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Teheran 1979: così iniziò lo scontro di civiltà

di Pierluigi Panza - 25/06/2007

Pierluigi Panza recensisce la ricostruzione del rapimento dei 66 ostaggi statunitensi in Iran elaborata dal giornalista Mark Bowden. La rivoluzione islamica del 1978 segnò l’inizio del confronto tra America e Islam: scoppiata improvvisamente, mentre il mondo occidentale, ‘distratto’ dalle problematiche relative alla guerra fredda, non si rese completamente conto di cosa stesse realmente accadendo.
Secondo l’autore, si tratta forse dell’evento che diede fuoco alla polveriera del Medioriente, scatenando un incendio che ancora oggi fa sentire i suoi effetti. È minuziosa la ricostruzione fatta da Bowden delle vicende che portarono al rapimento dei cittadini statunitensi, della loro prigionia e, infine, della liberazione.


Era il 1978 e nessuno in Occidente, né la destra americana né la sinistra europea con i suoi maître-à-penser, si era accorto che un nuovo soggetto rivoluzionario stava cambiando la storia: la Guerra Fredda e il confronto tra conservatori e sinistra occultava la vista di quell’altro confronto tra Occidente e islam che, dal 1099, in fondo non era mai cessato. Basti accennare a due esempi. In una nota dell’agosto 1978 la Cia definiva l’Iran «non in una situazione rivoluzionaria o prerivoluzionaria». Quanto al maître-à-penser Michel Foucault - inviato a Teheran dal “Corriere della Sera” tra l’ottobre del ‘78 e il febbraio del ‘79 per seguire la rivoluzione contro lo scià Reza Pahlavi -, scrisse nove reportage inneggiando, nei primi otto, alla rivoluzione di stampo maoista, «dal basso» e «con le mani nude», degli studenti contro un regime dispotico e solo nel nono articolo (26 febbraio 1979) si accorse che eravamo di fronte a un «nuovo soggetto rivoluzionario»: l’islam radicale. Allora il filosofo divenne profeta, parlando di un movimento che poteva «incendiare tutta la regione», che «rischiava di costituire una gigantesca polveriera » e osservando che «ogni Stato musulmano poteva essere rivoluzionario dall’interno ».
Questo è il contesto della vicenda narrata in Teheran 1979-1981 [...] dal giornalista Mark Bowden, che ci riporta alle origini del confronto tra America e islam, ovvero a quel 4 novembre 1979 quando 66 americani vennero prelevati dall’ambasciata Usa di Teheran dagli studenti musulmani [...] fedeli a Khomeini e tenuti come ostaggi 444 giorni. [...]
Allora gli americani non erano abituati ad essere chiamati il Grande satana, ma improvvisamente questo episodio li fece diventare tali accendendo l’attuale fase di «scontro di civiltà» e scatenando «un fanatismo che trasformò gente decente in mostri» e uno shock «che ancora... ispira la visione del mondo musulmana». Nella vicenda furono coinvolti a vario titolo alcuni attuali leader, come Ali Khamenei, Ali A.H. Rafsanjani e il presidente Mahmoud Ahmadinejad, sulla cui mai chiarita partecipazione (lui disse di aver approvato l’occupazione ma non interrogato gli ostaggi, mentre l’americano Roader disse di averlo riconosciuto) Bowden individua uno degli eventi che rendono attuale quell’episodio-spartiacque [...].
L’autore propone una ricostruzione narrativa ma precisa del sequestro e della prigionia, mostrando la rudezza con la quale furono trattati i prigionieri, ritenuti spie, affamati e picchiati, con sacchi di juta in testa e anche torturati [...] e la loro costante paura della morte. Una ricostruzione fondata sui documenti e sulle testimonianze dei sopravvissuti, che il giornalista ha incontrato. Bowden ritrae alcuni protagonisti, le loro famiglie, il loro carattere e quello dei loro carcerieri, nonché le strategie della Casa Bianca per liberarli e la posizione della stampa che, secondo l’autore, aggravò la crisi versando benzina sul fuoco. Racconta di Mike Howland, che si aggira nudo intorno all’edificio in cui è imprigionato come forma di disprezzo verso i carcerieri. Racconta di Michael Metrinko, conoscitore della lingua e della mentalità persiana che, benché incappucciato, legato e preso per fame combattè una sua personale battaglia cercando di sviare durante i colloqui e di far sentire impotenti i propri carcerieri. Racconta di John Limbart, confinato in solitudine nella città di Isfaham, che capì del tentato blitz ordinato dal presidente Jimmy Carter dal suo carceriere, che gli chiedeva che significato avessero alcune parole di chiaro slang Marine Corps.
La crisi degli ostaggi è stato il primo test del confronto tra Usa e islam, un test che l’America ha fallito con Carter. Anche se Carter, per Bowden [...] è stato inefficace, ma non compiacente: tentò l’operazione di salvataggio militare Desert One (vi morirono 8 soldati americani) quando le altre opzioni erano esaurite.
Di fronte agli insuccessi dell’amministrazione, i prigionieri finirono paradossalmente, per una parte di mondo, per risultare veramente degli «ospiti dell’Ayatollah », come con insistenza diceva il regime e ripeteva in televisione Nilufar Ebtekar, una nota conduttrice di Tg. Ma poiché tutto è flaianamente tragico e non serio, prendendo a spunto proprio quest’ultima considerazione vale la pena di raccontare gli epiloghi grotteschi di alcuni protagonisti. Quando Bowden, nel 2003, visitò l’Iran, incontrò proprio Nilufar Ebtekar che con il marito aveva progettato l’apertura del resort Cham Paradise per turisti occidentali (fallito); i due dissero al giornalista che avrebbero avuto piacere di lanciare l’iniziativa ospitando gli ostaggi americani, non più come «ospiti dell’Ayatollah » ma come «ospiti del resort». Quanto alla parte opposta, Reul Marc Gerecht (giornalista del “Wall Street Journal”) ha raccolto un desiderio di Michael Metrinko. L’ex ostaggio gli ha confidato che «sarebbe felice di veder questo libro trasformato in film, con Brad Pitt nei suoi panni». Contattato, Pitt si sarebbe detto «disponibile e felice» di interpretare il ruolo. A questo punto manca solo che Angiolina Jolie decida di adottare un orfano iraniano figlio della rivoluzione.

Mark Bowden, Teheran 1979-1981, Rizzoli, pp.584, € 18.50.