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Alphonse de Lamartine: poeta e uomo politico

di redazionale - 21/06/2007

 


Alphonse de Lamartine (1790-I 869), uno dei più importanti poeti romantici e personaggio politico di primo piano, diede un contributo rilevante, grazie alle sue eccezionali doti letterarie e al suo notevole ruolo politico, alla storiografia e alla tradizione della Rivoluzione francese. Durante la monarchia di Luglio sia nei suoi scritti sia nei suoi discorsi politici egli sviluppò e pubblicizzò idee sulla politica e sulla società francesi che si ispiravano in parte alla storia e ai principî della Rivoluzione. Il suo interesse per quest'ultima lo spinse a raccontare gli avvenimenti della Rivoluzione, dall'inizio dell'aprile 1791 alla fine del luglio 1794, nella Histoire des Girondins, pubblicata in otto volumi tra il marzo e il giugno 1847. Quest'opera, che dava un'immagine favorevole di Robespierre e della dittatura giacobina, ebbe subito un successo sensazionale e, secondo molti tra gli storici sia contemporanei sia successivi, contribuì al rovesciamento del re Luigi Filippo nella rivoluzione del febbraio 1848. In qualità di eminente membro del governo dal 24 febbraio al 24 giugno 1848, Lamartine si batté per promuovere gli ideali della Rivoluzione del 1789, pur cercando di evitarne gli errori. Questo esperimento fallì con l'insurrezione popolare nota come le "Giornate di giugno", che distrussero la sua reputazione politica e lo spinsero a tentar di giustificare il suo ruolo governativo e a pubblicare ulteriori studi storici sulla Rivoluzione. Nell'opera più importante fra questi l'Histoire des Constituants (1855), una narrazione in quattro volumi degli avvenimenti dal maggio 1789 all'aprile 1791, egli elaborò un'interpretazione più conservatrice, pur continuando ad elogiare i traguardi e i risultati del 1789.
Prima della rivoluzione del luglio 1830 Lamartine si era identificato con la monarchia della Restaurazione, arruolandosi nella guardia del corpo reale, prestando servizio nel corpo diplomatico e scrivendo poesie che celebravano temi monarchici. Dalla fine degli anni venti aveva però cominciato a sviluppare idee politiche liberali e nell'agosto 1829 aveva rifiutato di servire il governo reazionario presieduto dal principe di Polignac. Così, mentre da un lato manteneva il legame sentimentale con la dinastia borbonica e rassegnava formalmente le dimissioni dal corpo diplomatico (settembre 1830), dall'altro rifiutava di seguire l'emigrazione interna dei legittimisti. Accettò al contrario il regime orleanista e, dopo il 1830, si accinse a realizzare le sue antiche ambizioni pubblicando un manifesto del suo credo politico, Sur la politique rationnelle (1831), e facendosi eleggere alla Camera dei Deputati (1833). Nello scritto citato Lamartine affermava che la politica doveva essere basata sui principi morali cristiani di carità e umanità, nonché sui principi rivoluzionari di libertà, uguaglianza, fraternità e democrazia. Era contrario perciò a ogni condanna di carattere politico da parte del potere esecutivo, oltre che a ogni violenza popolare da parte di masse rivoluzionarie; e in diversi scritti e discorsi sostenne un gran numero di cause progressiste e umanitarie. Tuttavia, le sue speranze di ottenere la nomina a un importante incarico ministeriale o l'elezione a presidente della Camera dei Deputati furono ripetutamente deluse; divenne sempre più disincantato nei confronti della politica governativa, soprattutto dopo il 1840, quando iniziò il lungo governo conservatore di Guizot. Questo lo incoraggiò, nel gennaio 1843, a passare all'opposizione parlamentare e, nel giugno dello stesso anno, a intraprendere la sua grande opera storica sulla Rivoluzione francese, l'Histoire des Girondins.
L'Histoire des Girondins fu scritta per motivi politici e con l'intenzione di comunicare un messaggio politico. Lamartine voleva dimostrare la fondatezza del proprio diritto a essere considerato un'importante figura politica scrivendo una storia della Rivoluzione francese che sarebbe stata letta da un grande pubblico e che avrebbe affrontato con simpatia sia la Rivoluzione sia la controrivoluzione. Così facendo, non solo avrebbe affermato le proprie qualità di leader politico nell'evenienza di una futura crisi governativa, ma avrebbe anche ricordato ai propri concittadini il loro passato rivoluzionario e mostrato la lezione che da quel passato si poteva apprendere. Così scelse di trattare nella Histoire des Girondins quel periodo estremamente critico della Rivoluzione francese, dall'aprile 1791 al luglio 1794, che aveva visto la transizione dalla monarchia costituzionale alla repubblica, lo scoppio della guerra civile e con le potenze straniere, il regno del Terrore e della dittatura giacobina, l'ascesa e la caduta di Robespierre.
Nella Histoire des Girondins Lamartine definisce essenzialmente la Rivoluzione francese come l'evoluzione di un nuovo concetto, quello di democrazia e, più tardi, di governo democratico. La sua tesi è che tale concetto aveva un'origine cristiana ed era stato formulato da Fénelon, Montesquieu, Rousseau, Voltaire e altri loro discepoli, e che, sebbene questi pensatori attaccassero le forme esteriori del cristianesimo, ne adottavano però gli insegnamenti e i principî. Le loro idee, ampiamente diffuse in Francia e in Europa grazie all'invenzione della stampa, avevano creato nell'opinione pubblica un clima che aveva reso possibile la Rivoluzione francese. La Rivoluzione aveva quindi uno stretto legame con il cristianesimo, era fondamentalmente un movimento spirituale e realizzava un ideale divino e universale. Questo ideale significava il riconoscimento di tre sovranità morali: la sovranità della legge sulla forza fisica, la sovranità dei Lumi sul pregiudizio, e quella dei popoli sui governi. Tutto ciò a sua volta implicava rispettivamente: una rivoluzione nel sistema giuridico che portò all'uguaglianza; una rivoluzione nelle idee che sostituì la ragione dell'autoritarismo; e una rivoluzione nella politica che condusse al governo del popolo.
La spiegazione di Lamartine dello scoppio della Rivoluzione francese per quanto riguardava le idee e l'influenza dell'Illuminismo era del tutto tradizionale, anche se ignorava la tesi elaborata da Thiers, Mignet, Thierry e Guizot secondo la quale la Rivoluzione francese era stata causata dalla lotta di classe tra l'aristocrazia e la borghesia, in cui la borghesia, nel 1789, aveva trionfato. Nell'accentuare il debito della Rivoluzione francese nei confronti del cristianesimo Lamartine non era senza precedenti: Buchez e Roux, nella Histoire parlementaire della Révolution francaise (1834-38), che Lamartine aveva ampiamente consultato, sostenevano che il cristianesimo aveva fornito un'ispirazione alla Rivoluzione, magari nel 1793 più che nel 1789; Quinet, in una serie di lezioni tenute al Collège de France nel 1845 e in pubblicazioni successive, affermava che la Rivoluzione francese aveva rielaborato dottrine cristiane che la Chiesa cattolica aveva corrotto ma che il protestantesimo aveva contribuito a mantenere in vita; e Michelet, la cui Histoire de la Révolution cominciò ad uscire nel 1847, dichiarava che la Rivoluzione francese e il cristianesimo avevano in comune la preoccupazione per l'uguaglianza e la fraternità, anche se riteneva che gli ideali della Rivoluzione avessero reso superfluo il cristianesimo.
L'interpretazione di Lamartine accresceva il prestigio dei principî del 1789 e ne sottolineava la forza ideale in netto contrasto con la presunta ideologia materialistica dell'arricchirsi appoggiata dalla monarchia di Luglio. Al tempo stesso, il suo collegamento tra ideologia rivoluzionaria del 1789 e cristianesimo, sebbene non fosse né originale né unico, colpì molti contemporanei per il suo carattere blasfemo.
Mentre, per Lamartine, gli ideali della Rivoluzione del 1789 erano di ispirazione divina, l'attuazione di essi era l'opera di imperfetti esseri umani, le cui debolezze morali e errori politici ebbero conseguenze disastrose.
La Costituzione civile del clero (1790) preparò il seme dei futuri conflitti impedendo una netta separazione tra Chiesa cattolica e Stato; la Costituzione del 1791 si rivelò impraticabile poiché manteneva la monarchia mentre la Francia aveva bisogno di una repubblica; i Girondini, infine, avevano irresponsabilmente gettato l'Europa in una guerra disumana che distrusse la democrazia in Francia e profanò gli ideali della Rivoluzione agli occhi degli stranieri.
Pare che all'inizio Lamartine avesse ammirato i Girondini, ma nel corso dell'opera il suo punto di vista divenne sempre più critico, sino a considerarli un'oligarchia corrotta e assetata di potere che egli paragonava ai facoltosi sostenitori del governo Guizot; i Girondini non erano degni di attenzione se non per la grandiosità e l'eroismo della loro morte.
I sostenitori della monarchia costituzionale, come Toulongeon, Madame de Staël, Mignet e Thiers, tendevano ad argomentare che i Girondini erano stati costretti dalle circostanze ad accettare la repubblica, oltre che dai propri errori e debolezze, e che in seguito avrebbero tentato più volte di salvare la vita a Luigi XVI. Gli ammiratori della fase giacobina della Rivoluzione, invece, condannavano i Girondini come controrivolunari (Buchez e Roux, Tissot), o li bollavano come repubblicani falliti (Michelet, Louis Blanc).
Sul tema della violenza politica, l'esecuzione di Luigi XVI e il Terrore, Lamartine era in certo modo ambiguo. Egli sembra accettare la violenza politica dei primi anni della Rivoluzione come incresciosa ma necessaria, e perciò giustificabile.
Tuttavia i massacri nelle prigioni parigine del settembre 1792 sono da lui fermamente condannati. Mentre le prime sollevazioni rivoluzionarie vengono descritte come movimenti popolari spontanei, Lamartine fa uso della tesi della cospirazione per spiegare ogni altra grande giornata rivoluzionaria a Parigi, tra il 1792 e il 1794.
In modo particolare il settembre 1792 viene addebitato ad azioni criminali di singoli individui più che al repubblicanesimo.
Lamartine ritiene che Luigi XVI fosse probabilmente colpevole di avere violato fa Costituzione, ma è del parere che la nazione non aveva il diritto di processare il re, che avrebbe dovuto essere deposto e esiliato invece che giustiziato. Provvedimenti illiberali come le leggi contro gli émigrés vengono giustificati da Lamartine, ma il Terrore - sostiene - non era necessario e si poneva anzi in antitesi con l'umanità e la libertà. Tuttavia, egli offre una spiegazione generale delle origini del Terrore: descrive numerose esecuzioni e massacri fin nei minimi dettagli e conclude affermando che le vittime della Rivoluzione morirono per il futuro, poiché il loro sangue era stato versato per la causa di verità eterne. Molti contemporanei erano contrari al repubblicanesimo poiché lo collegavano alla violenza politica e al Terrore; Lamartine pertanto, giustificando la violenza politica in determinate circostanze e cercando di dare una ragione del Terrore, assumeva una posizione notevolmente radicale, temperata in qualche misura dalla sua condanna dell'esecuzione di Luigi XVI e dallo sforzo di assolvere la Rivoluzione dalla responsabilità di eccessi come quello dei massacri di settembre. In ciò si differenziava non solo dagli storici monarchici e conservatori, ma anche da quegli storici repubblicani che erano pronti a giustificare il Terrore sulla scorta delle passate esperienze politiche, delle necessità rivoluzionarie e delle circostanze estreme degli anni 1793-94. Il ritratto che Lamartine fa di Robespierre è un misto di elogi e accuse. Robespierre è lodato per il suo idealismo, la sua indipendenza politica e la sua opposizione alla politica di guerra dei Girondini, ma Lamartine lo accusa di aver insistito sulla pena di morte per Luigi XVI, di aver tollerato il Terrore e di essersi preoccupato troppo della sua popolarità e della sua posizione politica. Nel complesso però è un ritratto estremamente favorevole. C'è una netta distinzione, ad esempio, tra Robespierre e un personaggio come Marat, che viene dipinto come un mostro sanguinano, e si cerca anche di dimostrare che Robespierre voleva moderare il Terrore a partire dal giugno 1794: in generale l'ideologia giacobina di Robespierre è trattata con una forte partecipazione. Secondo Lamartine, Robespierre, ispirato dagli insegnamenti del cristianesimo e dagli scritti di Rousseau, cercò di mettere in pratica i principî di libertà, uguaglianza e fraternità attraverso gli strumenti della democrazia politica, di una più equa distribuzione delle ricchezze e di un sistema generale di istruzione elementare. Tali obiettivi potevano forse essere utopici ma erano ispirati dal più puro degli ideali. Robespierre falli non a causa dei suoi principî ma perché era troppo preoccupato della sua popolarità, il che lo indusse a sacrificare Danton alla ghigliottina e persino a far di se stesso una divinità. Per i conservatori Robespierre rimase lo spauracchio rivoluzionario per eccellenza, l'artefice del Terrore e il tiranno del Comitato di salute pubblica, ma, nel 1847, un'interpretazione di Robespierre simile a quella di Lamartine era già stata avanzata da Buchez e Roux, da Tissot, Cabet, Louis Blanc e Alphonse Esquiros.
Dopo essere stati pubblicati tra il 18 marzo e il 7 giugno 1847 gli Otto volumi della Histoire des Girondins divennero immediatamente un bestseller, Lamartine aveva fatto uso delle tecniche letterarie romantiche arricchendo di una gran quantità di vividi dettagli personaggi come Maria Antonietta e Carlotta Corday, concentrando l'attenzione sugli episodi più drammatici della sua storia, e scrivendo in uno stile calcolato per ottenere il massimo impatto emotivo sui suoi lettori. Inoltre aveva deliberatamente avanzato interpretazioni controverse e si era assicurato una grande pubblicità attraverso grandi inserzioni sui giornali e ampi estratti in anteprima che dovevano essere pubblicati sui più importanti quotidiani parigini. Altri fattori contribuirono poi a creare nell'opinione pubblica un clima favorevole alla vendita della Histoire des Girondins: l'impopolarità di Guizot, la simultanea pubblicazione delle storie della Rivoluzione francese di Louis Blanc e Michelet, una serie di scandali che coinvolsero esponenti dell'élite orleanista, e infine l'ampio movimento per riformare la Costituzione noto come "campagna dei banchetti riformisti".
La "campagna dei banchetti riformisti" provocò una crisi politica che portò al rovesciamento di Luigi Filippo e della monarchia di Luglio con la Rivoluzione del febbraio 1848. Nel governo provvisorio che assunse in seguito il potere Lamartine occupò una posizione di primo piano. Deciso a mettere in pratica i principî umanitari e liberali del 1789 e ad evitare che si ripetessero il Terrore e la dittatura giacobina, egli appoggiò misure quali l'abolizione della pena capitale per reati politici, la proibizione della schiavitù nelle colonie e nei domini francesi d'oltremare, e la rapida convocazione di un parlamento nazionale eletto per suffragio maschile. Tuttavia l'insuccesso nel risolvere il problema della disoccupazione a Parigi e l'elezione di un parlamento dominato dai conservatori portò allo scoppio di una insurrezione dei lavoratori parigini il 24 giugno 1848. Quel giorno Lamartine e i suoi colleghi di governo si dimisero e da quel momento il suo ruolo nella politica francese si ridimensionò. Desideroso di difendere la sua esperienza politica oltre che di ristabilire le proprie finanze, egli scrisse una Histoire de la Révolution de 1848 (1849) in due volumi e numerose altre pubblicazioni tra cui l'Histoire des Constituants, che comparve nella sua forma definitiva in quattro volumi nel 1855.
Quest'ultima opera inizia con l'apertura degli Stati generali nel maggio 1789 e termina con la morte e i funerali di Mirabeau nell'aprile 1791. Come nell'Histoire des Girondins, lo scoppio della Rivoluzione francese è spiegato sulla base delle idee e dell'influenza dell'illuminismo, mentre i problemi politici e finanziari della Corona sono considerati di minima importanza e non vi è alcuna vera e propria discussione dei fattori economici. La nazione francese che visse il 14 luglio 1789 è rappresentata come unita nello stesso fervore rivoluzionario, ma in seguito - sostiene Lamartine - il movimento rivoluzionario cessò di essere il rappresentante unanime e spontaneo della volontà popolare e divenne invece il risultato della cospirazione e della sedizione, man mano che la direzione del movimento passava dai philosophes ai capi delle fazioni. Nella Histoire des Girondins Lamartine era pronto a giustificare l'assalto al Palazzo delle Tuileries (10 agosto 1792) e persino l'espulsione dei Girondini dalla Convenzione (31 maggio - 2 giugno 1793), ma l'Histoire des Constìtuants non approva più nessuna violenza popolare dopo il 14 luglio 1789, cosicché, per esempio, giudica criticamente sia la "grande paura" del 1789 che le Giornate d'ottobre. Ugualmente, mentre nella prima opera è Robespierre, il repubblicano incorruttibile, la figura di spicco, nella seconda questa parte è assegnata a Mirabeau, difensore della monarchia costituzionale. Tuttavia per Lamartine neppure Mirabeau, come Robespierre, riuscì a conseguire il successo politico a causa dei suoi errori e dei suoi difetti. Lamartine elogia molti dei risultati raggiunti dall'Assemblea costituente; in modo particolare il trasferimento della sovranità dal re al popolo, la fine dei privilegi aristocratici, la restituzione allo Stato delle proprietà ecclesiastiche, la riorganizzazione del sistema giudiziario ed amministrativo, l'instaurazione della libertà di parola e di stampa e l'apertura delle carriere pubbliche ai giovani talenti.
Accusa però l'Assemblea costituente di aver commesso tre errori disastrosi: la creazione di una Chiesa di Stato istituzionale, l'incorporazione della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino nella Costituzione del 1791 e il mantenimento della monarchia. Così, pur conservando la sua fiducia nella Rivoluzione del 1789 e la sua fedeltà al repubblicanesimo, Lamartine aveva evidentemente perso la sua relativa ammirazione per la fase radicale della Rivoluzione ed era diventato molto più critico della violenza popolare. Ciò rifletteva chiaramente la sua reazione agli eventi del 1848 in Francia e la sua recente decisione di distanziarsi dal repubblicanesimo di sinistra.
Anche se la Histoire des Girondins, in particolare, attirò immediatamente un enorme interesse e conseguì vendite spettacolari, la reputazione di Lamartine come storico della Rivoluzione francese non ha superato l'esame del tempo. Gli storici accademici diffidano della sua imprecisa preparazione e del suo atteggiamento romantico, mentre la sua consistente galleria di eroi politici minati da difetti e la sua abitudine a pronunciare giudizi politici circostanziati non gli hanno guadagnato un seguito di rilievo. Ciononostante, Lamartine rese un importante servigio a molti suoi contemporanei restituendo vitalità alla storia della Rivoluzione francese e rammentando loro una cosa molto importante: che nella storia delle rivoluzioni raramente è dato trovare eroi senza difetti, e raramente i giudizi politici assoluti rispecchiano fedelmente la realtà.
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