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Nome di battaglia Mara. Vita e morte di Margherita Cagol, il primo capo delle BR (recensione)

di Susanna Dolci - 28/06/2007




"Nome di battaglia Mara - Vita e morte di Margherita Cagol, il primo capo delle BR" è il titolo dell’ultima pubblicazione della collana “Le radici del presente” (diretta da Luca Telese) della casa editrice Sperling & Kupfer Editori (Milano, 14.00 euro). Uscito nelle librerie all’inizio di giugno, il volume ha già riscosso, in meno di un mese, un ragguardevole successo di pubblico. L’autrice è Stefania Podda, classe 1969 e giornalista di Liberazione, quotidiano di Rifondazione Comunista. Lo stile è sintetico, scorrevole, lucido, incisivo dove serve ma mai celebrativo. Un’equa narrazione per affrontare una delle figure più misteriose della storia italiana degli anni settanta. Quella di Margherita Cagol, moglie di Renato Curcio e con lui ed Alberto Franceschini fondatrice del nucleo storico delle Brigate Rosse e capo della colonna torinese.

“La prima donna ad aver scelto la lotta armata, la prima a morire. Ma per i giornali è soprattutto la moglie di Renato Curcio, ‘la pasionaria’ del terrorismo, così la chiameranno passando in rassegna la sua vita sino a farne un personaggio da romanzo d’appendice. (...) Stefania Podda ha seguito le tracce flebili che la corsa verso la morte della Cagol ha lasciato dietro di sé, diradando la cortina fumosa che avvolge la sua memoria. Ha raccontato Margherita, la ragazza con la chitarra, e Mara, la donna con la pistola (…)”. Ma è proprio quell’essere “soprattutto” la moglie del professore o dell’ideologo delle BR a non andare giù a chi vi sta scrivendo. Sembrerebbe come se Margherita/Mara sia stata un elemento secondario, un sopramobile da spostare a piacimento dei protagonisti di una delle storie del terrorismo italiano. La verità è un’altra. E la si scopre pian piano nella lettura del libro. Ed inquietante è non sapere, a conclusione, come la Cagol sia effettivamente morta, alla Spiotta, in quel lontano 5 giugno 1975. A trent’anni. Ma d’altronde perché stupirsi? Di morti strane ce ne sono state assai sia in un campo che nell’altro… E dalla luce della verità, a trenta/quarant’anni di distanza, ancora non si è ravvivati.

Il libro inizia proprio dalla fine. Dai fatti, appunto, della Cascina Spiotta su per le Langhe piemontesi e, dunque, del rapimento di Vittorio Vallarino Gancia (dinastia spumanti et affini). Gli spari sulla collina, i morti e feriti, la confusione delle notizie trasmesse. L’inizio dello stragismo delle brigate rosse ed il loro graduale irrigidimento che sfocerà in seguito nella più assoluta ferocia. E poi lei “una donna riversa sul prato in una giornata di sole: i jeans arrotolati, le scarpe di corda, un lenzuolo a coprirle il viso. Uccisa da un colpo ‘fatale’ (più altri gentili, n.d.r.) che le ha trapassato il torace”.

Sono passati tanti anni ma sia Curcio che Milena Cagol, una delle sorelle di Margherita, non vogliono parlare della vicenda. Il dolore è sempre presente, come la memoria. Renato Curcio, dopo 24 anni di carcere, è tornato in libertà, si è risposato ed è padre di una bambina. Vive in un casolare a Dogliani, nelle Langhe. Vicino al luogo dove à morta la sua Margherita (a ricordarlo, per tanti anni, un mazzo di fiori) ed ancor più vicino al carcere di Casale da dove la sua Mara lo fece evadere personalmente, dopo il suo arresto e quello di Franceschini l’8 settembre 1974, grazie ad una sua operazione di perfezione militare, preparata nei dettagli e condotta senza alcun spargimento di sangue.

Ed, ancora, i nomi di Mario Moretti, brigatista sempre equivoco nei suoi atteggiamenti, Mario Sossi, il giudice di Genova rapito dalle BR il 18 aprile 1974 e prima di lui, nel 1972, Idalgo Macchiarini, dirigente della Sit-Siemens, per un’ora tenuto in ostaggio dai “banditi cortesi”. Ed, ancora, il giudice Giacanrlo Caselli e l’editore “alternativo” e terrorista Giangiacomo Feltrinelli, saltato in aria, anche lui misteriosamente. Il PCI di allora, sordo ed interessato solo ai voti ed allo sbarramento ai fascisti. La lotta di popolo e di fabbrica, l’occupazione degli stabili per gli indigenti, i tanti volantini e rivendicazioni, le macchine da scrivere e la stella a cinque punte o anche sei, per errore…. E tanto, troppo altro ancora. Ma sempre, dietro, c’è la presenza di Lei. Della “ragazza tranquilla, seria riservata, poco espansiva” e borghese, cresciuta a Trento tra studi musicali e sociologici. Dell’incontro con un Curcio spiantato e pieno di idee di rivoluzione e cambiamento. Del matrimonio alle 5.30 di mattina. Della militanza milanese e della lotta di classe, della strage di Piazza Fontana...

Su Margherita, Alberto Franceschini dice: “Di lei, in quel momento (primo incontro a Milano nel 1969, n.d.r.) ho un ricordo preciso, vivissimo: di una presenza silenziosa, ma attenta. Renato ha tenuto banco per ore, parlava, era un turbinio di parole, di ragionamenti. L’appartamento era molto piccolo, praticamente un monolocale. Un soggiorno, un angolo cottura e la camera da letto. Mara appariva e spariva. Non ha mai aperto bocca, ma ascoltava tutto e soprattutto osservava tutto. Ecco, è questa l’immagine che ho fissato nella mia mente: i suoi occhi che registrano ogni dettaglio”.

Una donna forte, quindi, in un ambiente maschilista, che saprà accettare e vivere la lotta armata e la latitanza e saprà tenere unite le vecchie BR nella praticità e nell’ideologia, scontrandosi duramente anche con il sopra citato Moretti. Ma sempre con il pensiero rivolto alla famiglia. Non mancheranno mai le lettere ai genitori ed alla suocera, anche nei momenti più difficili. Piene di raccomandazioni ed attenzioni…

Ma basta così… Il resto è da leggere. Senza pregiudiziali, rivisitazioni purificatrici o demoniache, sterili critiche che tanto vanno di moda in questi ultimi anni ma che a ben poco servono. Da leggere, pensando che la protagonista ha combattuto per le proprie idee, per una società diversa. Poi, se la scelta del campo di battaglia o della barricata è stata avversa e/o diversa, se i metodi non sono stati giusti (ma cosa lo è, allora e dunque, giusto?), se vittime e carnefici ci sono stati in numero cospicuo… tutto ciò ed altro era in conto, sia in addizione che sottrazione.

Alla donna che Mara/Margherita Cagol è stata, i versi del poeta americano Wallace Stevens:

“Non vegliare, si deve. Che ne sorge
una donna d’un rosso luminoso,
pettinandosi, erta in oro violento.
Dirà un verso, pensosa, penserà
un verso che è incapace di cantare.
Che poi, se il cielo è di un siffatto azzurro
le cose cantan sole proprio per lei,
sempre per lei”.