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TFR. I fondi non sfondano

di Cosimo Scarinzi - 26/06/2007


 


"Ci aspettavamo di più, i fondi per ora non crescono come preventivato ma determinante sarà il mese di giugno".
Giovanni Pollastrini, consulente del ministero del Lavoro sul Tfr

Come è noto, fra gennaio e giugno 2006, le lavoratrici ed i lavoratori del settore privato sono stati posti di fronte alla scelta obbligata fra il lasciare il proprio TFR all'INPS o passare ad una forma pensionistica integrativa o a gestione padronale – sindacale (fondi chiusi) o a gestione solo padronale (fondi aperti).
È opportuno rilevare che vi è una campagna martellante da parte del governo, di CGIL-CISL-UIL, delle banche a favore del passaggio ai fondi pensioni, una campagna che rende visibile la struttura corporativa del potere reale.
Dai primi dati emerge un'adesione tutt'altro che trionfale anche se è probabile che, grazie al silenzio assenso e cioè ad un meccanismo truccato che colpirà i lavoratori e le lavoratrici meno informati, l'aumento delle adesioni (tacite in questo caso) sarà maggiore.
Può valere, oggi, la pena di esaminare i dati disponibili e di ragionare sul loro significato politico.
A due settimane dal 30 giugno, termine entro cui i lavoratori dovranno scegliere se lasciare il Tfr in azienda o conferirlo alla previdenza complementare, i principali fondi chiusi segnalano al 31 maggio aumenti delle iscrizioni variabili tra il 10 e il 30% un dato inferiore alle previsioni dell'esecutivo e degli stessi fondi.
In base ai dati forniti dai singoli gestori emerge un consolidamento delle adesioni nelle categorie storicamente abituate a questa scelta come i chimici e un incremento in categorie che, invece hanno sempre registrato una adesione percentualmente bassa.
Alla fine del 2006, secondo la Covip, gli iscritti ai fondi pensione avevano superato quota 3,2 milioni, con i fondi di categoria che registravano un aumento delle iscrizioni rispetto al dicembre 2005 del 4,3% e i fondi aperti al +8,2% mentre le polizze pensionistiche individuali contavano un +16,9%.
Il fondo Cometa (settore metalmeccanico) riguarda 1 milione di lavoratori e registra al 31 maggio un incremento di 45 mila iscritti fino a superare quota 350 mila, +10% sul 2006.
Per Espero (dipendenti della scuola): il tasso di adesione passa dal 3,9% al 7% (da 47mila nel 2006 a circa 80mila). Il balzo sul 2006 fin qui calcolato è del 70% ma bisogna tenere conto che i lavoratori del settore sono circa 1 milione 200mila.
Previmoda (tessile - abbigliamento - calzaturiero), passando dai 39 mila iscritti del 2006 ai 48 mila attuali (+25%), tocca circa il 12% dei 450 mila lavoratori del settore in totale.
Fondapi (piccole e medie imprese): su un bacino stimato di oltre mezzo milione di addetti, le adesioni al 31 maggio hanno toccato quota 28 mila (5% del totale), con un aumento di oltre 5 mila (+12% sul 2006).
Prevedi (edile - industria), che riguarda 1 milione di lavoratori: l'incremento segna +40% (da 25 mila iscritti del 2006 a 35 mila fin qui calcolati) ma la percentuale di adesione complessiva si attesta attorno al 3,5%.
Alifond (industria alimentare): gli aderenti passano dai 36 mila del 2006 ai 43 mila fin qui attestati. La crescita è di quasi il 20% su oltre 350 mila addetti.
Pressoché stabile l'adesione a Telemaco (telecomunicazioni), che già nel 2006 contava 56 mila 800 iscritti ora passati a circa 56 mila 900 su una platea di 120 mila lavoratori.
Fonchim (settore chimico e farmaceutico) è da sempre forte e consolida la tradizione. I 122 mila iscritti del 2006 (su circa 200 mila lavoratori totali) passano a 145 mila (+20% sul 2006), con un tasso di adesione di oltre il 70%.
Simile la situazione per Fopen (aziende del gruppo Enel): nel 2006 aderivano 42 mila dei 50 mila lavoratori del settore, che passano a circa 45 mila. Un balzo che porta al 90% un'adesione già alta, 76% alla fine del 2006.
Il fondo Priamo (autoferrotranvieri) può contare su 47 mila conferimenti al 30 aprile contro i 40 mila scarsi di fine 2006: un aumento del 17% per una categoria che impiega 110 mila lavoratori.
Buona prestazione, infine, per Laborfonds (aziende ed enti pubblici) che registra al 31 maggio 90 mila iscritti con una crescita del 9% rispetto al dicembre 2006: il 36% di una platea potenziale di 245 mila addetti.
Mi scuso con i lettori per la sovrabbondanza di dati ma la ritengo utile.
Proviamo a dare una prima sintetica interpretazione di questo quadro. Se si guardassero i dati prescindendo dalla campagna posta in essere dal blocco sociale interessato alla crescita dei fondi pensione, si potrebbe ritenere che questa stessa campagna ha avuto un discreto successo soprattutto se agli aderenti volontari si sommerà un discreto numero di aderenti per silenzio assenso.
Va, in primo luogo, però, rilevato il fatto che, mentre con massicci fondi pubblici, 34 milioni di euro, le imprese e si sindacati concertativi hanno fatto una campagna martellante, l'unica opposizione sul terreno sindacale è stata fatta dal sindacalismo di base che certo non ha risorse economiche comparabili e che, nonostante ciò, si è speso generosamente organizzando moltissime assemblee ed iniziative di critica della previdenza integrativa. Se, nonostante i suoi limiti quantitativi, il sindacalismo di base ha rilevato molto interesse e condivisione delle sue posizioni, una ragione vi sarà.
È, poi, interessante il fatto che la campagna ha funzionato meglio nelle categorie tradizionalmente abituate alla pensione integrativa mentre ha visto un consenso assai limitato proprio dove i suoi promotori puntavano ad entrare e cioè nelle categorie "vergini" e, soprattutto, nella massa di lavoratori con poca anzianità di servizio o, peggio, in condizione precaria, quelli più massacrati dalla riforma delle pensioni e, in apparenza, più "interessati", meglio sarebbe dire obbligati, alla pensione integrativa. Sarebbe, a questo proposito, opportuna un'analisi più puntuale della natura dei diversi fondi pensione, per un verso, e della composizione tecnica delle diverse categorie di lavoratori.
Detto ciò, credo vada evitata una lettura trionfalistica dei dati, i fondi pensione stentano a decollare, questo è un fatto, la critica alla privatizzazione della previdenza gode di un ampio consenso, questo è un altro fatto, ma è anche vero che ha giocato, da parte delle lavoratrici e dei lavoratori un'attitudine prudente nei confronti della proposta di giocare in borsa parte del proprio reddito, attitudine che i fautori dei fondi pensione avevano con ogni evidenza sottovalutato.
Detto ciò, la resistenza a cedere il proprio TFR è solo un primo passo, la vera partita è, ma questa non è una novità, quella che si gioca sul salario in tutte le sue determinazioni: salario diretto, salario indiretto e, nello specifico, salario differito.
In buona sostanza, si tratta di riprendere l'iniziativa per il diritto a pensioni sicure, di conseguenza, non legate all'andamento dei mercati azionari ed obbligazionari come parte dell'azione a difesa del salario.
Come è ovvio, una partita difficile e di medio periodo ma anche non evitabile se non ci si accontenta di una vittoria tattica.