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L'occidentalizzazione del mondo. Intervista a Serge Latouche

di Onofrio Romano - 26/06/2007

Fonte: edscuola




- Onofrio Romano: La sua opera piu' nota - L'occidentalizzazione del mondo -
e' uscita in Francia nel 1989. Il disegno teorico in essa tracciato,
tuttavia, era gia' riconoscibile nel saggio di tre anni precedente, Faut-il
refuser le developpement? (apparso in Italia col titolo I profeti
sconfessati). Un decennio, dunque. Un decennio nel quale molta acqua e'
passata sotto i ponti, a cominciare dal crollo dei paesi del socialismo
reale: e' percio' giunto il momento di chiedersi, parafrasando un vecchio
adagio, a che punto e' il processo di occidentalizzazione del mondo?
- Serge Latouche: Piu' avanzato che mai. Il movimento di uniformazione
planetaria, di unificazione del mondo sotto il segno dell'Occidente (e
dell'America, in primo luogo) e' entrato in una fase superiore, quella che
oggi denominiamo mondializzazione e della quale tanto si e' scritto. La
straordinaria riduzione dei costi di comunicazione e di trasporto ha abolito
le distanze, disintegrato le coordinate spazio-temporali, svalutando le
frontiere e lo spazio politico: viviamo effettivamente in un mondo unico, in
un villaggio planetario globale nel quale i mercati finanziari, al fine
unificati, dominano incontrastati sul resto dell'economia. Chi non trova il
proprio posto in questo universo uniformizzato e' semplicemente condannato a
scomparire.
*
- Onofrio Romano: Una visione che sembra non lasciare scampo. Eppure,
contemporaneamente al movimento di uniformazione, si sono sviluppate in
questo decennio alcune forme di resistenza. E' lei stesso a parlarne
diffusamente nel suo ultimo lavoro, L'altra Africa, e, sempre recentemente,
ha dedicato diversi saggi al fenomeno dei sistemi di scambio locale (Sel, o
Local exchange trade systems) - che si stanno diffondendo a macchia d'olio
in molti paesi occidentali -, nei quali gli esclusi creano reti di mutuo
sostegno, mettendo a disposizione vicendevolmente il proprio tempo e le
proprie risorse.
- Serge Latouche: Sfortunatamente non ci sono molte forme di resistenza.
Assistiamo piuttosto a reazioni di rigetto da parte di popolazioni
risentite, frustrate e umiliate dal processo di occidentalizzazione - penso,
in particolare, all'esplosione del fondamentalismo islamico. Sono delle
forme ad un tempo perverse ed ambigue, in quanto articolate sul modo della
gelosia o dell'invidia: seppur nel rifiuto di alcune sue manifestazioni, il
desiderio di Occidente resta molto profondo. Ne L'altra Africa parlo di
qualcosa che non si puo' propriamente chiamare resistenza: l'Africa non e'
piu' in corsa, non ha la pretesa di opporsi all'Occidente, e' ampiamente
marginalizzata in questo processo di uniformazione, del quale, al contrario,
desidererebbe essere parte integrante. Piuttosto che di resistenza, si
potrebbe parlare di forme di dissidenza, che si manifestano nella
straordinaria capacita' degli africani di tenere vivo il legame sociale
malgrado le condizioni di estrema difficolta', testimoniando cosi' la
possibilita' di auto-organizzare la propria esistenza pur collocandosi al di
fuori di un processo totalitario che non ammette resistenze. Per quanto
riguarda i sistemi di scambio locale, occorre in primo luogo mettere le cose
al loro giusto posto: malgrado la straordinaria esplosione di questo
movimento in Francia, siamo pur sempre nell'ordine di qualche migliaio di
persone coinvolte. Quantitativamente, il dato non e' significativo. Si
tratta di micro-esperienze di laboratorio che hanno, comunque, un notevole
valore di testimonianza: vi sono persone che non intendono lasciarsi
schiacciare dalla logica dell'occidentalizzazione integrale, che si
riorganizzano ai margini della "grande societa'" secondo altre logiche,
altri valori e pongono le basi per la ricostruzione del legame sociale.
*
- Onofrio Romano: Al centro della sua riflessione sulla cultura - pardon,
sull'anti-cultura - occidentale vi e' la tecnica. Ne La Megamacchina ha
sostenuto che l'una si sostanzia di fatto nell'altra e ne ha additato tutte
le conseguenze deleterie. Vi sono diversi filoni del pensiero marxista, in
particolare quello gauchista (nei cui confronti lei ha mostrato in passato
qualche simpatia), che hanno intravisto, al contrario, nella tecnica una
possibilita' di liberazione per l'uomo. Liberazione, in primo luogo, dal
lavoro. Qual e' il suo giudizio su questa prospettiva?
- Serge Latouche: Per dirla con Marx, e' una visione che confonde
l'apparenza e l'essenza delle cose. La liberazione dal lavoro mediante la
tecnica porrebbe innanzitutto un problema paradossale: nella visione
marxista, infatti, il lavoro e' il mezzo attraverso il quale l'uomo accede
alla sua realizzazione. Liberare l'uomo da cio' che lo rende tale, da quel
che lo conduce all'autoconsapevolezza sarebbe, dunque, catastrofico. Ancor
piu' grave, tuttavia, e' la pretesa di considerare la tecnica come un fatto
in se', prescindendo dalla valutazione del suo senso nella societe' moderna.
Una societa', vale a dire, il cui progetto specifico e' il dominio totale
dell'universo, quindi il dominio della natura e, per tale via, degli uomini.
La tecnica e' essenzialmente uno strumento di potere, rispetto alla cui
logica contingente l'uomo e' due volte spossessato della sua umanita': prima
in quanto ridotto a strumento di lavoro, poi in quanto deprivato del suo
lavoro. Occorre sempre risituare i fenomeni nella logica complessiva del
sistema. La visione emancipatrice della tecnica e', in fin dei conti,
estremamente superficiale ma, per la stessa ragione, molto diffusa. Non si
giungera' mai a far credere ad una casalinga che gli elettrodomestici non la
liberano ma la vincolano.
*
- Onofrio Romano: Prendendo spunto da questo statuto ambiguo del lavoro,
vorrei attirare la sua attenzione su altre parole chiave dell'Occidente, le
cui potenzialita' evocative e mobilitanti appaiono oggi alquanto appannate.
Quando lei parla della necessita' di un mutamento d'immaginario, pensa che
questo debba passare per una riscoperta del senso originario di parole
come"democrazia, liberta', autonomia, solidarieta', coscienza civile, ecc. o
ritiene che esse siano da bocciare puramente e semplicemente? In altri
termini, le nefandezze dell'Occidente, da lei instancabilmente denunciate,
sono imputabili ad un tradimento di quelle parole o ne sono il frutto
autentico e necessario?
- Serge Latouche: Questa domanda tira in ballo il percorso di alcuni miei
cari amici - Alain Caille', Cornelius Castoriadis, Pietro Barcellona ed
altri -, impegnati costantemente nel tentativo di restaurare il senso
originario della democrazia. Se e' vero che molte di queste parole possono
ancora suscitare delle reazioni nell'immaginario delle persone, se e' vero
che in esse e' possibile rinvenire un'aspirazione che oltrepassa il loro
mero statuto storico, io resto comunque piuttosto cauto. Ho sempre
manifestato una certa riserva in relazione alla rivendicazione democratica e
non perche' io non mi senta profondamente democratico. Cosi' come il
socialismo si e' tradotto nel "socialismo reale" e lo sviluppo nello
"sviluppo realmente esistente", la democrazia e' stata intrappolata nella
storia reale dell'Occidente, quindi della democrazia parlamentarista
occidentale. Le societa' africane hanno dei funzionamenti molto piu'
democratici delle nostre societa', ma non si sono mai pensate attraverso
questa concezione della democrazia. Anche rispetto al concetto di liberta',
sono giunto alla conclusione che in Africa l'individuo abbia un posto ben
piu' importante rispetto a quello riconosciutogli realmente nelle nostre
societa'. La maggior parte delle comunita' tradizionali producono
socialmente delle "persone", attraverso una lunga stagione formativa
scandita da rituali d'iniziazione. Presso i Senoufo, ad esempio, questa dura
ventuno anni e si sviluppa in tre fasi - la primaria, la secondaria e la
superiore. Il risultato e' la produzione di personalita' straordinarie,
armate per affrontare degnamente le sfide della vita, portatrici dei valori
della propria etnia e al contempo di una peculiarita' irriducibile al gruppo
d'appartenenza. Non e' un caso, del resto, che l'Africa mostri questa
straordinaria capacita' di dissidenza nel processo di appiattimento
planetario: la forza di personalita' del Senoufo gli permette di sfidare le
sollecitazioni del sistema occidentale, di disprezzare il denaro, di opporre
altri valori, poiche' egli ha una rotta da seguire nella sua vita. Nelle
nostre societa', al contrario, l'individuo e' completamente isolato in un
sistema che manipola il suo immaginario tramite la pubblicita' e la
propaganda: il suo comportamento tradisce un conformismo assoluto,
un'obbedienza supina a tutte le mode. Gli italiani ieri hanno votato in
massa per Berlusconi, oggi votano in maniera altrettanto compatta per la
sinistra: questo significa che non sanno piu' chi sono, che cosa vogliono.
Il mito occidentale dell'individuo autonomo e onnipotente e' una grande
fandonia: l'individuo nelle nostre societa' e' una pecora in mezzo al
gregge.
*
- Onofrio Romano: Le vostre analisi si concentrano sempre sugli estremi:
l'Occidente da un lato, l'Africa dall'altro. Qui nel Mezzogiorno d'Italia,
come in molte altre regioni del pianeta, ci ritroviamo in una situazione
ibrida, in cui modernita' e tradizione si fondono in sintesi nient'affatto
virtuose, che attingono spesso al peggio delle due forme. Succede cosi' che
coloro i quali non vogliono consegnare totalmente il Sud al rullo
compressore occidentale, si sentono sovente accusati di legittimare
indirettamente fenomeni deleteri come la mafia, il lavoro nero e forme piu'
o meno rinnovate di banditismo, di illegalita' diffusa, di comparaggio.
Com'e' possibile uscire da questa strettoia?
- Serge Latouche: La modernita' e' innanzitutto un mito. Essa ha prodotto
senza dubbio una rottura, ma questa non e' stata percepita come tale dalla
gente comune, in quanto la storia delle societa' appare sempre come un
continuum. Negli Stati Uniti la realta' e' stata spinta il piu' lontano
possibile nella direzione del mito. Si e' tentato di realizzarlo fin nei
minimi dettagli attraverso la sigla di un contratto sociale tra presunti
individui liberi ed eguali, che hanno deciso di fondare una societa' e di
darsi delle leggi (secondo il modello di Hobbes e di Locke). In compenso, se
si guarda all'America Latina, si ha a che fare con una societa' moderna o
con una societa' tradizionale? Vi e' uno straordinario meticciato, vi
coabitano indiani, africani, spagnoli, i quali non possono dirsi ne' moderni
ne' tradizionali, ne' occidentali ne' estranei all'Occidente. In questo
senso si puo' davvero affermare che siamo tutti africani (sebbene alcuni lo
siano piu' di altri). E' vero che i meridionali non si sentono completamente
americani, tuttavia, restano, solo per fare un esempio, sposati con
l'automobile (a Bari questo e' particolarmente evidente). Tutti desideriamo
beneficiare degli apporti della modernita' e della tecnica; e' diventato un
dovere, una seconda intima natura, ma al contempo vorremmo preservare i
valori dell'onore e della solidarieta'. Sono problemi che i popoli devono
risolversi in maniera autonoma. Ho sempre sostenuto di non avere soluzioni
per gli africani, non posso dire adesso di avere soluzioni da proporre agli
italiani del Sud: spetta a loro imboccare una via originale tra l'adesione
implicita e imprescindibile alla modernita' e le risorse della tradizione.
Spetta a loro inventare una forma di oltrepassamento, di postmodernita'.
*
- Onofrio Romano: Al tentativo d'inventare questo oltrepassamento, sta
lavorando da alcuni anni, almeno a livello intellettuale, il suo amico
pugliese Franco Cassano (i saggi raccolti ne Il pensiero meridiano stanno
riscuotendo una vasta eco). Lei crede ad un'alterita' meridiana?
- Serge Latouche: No. Apprezzo moltissimo gli scritti di Franco Cassano, ma
se dicessi che ci credo mentirei. Penso che esista effettivamente una
"sensibilita' meridiana", che questa possa spiegare molti atteggiamenti e
tradursi in scelte individuali coerenti. L'idea di una reale alterita'
meridiana mi sembra pero' eccessiva.
*
- Onofrio Romano: Ancora alla fine degli anni Ottanta le vostre idee erano
pressoche' tacciate d'eresia. Oggi conoscono una larga diffusione, per lo
meno in alcuni ambienti intellettuali e della societa' civile. Cio' che mi
sorprende, tuttavia, e' che l'adesione alle sue categorie interpretative non
si traduce quasi mai in un coerente mutamento di prospettiva e, ancor meno,
in un mutamento di prassi. Un esempio per tutti. Guglielmo Minervini ha
scritto recentemente un piccolo saggio sulla cittadina meridionale di cui e'
sindaco (Molfetta). Egli denuncia vigorosamente i disastri provocati nel
corso del secolo dalla modernita' e dallo sviluppo, salvo poi, una volta
arrivati al sodo, cioe' alle cose da fare, reclamare per la citta' "una
politica di rilancio dello sviluppo produttivo", "l'integrazione coerente di
tutti gli strumenti di pianificazione", "la transizione verso un modello
comunitario civile... non piu' feudale ma moderno", ecc. La buona modernita'
contro la cattiva modernita', al solito. Come spiega questo scarto
ricorrente?
- Serge Latouche: Molte persone, specie quelle che lavorano nel campo dello
sviluppo, dopo aver letto i miei libri, dopo aver assistito alle mie
conferenze, ne concludono entusiasticamente che, ad onore delle analisi
tracciate, occorrerebbe lavorare alla costruzione di uno sviluppo
alternativo. Ed io puntualmente mi metto le mani nei capelli. E' vero, a
volte mi sento malcompreso, ma non ho mai pensato che questo tipo d'analisi
dovesse sfociare immediatamente su delle posizioni o dei cambiamenti
concreti: il ruolo degli intellettuali e' di apportare un'illuminazione, le
persone ne fanno poi cio' che vogliono. Negli anni Ottanta, si puo' dire che
nessuno accettasse la critica dello sviluppo da me condotta. Oggi e'
diventata persino banale, ma cio' non vuol dire che si sia abbandonato
questo tipo d'immaginario. Io confido, piuttosto, nei cambiamenti
sotterranei, sottili e il cui impatto va verificato a lungo termine. La
storia ci dira'. C'e' da aggiungere, ad onor del vero, che quando si fa
un'analisi del movimento storico di uniformazione planetaria e dei misfatti
dello sviluppo si obbedisce ad un'etica della convinzione, ma quando abbiamo
da gestire la nostra vita o quella degli altri (come nel caso del buon
sindaco di Molfetta) entra in gioco l'etica della responsabilita': occorre
trovare la porta stretta tra le convinzioni e le posizioni concrete, quindi
operare necessariamente dei compromessi se si vogliono cambiare le cose,
perche' il mondo non si modellera' mai secondo i nostri desideri. Si vive,
malgrado tutto, in una realta' determinata e bisogna viverla nella maniera
migliore. L'importante e' non tradire i propri ideali, non passare, vale a
dire, dal compromesso alla vera e propria connivenza.

[Dal sito www.edscuola.it riprendiamo la seguente intervista svoltasi a Bari
il 20 novembre 1997, ivi riportata per gentile concessione della rivista
"Ora locale".
Onofrio Romano e' docente di sociologia dei fenomeni politici
all'Universita' di Bari; e' socio-fondatore dell'Associazione
antiutilitarista di critica sociale; laureato in scienze politiche, ha
conseguito il dottorato di ricerca in sociologia presso l'Universita' di
Milano, sotto la direzione del professor Franco Cassano; si e' specializzato
in sociologia dello sviluppo presso l'Iedes di Parigi sotto la direzione del
professor Serge Latouche e ha partecipato al gruppo di ricerca del Ceaq
diretto da Michel Maffesoli; e' stato consulente per la comunicazione, la
formazione e lo sviluppo locale della societa' Sviluppo Italia; svolge
ricerche sulle culture del dopo-moderno in Occidente e nelle societa' del
basso Adriatico; e' autore di molti saggi apparsi in rivista e in volume.
Tra le opere di Onofrio Romano: L'Albania nell'era televisiva. Le vie della
demodernizzazione, L'Harmattan Italia, 1999; (con Michele Mangini, Vincenzo
Spadavecchia), Mutamenti levantini. La politica barese a cavallo di
tangentopoli, Progedit, 2003.
Serge Latouche, docente universitario a Parigi, sociologo dell'economia ed
epistemologo delle scienze umane, antropologo, esperto di rapporti economici
e culturali Nord/Sud, promotre del Mauss (Movimento antiutilitarista nelle
scienze sociali), propotore della rpoposta della decrescita, e' una delle
figure piu' significative dell'odierno impegno per i diritti dell'umanita' e
la difesa della biosfera. Opere di Serge Latouche: L'occidentalizzazione del
mondo, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Il pianeta dei naufraghi, Bollati
Boringhieri, Torino 1993; I profeti sconfessati. Lo sviluppo e la
deculturazione, La Meridiana, Molfetta (Bari) 1995; La megamacchina. Ragione
tecnoscientifica, ragione economica e mito del progresso, Bollati
Boringhieri, Torino 1995; Il pianeta uniforme. Significato, portata e limiti
dell'occidentalizzazione del mondo, Paravia, Torino 1997; L'altra Africa.
Tra dono e mercato, Bollati Boringhieri, Torino 1997, 2000; Il mondo ridotto
a mercato, Edizioni Lavoro, Roma 2000; La sfida di Minerva. Razionalita'
occidentale e ragione mediterranea, Bollati Boringhieri, Torino 2000;
L'invenzione dell'economia. L'artificio culturale della naturalita' del
mercato, Arianna Editrice, 2001; La fine del sogno occidentale. Saggio
sull'americanizzazione del mondo, Eleuthera, Milano 2002; Giustizia senza
limiti. La sfida dell'etica in una economia globalizzata, Bollati
Boringhieri, Torino 2003; Il ritorno dell'etnocentrismo, Bollati
Boringhieri, Torino 2003; Altri mondi, altre menti, altrimenti. Oikonomia
vernacolare e societa' conviviale, Rubbettino, Soveria Mannelli 2004;
Decolonizzare l'immaginario. Il pensiero creativo contro l'economia
dell'assurdo, Emi, Bologna 2004; Come sopravvivere allo sviluppo. Dalla
decolonizzazione dell'immaginario economico alla costruzione di una societa'
alternativa, Bollati Boringhieri, Torino 2005; La scommessa della
decrescita, Feltrinelli, Milano 2007. Cfr. anche il libro-intervista curato
da Antonio Torrenzano, Immaginare il nuovo. Mutamenti sociali,
globalizzazione, interdipendenza Nord-Sud, L'Harmattan Italia, Torino 2000]