilmente conquista le masse alle aspirazioni nascenti, procurando loro una certa attività o almeno l'apparenza di quest'attività.

"E, tuttavia, quale resistenza si oppone a tutto ciò che deve formare l'insieme della nostra vita ed ha la pretesa di dare senso e valore alla nostra esistenza! E la resistenza non viene soltanto dall'esterno, ma anche dall'interno della vita stessa, in questo suo ulteriore sviluppo. Essa riporta l'uomo allo stato di natura, ma lo fa per mezzo di un processo spirituale, e in questo processo, l'aspetto sotto il quale si presenta, le forze che sviluppa, le esigenze che provoca, sono assolutamente incompatibili con le facoltà di un essere allo stato di natura. Questo processo spirituale nasce soprattutto dal pensiero e, come abbiamo già visto, da un imperioso bisogno di verità; ma in esso l'uomo si pone di fronte alla natura, l'abbraccia in un insieme e studia il suo rapporto con essa. Da un tal punto di vista, l'uomo è superiore alla semplice natura e non può umiliarsi a considerare se steso come una semplice ruota del suo meccanismo.

"E come il pensiero trascura i dettagli per abbracciare l'insieme, così pone al di sopra dell'impressione sensibile l'attività intellettuale, la quale, da parte sua, trasforma tutto ciò che le viene dal di fuori; questo mondo in cui il sapiente converte la natura in forza, in rapporto, in legge, non differisce forse intimamente dal mondo che ci rivelano i sensi? Il pensiero si basa su motivi intellettuali; vorrebbe trasformare in vita originale, tutto ciò che abbraccia; la pura e semplice positività diventa rigida barriera, ostacolo insuperabile. Se è così, è una contraddizione interiore voler ridurre, per mezzo del pensiero, tutta la realtà all'esistenza sensibile, poiché la forma e il contenuto della vita pervengono allora al più brutale contrasto; il pensiero ricusa il risultato al quale giunge tale processo.

"Per essere coerente con se stesso, il naturalismo, svolgendosi, dovrebbe qui distruggere le sue basi; perciò segue le sue negazioni sino a un certo punto, per abbandonarle in seguito e completarsi senza scrupolo con valori derivanti da un tipo di vita da esso animosamente combattuto. Non accetta alcuna concezione del mondo che superi il dominio dell'esperienza; ma non considera che l'impressione sensibile non può, in nessun modo, dominare l'esperienza in generale, nel suo insieme, per astrarne una concezione del mondo e che questa operazione è, e resta, privilegio esclusivo del pensiero. Non accetta una morale fondata sulla religione o sulla speculazione , e non vede che riducendo tutta la vita al uro e semplice impulso naturale si distrugge ogni morale e che dove manca un'unità coerente, convinzioni e stati d'animo, personalità e carattere, diventano vaghe chimere.

"Essa fonda la vita sull'attività della scienza e pretende, con questo mezzo, di aumentare la precisione del concetto di verità; ma come può esservi scienza e verità, dove non v'è che una semplice giustapposizione d'individui indipendenti, che hanno concezioni diverse e suscettibili d'indefiniti mutamenti? O forse dev'esser considerata verità la media delle opinioni, derivata dalla vita in comune? Questo metodo del naturalismo non resta soltanto un'incoerenza del pensiero. Penetra anche nell'insieme della vita con grande pregiudizio di essa. Come potrebbero le entità, le quali - celate e nascoste - devono necessariamente sparire dal primo piano, avere uno sviluppo adeguato e in tale isolamento non isterilire miseramente? E tale deperimento avrebbe in modo particolarmente funesto se la nostra vita rivolgesse la sua attività a grandi problemi interiori, che non si possono trattare come accessori. (...)

"Per quanto il naturalismo possa sviluppare esteriormente la vita, interiormente la lascia in pieno ristagno; il vuoto così prodotto deve diventare insopportabile, quando si tratta dell'insieme; eppure l'uomo civilizzato non può perder di vista l'insieme e tanto meno lo può qualora egli prenda parte attiva a un lavoro spirituale. Ora, che fa il naturalismo della vita i quanto totalità? Con l'abbandono di ogni qualità spirituale che distingue l'uomo, l'umanità scende a un livello più basso, in cui la sua azione e il suo fine non hanno alcun valore al di sopra del suo stato; ma come l'umanità è completamente isolata nell'universo, così nel suo seno sono isolati gli uni dagli altri gli individui che la compongono. Poiché quando tutta la realtà si riduce ad atomi isolati, nello stesso tempo scompare ogni comunione interiore, ogni solidarietà, ogni corrispondenza di affetti. L'individuo dunque, è completamente isolato nell'universo. Qui ogni azione tende a conservare l'esistenza fisica e a renderla quanto più lieta possibile, a collocare, per poi goderne, il sentimento del piacere nella tensione e nel potenziamento delle forze.  Ma ciò che si raggiunge nei casi più favorevoli, compensa le infinite fatiche, le agitazioni e i sacrifici che esige la vita dell'uomo civilizzato?  Tante complicazioni e  difficoltà nell'educazione e nella cultura, nell'ordinamento politico e nell'edificio sociale, servono solo a ottenere, in conclusione, quello stesso  che l'animale realizza tanto più facilmente? Invero, se il processo universale si esaurisse, per vie sempre più difficili, nel fine della conservazione  fiducia come avviene nei più semplici esseri organizzati, senz'aver nulla dato di veramente nuovo, bisognerebbe chiamarlo piuttosto regresso che progresso: così tutta la storia dell'umanità,  con la sua produzione di nuovi beni e col compito di costruire un regno della cultura di fronte a quello della natura, si ridurrebbe a u immenso insuccesso.

"Questa concezione della vita ha in sé una contraddizione intollerabile, poiché nega completamente il sentimento dell'io per cui noi sentiamo le nostre azioni come nostre  e ne sentiamo la responsabilità: mentre così siamo costretti a riconoscere che nulla è veramente nostro, che in nessun modo possiamo essere attivi né produrre nulla di originale; e che, pur occupando un posto che chiamiamo nostro, in cui pure qualche cosa avviene, tuttavia siamo soltanto spettatori. Ciò sarebbe in fondo sopportabile,  se la parte che ci è assegnata formasse un tutto armonico; ma cosa avviene se noi siamo invece costretti, nonostante tutto, ad accettare un'esistenza a noi stessi intollerabile? Questa esistenza non si cambierebbe fatalmente in una pesantissima catena?

"La immobilità e il vuoto di questa forma di vita può non essere percepita sino a che essa deve affermarsi, col sistema intellettuale, contro forze contrarie; la passione che deriva dalla lotta può benissimo contribuire a dare all'insieme un'apparenza di calore e di vita. Ma supponiamo che il suo sistema intellettuale abbia esaurito il suo compito, e che l'uomo si senta soltanto una minima parte della natura: che altro gli resta da fare e come può parlare di fini  e di compito, se  non è altro che un momento in un processo senz'anima, destinato ad annientarsi? Un costruire, e poi un crollo, un divenire e un annientarsi, un ardente desiderio di vita, senza la più piccola  conquista duratura: tale prospettiva non sembra dunque fatta  per avvilire un essere che non sia completamente assorbito dal momento presente, che non possa staccare il suo spirito dalla totalità, e che si veda costretto a esaminare e valutare?

"Il sistema del naturalismo ha il merito di aver posto in piena luce  fatti sinora trascurati, e in particolare, di aver contribuito a mostrare la stretta relazione tra l'uomo e la natura. Ma essa va oltre i suoi diritti e muta in male il bene della vita quando vuole assegnare all'uomo come mezzi e come fini solo fatti, ai quali ,lo incatena, negandogli in pari tempo ogni sforzo verso un fine più alto. Il naturalismo non può costituirsi a unità se non nell'atmosfera spirituale a cui è stata sempre circondata la natura; le grandezze sue proprie saranno qui insensibilmente completate, trasformate, adattate all'ambiente. Ma quanto più il naturalismo si sottrae a queste modificazioni e pretende di abbracciare l'insieme della vita, tanto più i suoi limiti si faranno sentire, le sua base sarà minata e l'apparente vittoria diverrà sconfitta. Bisognerebbe, infine, esaminare con serenità questo movimento, se possiamo esser sicuri di guardare da spettatori indifferenti, senza risentire in noi la scossa e la distruzione di cui esso minaccia la vita dell'umanità."

 

Parole veramente profetiche, in cui non si sa se rimanere più ammirati per l'equilibrio e la pacatezza dell'analisi, per nulla viziata da atteggiamenti emotivi e pregiudiziali, o la sobrietà e la lucidità delle conclusioni, culminanti in un vero e proprio monito: l'umanità ha imboccato una Weltanschauung pericolosa. Dietro i trionfi apparenti e meramente quantitativi della forza e della tecnica, il materialismo scientista sta preparando la propria rovina e, con essa, quella dell'umanità. E tutto q