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La strada in salita di Schwarzenegger

di redazionale - 27/06/2007

  



In gran parte del mondo, il cambiamento climatico è un tema preoccupante. Tranne in California. A un recente raduno di luminari ambientalisti – nella casa di un divo del cinema naturalmente, perché è così che si valuta quanto sono serie le cose a Los Angeles – la nota the dominante era l'autocompiacimento per quanto lo stato ha già realizzato. E forse nessuno è più compiaciuto di Arnold Schwarzenegger. A differenza di Al Gore, candidato presidenziale trasformato in profeta del disastro ambientale, il governatore della California appare allegro quanto parla di cambiamento climatico. E per forza: ci ha costruito sopra la carriera politica.
Anche se California è da tempo uno stato con una consapevolezza ambientale, fino a tempi recenti verde significava preoccuparsi soprattutto di smog e alberi di sequoia. “ Coast of Dreams ”, l'autorevole storia della California contemporanea di Kevin Starr, pubblicata nel 2004, non cita il cambiamento climatico. In quell'anno però, il neoeletto Schwarzenegger fece il primo appello agli stati occidentali perché cercassero alternative ai combustibili fossili. Pian piano iniziò a notare che il suo impegno ad affrontare il cambiamento climatico incontrava meno resistenze, e più consensi di qualunque altra sua politica. Di questi tempi, sembra che non si occupi più d'altro.
La trasformazione di Schwarzenegger da eroe dello schermo a eco-eroe si è compiuta lo scorso anno, quando ha firmato un progetto di legge che impone limiti legalmente applicabili alle emissioni di gas serra: il primo caso in America. La legge, lunga 13 pagine, impegna la California a ridurre le proprie emissioni ai livelli del 1990 entro il 2020. Si tratta di per sé di un obiettivo ambizioso, considerando che la popolazione dello stato è in crescita del 42% nello stesso periodo. Ma Schwarzenegger ha fissato anche altri due obiettivi. Vuole ridurre le emissioni di gas serra ai livelli del 2000 entro il 2010, e tagliarle sino all'80% di quelle del 1990 nel 2050.

Grazie soprattutto alla mancanza di carbone e industria pesante, la California è uno stato relativamente non inquinato. Se fosse una nazione autonoma, sarebbe l'ottava economia mondiale, ma sarebbe sedicesima dal punto di vista dell'inquinamento. Il suo grosso problema sono i trasporti: il che significa soprattutto auto e camion, che pesano per oltre il 40% sulle emissioni di gas serra, contro il 32% degli Usa nel loro insieme. Lo stato vuole scalare verso il basso i limiti alle emissioni dei nuovi veicoli, a partire dal 2009. Schwarzenegger ha anche deciso che, entro il 2020, i carburanti per i motori devono produrre il 10% in meno di anidride carbonica: si esclude così sia nella produzione che nel consumo un semplice passaggio all'etanolo da mais.
Si prevede anche che i californiani del futuro usino elettricità più pulita. Lo stato sostiene l'energia solare, con l'intenzione di avere nel giro di dieci anni un milione di tetti che producono energia. Ha praticamente proibito alle compagnie elettriche di firmare accordi di lungo periodo con centrali a carbone, e si prevede di comprare da fonti più pulite. Nel 2002 Gray Davis, l'allora governatore Democratico, ha firmato una legge che impegnava lo stato a un quinto della propria energia da fonti rinnovabili, escluso nucleare e grandi impianti idroelettrici, entro il 2017. L'anno scorso, con una mossa caratteristicamente spavalda, il traguardo è stato anticipato al 2010.
Schwarzenegger ora gira in jet per tutti gli Stati Uniti e il Canada (controbilanciando le proprie emissioni con acquisti di quote dalle foreste di sequoie), lodando chi si impegna per controllare il riscaldamento globale, e attaccando il governo federale perché non vuole agire. Un messaggio perfettamente adatto sia all'idea dei californiani di essere gli innovatori d'America, sia alla tipica diffidenza dell'Ovest rispetto al big government . E aiuta enormemente il fatto che lui sia un repubblicano: “un repubblicano atipico” per dirla col consigliere Terry Tamminen. Se non lo fosse, sarebbe fin troppo facile catalogarlo come un sinistrorso ambientalista un po' fanatico.

Grazie anche all'esempio della California, gran parte degli stati occidentali hanno adottato piani di azione per il clima. Quando però si arriva a fissare limiti alle emissioni, l'immagine assomiglia a quella dei culturisti che mostrano i muscoli per l'elezione di Mr Olympia. I grandi consulenti sul cambiamento climatico dell'Arizona avevano deciso di fissarsi come obiettivo un taglio di emissioni statali fino ai livelli del 2000 entro il 2020. Però la governatrice Janet Napolitano era determinata ad esibire muscoli quanto la California. Così ha dichiarato che i livelli del 2000 sarebbero stati raggiunti entro il 2012.
Comunque è un cambio di rotta rispetto al business as usual . La California non ha soltanto ispirato altri stati; ha costituito un'avanguardia che dovrebbe essere in grado di spingere il governo federale verso criteri nazionali più avanzati. Ma al tempo stesso la California pare trovi più facile esportare le proprie politiche, che applicarle a casa.
Il primo ostacolo, ovvero l'obiettivo di produrre un quinto della propria elettricità da risorse rinnovabili nel giro di tre anni, ora appare come troppo alto. L'anno scorso si è riusciti ad arrivare solo all'11%. Anche se le compagnie energetiche si impegnano a firmare accordi con produttori eolici e solari, semplicemente non si trova offerta a sufficienza: almeno, ai prezzi che le compagnie sono disposte a pagare. Contemporaneamente, il piano per installare pannelli sui tetti è stato ridimensionato dagli alti costi degli impianti fotovoltaici, dalla burocrazia, e dalla richiesta poi temporaneamente sospesa che si comprassero quote aggiuntive energetiche a seconda della domanda. Questo avrebbe aumentato le bollette di parecchie famiglie.

Nonostante le previsioni ottimistiche sui contratti futuri, la commissione sui servizi pubblici ha concluso che lo stato non raggiungerà gli obiettivi sulle fonti rinnovabili. E anche l'obiettivo di tagliare le emissioni da produzione elettrica ai livelli del 1990 entro la fine del prossimo decennio, potrebbe rivelarsi egualmente irrealizzabile. Art Rosenfeld, commissario per l'energia, ha tentato di capire come si possa riuscirci. Pur con previsioni a dir poco eroiche sui miglioramenti nell'efficienza energetica, i conti non tornano.
Ed è un cattivo segno, il fatto che i fornitori di energia della California siano in difficoltà, perché l'elettricità è una cosa su cui lo stato mantiene un notevole controllo. Ne ha molto meno sui fabbricanti di auto, che lottano per evitare che la California imponga loro certi livelli di emissioni. Se ci riusciranno, anche solo per un certo periodo, gli obiettivi statali si faranno irraggiungibili. Anche per via delle poche precipitazioni piovose e nevose in California, i veicoli restano su strada parecchio tempo. Ci vogliono 16 anni perché le auto prodotte in una certa data vengano rottamate.
Lo stato ha poi ancor meno potere per rallentare la propria crescita di popolazione, o per imporre dove essa debba insediarsi. Si spera che politiche di “ smart growth ” (che favoriscono l'abitare più concentrato e l'uso di trasporti pubblici) possano contare per il 15% del percorso verso gli obiettivi generali del 2020. Ma su questo fronte le notizie sono scoraggianti. Lo stato cresce troppo in fretta, in quella che Joel Kotkin e William Frey, in un rapporto per la Brookings Institution, chiamano “ Terza California ”: una larga fascia di territorio arido chiusa tra la costa del Pacifico e le montagne della Sierra Nevada. Fra il 2000 e il 2005 in questa area si sono insediati altri 1,4 milioni di persone: il doppio che nella California meridionale, e 27 volte la quantità della Baia di San Francisco.

Si tratta di un enorme problema ambientale, per due motivi. In primo luogo, non usare sempre la macchina nella California interna è anche più difficile di quanto già non accada negli insediamenti diffusi lungo la costa. Secondo, l'interno ha un clima molto più caldo, il che significa più aria condizionata. Paragoniamo ad esempio, l'arida Riverside County (che l'anno scorso è cresciuta molto più del resto dello stato) con la zona marina di Monterey (che ha perso più popolazione in assoluto). L'utente residenziale della Riverside l'anno scorso ha bruciato 9.911 kilowatt-ora di elettricità, quasi il doppio della media di Monterey, che è di 5.458.
Da un certo punto di vista, la fiducia in sé stessa della California si giustifica. Ha fatto più di qualunque altro stato – per non parlare del governo federale – nell'attirare l'attenzione dell'America sul cambiamento climatico. Ha anche fatto sì che il problema sembrasse risolvibile. Ecco perché un fallimento sarebbe davvero una cattiva notizia. Ora la California per gli altri stati è un simbolo. Se non riesce, diventerà una scusa per non agire.

da The Economist
Scelto e tradotto per Megachip da Fabrizio Bottini

Nota: la versione originale dell'articolo anche sul mio sito Mall_int sezione Environment ; sul tema dell'insediamento diffuso che mangia energia, in Italia e nel mondo, una intera cartella dedicata agli Spazi della Dispersione (f.b.)