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D'Alema e Damasco

di Giancarlo Chetoni - 27/06/2007

Fonte: lettera_informazione



Ci risiamo. Il Ministro degli Esteri D'Alema ha un chiodo fisso e
appena gli capita l'occasione torna a martellarlo. L'attentato,
misteriossimo, a spagnoli e colombiani di Uribe a Khyam gli ha fornito
un altro pretesto per esternare che il lavoretto fatto a Unifil è "da
attribuire a un'internazionale del jihad e che resta importante per la
sicurezza dell'area il controllo della frontiera tra Libano e Siria". 

Per renderlo praticabile ed efficace - ha spiegato - occorrerebbero
almeno 30.000 scarponi. La precisazione sul numero dei militari da
impegnare sul terreno non è stata accompagnata da alcuna indicazione
né sulla natura del contingente che dovrebbe integrare la forza ONU né
sui mezzi "tecnici" che dovrebbero essere usati, anche se il Vice
Presidente del Consiglio ribadisce che l'Italia è pronta a fare la sua
parte.

Elettronica e satellitare? 

D'Alema, del resto, ha molti precedenti in materia. Vede con favore lo
schieramento di un contingente "arabo" a Gaza e si è battuto, con
l'appoggio dell'Alto Rappresentante della Commissione Europea Solana,
per la conferma del Generale Pistolesi del Comando Generale dell'Arma
e di una torma di "doganieri" dei Reparti Operativi Speciali a Rafah. 

Attualmente dislocati in "vacanza premio" a Ashqelon dopo la cacciata
delle Forze di Sicurezza di Dahlan dalla prima Terra Libera di Palestina.

Doganieri che andavano a prendere un caffè quando si impediva al Primo
Ministro Haniyeh di far ritorno in Patria e si sarebbe attentato, di
lì a qualche ora, alla sua vita dopo un viaggio in Arabia Saudita.

Dal canto suo il governo libanese è convinto che i terroristi siano
arrivati dall'esterno. L'agguato - l'ha detto ieri a Parigi Fuad
Siniora a D'Alema - era "ampiamente atteso". L'inviata in Libano de
"La Repubblica" Francesca Caferri ha rincarato la dose di indizi.

Ha rintracciato, con fulminea tempestività, a Tripoli, lo sceicco Omar
Bakri espulso dall'Italia per sospetti legami con Al Qa'eda per
strappargli una dichiarazione molto, molto sospetta come questa:
"L'Europa deve convincere Il Partito di Dio a consegnare tutte le armi
e a fermare il traffico che passa con la Siria". 

La dichiarazione, a orologeria, del Baffo di Gallipoli nel riproporre
come urgente la sigillatura del confine tra i due Paesi, a 24 ore
dalla strage in un territorio a ridosso delle Fattorie di Shebaa
occupate da "Israele", manifesta in realtà l'esplicita e perdurante
volontà della Farnesina, in perfetta intesa con Beirut, di mantenere
"caldo" a livello politico lo stato delle sue relazioni con la Siria.

La presenza, in queste ore, di una delegazione della Commissione
Esteri e Difesa guidata dall'on. Dini del Partito Democratico e dal
sen. Mantica della Casa delle Libertà a Damasco non aiuta certo a
migliorare i rapporti bilaterali tra le due sponde del Mediterraneo.

Anche se il turismo di élite, costosissimo, dei parlamentari della
Repubblica delle Banane ha superato, abbondantemente, il livello
dell'indecenza, la "missione"  dei rappresentanti di Camera e Senato
questa volta rientra nella tattica dei "colpi di spillo" adottata da
Roma contro Damasco.

Se la motivazione ufficiale, che la Siria non può respingere, è quella
del mantenere un interscambio di informazioni e di contatti
reciprocamente utili tra le istituzioni dei due Paesi, in realtà
l'Italietta punta a interferire in qualche modo negli affari interni
di Damasco e a rendere evidente a Washinghton e agli Alleati della
Nato che Roma sta facendo il possibile e l'impossibile per mantenere
sotto pressione Bashar al-Asad.

Evidentemente il "sì" di Spatafora alla risoluzione 1757-7 per
l'istituzione del Tribunale Internazionale non è bastato a guastare
quanto serviva i rapporti tra Italia e Siria.

Mentre D'Alema si chiama apparentemente fuori dal farsi promotore al
Consiglio di Sicurezza di un'interpretazione estensiva della
risoluzione 1701, non è certo la prima volta che Palazzo Chigi e i
titolari di Ministero degli Esteri e della Difesa sollecitano
l'allocazione di una forza europea "disarmata" ai varchi doganali tra
Libano e Siria con il sottinteso, del tutto evidente e strumentale, di
mettere sotto accusa Damasco, che renderebbe permeabile quella
frontiera per destinare a formazioni terroriste del Libano un costante
rifornimento di armi e di esplosivi.

Le posizioni espresse da D'Alema di arrivare ad un controllo più
efficace della linea di confine tra Libano e Siria questa volta sono
state immediatamente accolte e rilanciate da Ban ki Moon.

Al Palazzo di Vetro si è altresì espressa la preoccupazione che dietro
la strage di Khiyam ci siano "traffici sospetti provenienti da
territori vicini".

Per il Ministro della Difesa Alonso dietro l'esplosione che ha
sventrato il blindato BMR di Madrid c'è Al Absi e Fatah al-Islam, e la
collaborazione di forze  ostili dell'Area. Per la Rice è stato tutto
altrettanto chiaro. Nahr al-Bared rimane un bubbone infetto da estirpare.

A distanza di un'ora dall'attentato, quando era ancora sconosciuto il
numero dei morti e dei feriti del contingente di Unifil 2 e le
televisioni libanesi non erano ancora arrivate a Khiyam, il
Dipartimento di Stato faceva sapere che Siria e Iran continuano, a
dispetto degli avvertimenti, a soffiare sul fuoco in tutta la Regione.

Come si vede la musica è, come sempre, corale e aggressiva. Anche se
c'è da dire che da qualche tempo il timbro e l'amplificazione sul
terreno, da quelle parti, lascia molto, molto, a desiderare.

Le bordate della cosiddetta Comunità Internazionale puntano, ormai da
ben prima del 2005, in un'unica direzione: mettere in stato di accusa
Bashar al-Asad e i suoi Alleati nel Medio Oriente e nel Golfo Persico
per indebolire a livello economico, politico e militare i rapporti tra
Damasco e Mosca.

La demonizzazione della Siria serve anche a isolare la sua influenza
nella Lega Araba.

A Washinghon e a Gerusalemme ci si rende perfettamente conto che la
Siria sta riarmando, e questa volta con una dotazione di sistemi
d'arma ad altissima tecnologia, e che le Alture del Golan non sono più
merce di scambio utile per lo smantellamento della sua alleanza con
Teheran.

I fautori di "quel che è mio è mio e quel che è tuo, quando mi va,
trattabile" cominciano ad avere qualche nervo scoperto. I blitzkrieg
del '67 sono ormai definitivamente archiviati, né è più possibile
precipitare per conto dello Zio Tom e i suoi Alleati il Libano in una
nuova devastante guerra civile. Le guerre per procura nel Paese dei
Cedri sono agli sgoccioli.

Il respiro degli Hariri, dei Geagea, dei Jumblatt è corto e affannoso.

Non ci saranno altre Sabra e Shatila.