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Rifacciamo il mare

di Rosa Mordenti - 20/06/2007

 

 

Sulle strade davanti al mare, nelle mattine di festa, si respira un invitante profumo di fritto di pesce. È un sabato d’inizio estate, il profumo arriva dalle case riaperte da poco e dalle cucine degli alberghi e dei ristoranti che cominciano la stagione.

Siamo a Grottammare, cittadina sull’Adriatico, provincia di Ascoli Piceno: il paesaggio è quello consueto. Da una parte del lungomare gli alberghi, le case, le ville, i residence, dall’altra la spiaggia, gli ombrelloni in file ordinate, i chioschi, gli «chalet». Ai lati della strada, la doppia fila di alberi, qui sono oleandri e palme. Con le spalle al mare, guardando verso terra, l’orizzonte è chiuso dalle colline marchigiane coltivate in piccoli campi.

È un paesaggio piacevole, accogliente e rassicurante. Un mare che non fa paura, nemmeno quando è in tempesta. È dolce, amico, comodo, adatto ai bambini piccoli e agli anziani. La sabbia fine è soffice e non graffia, al massimo scotta un po’, l’acqua sale lentamente. Tutto è vicino: le docce, i bar, i giochi per i piccoli, le reti per la pallavolo, le case.

È un’idea di mare caduta in disgrazia, alla fine degli anni ottanta, gli anni della «mucillagine», e disprezzata dagli amanti degli scogli selvaggi e dell’acqua azzurrina delle Maldive o della Sardegna. È per questo che il mare, qui, non ha nulla di «esclusivo ». È ancora di chi ci abita, soprattutto dei bambini e dei nonni. Niente barriere, tantomeno coralline, né baie isolate dove costose barche possano appartarsi. La spiaggia è diritta a perdita d’occhio, semmai l’obiettivo è riuscire a vedere i delfini e i cavallucci marini, un tempo numerosissimi, o affondare le mani nella sabbia a un metro dal litorale e tirare su le «cannucce», le «lumache di mare», i piccoli granchi.

Dopo gli anni della «mucillagine»

Non è detto che questo mare non sia da difendere: per questo da anni – per l’esattezza dal lontano 1991, proprio dopo le invasioni di alghe - amministratori e cittadini più vigili coltivano un sogno che si sta avviando a diventare realtà, e cioè l’istituzione su questo tratto di costa dell’Area marina protetta del Piceno. Forse, si partirà entro la fine dell’anno. Il Parco marino – 56 chilometri di spiagge e mare, e fino a tre miglia dalla costa, per un’area complessidi va di circa 300 chilometri quadrati - comprenderà dodici comuni, da Porto sant’Elpidio a nord ad Alba Adriatica a sud. Dieci comuni sono compresi nella provincia di Ascoli Piceno e due in quella di Teramo, che è in Abruzzo. Capofila degli enti locali che sposano il progetto è proprio la Provincia di Ascoli, il cui presidente, Massimo Rossi, dal 2005 ha avviato a San Benedetto del Tronto tre tavoli di lavoro: uno con le istituzioni, uno con i rappresentanti dei pescatori e uno con quelli del settore turistico. Tutti gli enti locali coinvolti daranno vita, in questo modo, a una piccola rivoluzione nel rapporto storico tra amministrazioni e mare: prima la loro competenza terminava sulla spiaggia.

Olga Silvestri è una giovane oceanologa, diventata consulente della provincia proprio per la nascita del parco. Per lavoro è stata anni all’estero e ha visto «mari meravigliosi, colori che ti lasciano senza fiato - dice - Ma questo è il mio mare, quello con cui sono cresciuta, di cui riconosco l’odore, perciò lavorare qui mi piace ancora di più. Ha un suo fondale tipico e caratteristico, prezioso, che va difeso: questo è quello che abbiamo, questo è quello che vogliamo e dobbiamo proteggere».

Che parco marino è un parco che comprende dodici comuni che vivono di turismo balneare e di pesca? Spiega Olga che «è una nuova idea di parco, diversa, direi moderna». Un’idea che non considera l’ambiente come qualcosa di lontano e intoccabile. «La realtà - continua Olga - è che questo territorio è fortemente ‘antropizzato’, nonostante ciò ha una sua caratteristica ricchezza naturale. Bisogna limitare i danni che l’uomo può fare e trovare un nuovo equilibrio. Cominciando proprio con la gestione del turismo e della pesca, che vanno regolamentati ». Come? «Coinvolgendo tutti, a cominciare dai pescatori e da chi lavora nel turismo, identificando aree che hanno bisogno di maggiore tutela, e facendo in modo che i pescatori utilizzino attrezzi meno impattanti». E poi il controllo dei depuratori, dell’agricoltura locale [in modo che non inquini], dell’acqua dei cinque fiumi che sfociano in questo tratto di mare, oltre ai diversi torrenti, portando con sé tutto ciò che le attività umane producono. Sono proprio quei cinque fiumi a legare il futuro parco marino con i parchi montani dei Sibillini, del Gran Sasso e dei Monti della Laga. Olga spiega che l’idea del parco «ha risvegliato l’interesse di tutti, nei paesi che ne saranno coinvolti. Tutti qui amano il loro mare, tutti hanno capito che è ora di vivere questo ambiente in maniera consapevole».

La crisi della pesca da queste parti è un vero e proprio dramma che coinvolge centinaia di famiglie, e il parco è una possibile soluzione. Il settore è stato abbandonato a se stesso, le risorse naturali sono state sfruttate troppo, soprattutto grazie alla tecnologia [motori potentissimi, reti abnormi che spazzolano i fondali con violenza, traino, ricerche satellitari dei banchi di pesce].

I pescatori a lezione di ecologia

Dopo anni di crisi, i pescatori si gioveranno del miglioramento della qualità del pesce e delle bonifiche portate dal parco, e potranno garantire prodotti migliori: saranno coinvolti in una vera e propria piccola rivoluzione. Dovranno programmare le attività di pesca, identificare i prodotti, cercare attrezzi di lavoro [o riscoprirne di tradizionali via via abbandonati] più selettivi. I più difficili da coinvolgere nel progetto infatti sono stati proprio i «vongolari»: l’accordo con loro è stato raggiunto solo il primo giugno, dopo una riunione fiume al ministero dell’ambiente. Ora alla Provincia di Ascoli e alla Regione Marche non resta che lavorare per ottenere, nell’ambito della programmazione dei fondi comunitari, misure economiche per «accompagnare» i pescatori verso la nuova disciplina del parco.

Spiega Deo, «piccolo» pescatore baffuto con un viso d’altri tempi: «I dubbi tra di noi sono stati molti. Poi abbiamo incontrato altri pescatori che avevano vissuto la stessa esperienza in altre parti d’Italia. Ci hanno detto ‘il parco guai chi ce lo tocca’, ma all’inizio si erano opposti anche loro».

Nazareno invece è il presidente della cooperativa dei pescatori della zona [che si chiama Cooperativa liberi naviganti piceni]. Va in mare da ventinove anni, però ora «ho dovuto accettare di tornare a scuola»: lo incontriamo, indaffaratissimo, durante i tre giorni di iniziative sul parco che si sono svolte a Grottammare. Tutti lo cercano, lo salutano, lo chiamano. I pescatori hanno cucinato e offerto a prezzi popolari splendidi spaghetti alle vongole, alici e altre prelibatezze con pasta rigorosamente biologica, grazie ai benefici della «filiera corta» promossa dalla Provincia [vedi l’articolo a fianco] e hanno accompagnato visitatori e famiglie sulle loro barche, per spiegare come si usano gli attrezzi. Il presidente corre di qua e di là, «anche se dovrei andare a studiare, perché tra pochi giorni ho l’esame di tecniche di controllo ambientale».

Nazareno spiega che «il parco ci ha rimessi in gioco. La situazione era insostenibile: qui ci sono le marinerie più antiche d’Italia, come quella di San Benedetto del Tronto, ma sembrava che tutto fosse finito, che non ci fosse più speranza. Ora una speranza c’è. Certo dovremo imparare a lavorare in modo diverso, ma siamo felici di poter restituire dignità al nostro lavoro di pescatori». Se l’entusiasmo bastasse, Nazareno sarebbe già promosso.