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La fine dell'Occidente «Credere al divenire è la sua follia»

di Emanuele Severino - 20/06/2007

 
Dal volume L'identità della follia, diamo in anteprima un estratto di un brano del secondo capitolo intitolato Precipitare nell'esser-altro. In esso è riportata la lezione tenuta da Severino a Ca' Foscari il 10 ottobre 2000
D opo il mito compare l'esigenza di porre la verità come condizione della felicità. Dopo i millenni del mito compare ciò che chiamiamo Occidente. Con la parola «Occidente » intendiamo qualcosa di pregnante, di determinato, non il significato corrente nella pubblicistica o nella stessa cultura contemporanea. Intendiamo ciò che cresce all'interno di un fondamentale atteggiamento di pensiero e quindi di azione; ciò che cresce all'interno di un fondamentale modo di pensare. Tale «fondamentalità» può essere indicata da due espressioni: l'identità (l'Occidente è volontà di identità) e il divenir-altro delle cose — quel divenire altro che abbiamo incontrato in Eraclito, dove, si dice che «son lo stesso le cose che hanno nomi opposti (giovane-vecchio, morto-vivo...) perché le une precipitando (così avevamo tradotto), sono le altre». Questo precipitare nelle altre è ciò che per la nostra cultura è diventato l'evidenza somma, ma con una accentuazione del senso iniziale del divenir-altro della quale dovremo parlare. Il mito è un percorso millenario che a un certo punto si «increspa ». Questa increspatura, in cui si dispiegano i millenni, è ciò che chiamiamo «Occidente». L'avvento dell'Occidente è costituito dalla crescita all'interno di due tratti essenziali: tautótes
(volontà di identità, abbiamo detto: ci ritorneremo) e il divenir-altro. Ma perché chiamare "volontà di identità" — ci si potrebbe chiedere — ciò che tutti noi riteniamo inevitabile, ossia che le cose siano se stesse? Certo, non ci siamo ancora intesi sul significato della parola «identità», e tuttavia una qualche cognizione su ciò che significhi «esser se stesso» l'abbiamo tutti. Perché dunque parlare di «volontà di identità »? Invito a tenere in sospeso questa domanda, che pone come oggetto di volontà ciò che dal punto di vista comune dell'Occidente invece è un'ovvietà, perché la risposta ci farà entrare al centro del discorso che proponiamo di sviluppare. Occidente — stiamo dicendo — è ciò che cresce all'interno di questa sintesi: le cose variano. Può variare una cosa se non diventa altro da ciò che essa è?... L'Occidente nasce all'interno della sintesi di ciò che abbiamo chiamato «volontà di identità» e di ciò che ora, in questa sintesi, chiamiamo «volontà di diventar altro», volontà che il divenire sia un divenir-altro. Ma di nuovo: perché «volontà»? L'identità è lì, le cose sono identiche; il divenir altro delle cose è lì — stiamo parlando di categorie la cui esemplificazione è totale. Loro alzano lo sguardo per guardarmi: è un divenir altro. Un piede che si muove, le galassie, il Big Bang originario...: divenir-altro. Non c'è variazione, produzione, trasformazione, metamorfosi che non sia un divenir altro. Già nel mito è presente il divenir altro. La parola «metamorfosi», che è piuttosto recente nella lingua greca, significa cambiar la forma ( metá-morphé):
l'umano che diventa animale o l'animale che diventa umano, come in molti racconti; o, per chi è cristiano, il vino che diventa sangue, il pane che diventa corpo di Cristo; ma, più semplicemente, è una metamorfosi anche il fatto che io prima tenessi in mano il pennarello e adesso l'abbia posato sulla cattedra. Stiamo procedendo in una direzione in cui dovrà apparire che quella che per i non credenti è un'evidente follia — il pane che diventa corpo di Cristo — è invece l'atteggiamento normale, l'attitudine fondamentale tanto per il senso comune che per la cultura e per la scienza. Ci avvicineremo al luogo in cui dovrà apparire che la follia di ciò che il linguaggio religioso chiama transustanziazione (ossia cambiamento della sostanza) è la stessa follia di ogni divenir altro: ogni divenire altro è l'impossibile. Ma per ora chiudiamo queste parentesi che servono a mostrare molto da lontano la strada che dobbiamo percorrere.