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L'Onu «vede» un pianeta di città ripulite

di Emanuele Giordana - 30/06/2007

 

Tra meno di un paio d'anni la metà della popolazione mondiale, 3,3 miliardi di esseri umani, vivrà in città. Entro il 2030 poi questa cifra salirà sin quasi a raddoppiarsi. E però, sostiene l'ultimo rapporto annuale dell'Unfpa, il Fondo Onu per la popolazione, non bisogna cadere in facili allarmismi. In primo luogo, dice l'Unfpa, non sono necessariamente le grandi metropoli a crescere. E poi, se vista sotto un'altra ottica, la città può essere, se ben guidata, una risorsa. In città c'è lavoro mentre in campagna no, e non sarebbe nemmeno poi così vero che le grandi città danneggiano in maniera irreversibile l'ambiente. Insomma un rimedio c'è, anzi più di uno, purché si segua qualche buona ricetta che anticipi la crescita senza aspettare che i problemi diventino troppo grandi: puntare su una nuova governance che investa sulla partecipazione nel processo decisionale, garantisca accesso e istruzione di qualità, punti sui giovani tutelandone salute e diritti. Che fornisca infine risorse idriche pulite, una buona rete fognaria, alloggi dignitosi e garanzie di sicurezza.
Il dossier annuale dell'Unfpa rappresenta una messe enorme di notizie e la miglior banca dati sulla crescita della popolazione mondiale. Questa volta fotografa un mondo popolato da baraccopoli, città sempre più disumane e insicure con isole di privilegio e in mezzo a ghetti invivibili da Nairobi a Bogotà. Poi però segue una ricetta che non pare brillante, né particolarmente aggressiva. Per anni le agenzie dell'Onu hanno avuto un potere di denuncia e di allarme che ha scosso dal torpore opinione pubblica e «decisori» politici: ora invece l'intero organismo del Palazzo di Vetro sembra segnare il passo, a cominciare dal suo segretario che, finora, non ha brillato per carattere e fantasia. Le ricette proposte dall'Unfpa sono buone ricette riformiste ma si potrebbe anche dire che sconfinano nel banale. Come sarebbero belle le città con le fogne a posto, un'abitazione degna per tutti, spazi verdi e la scuola dietro l'angolo! Chi lo contesta? Ma l'emergenza di domani è in realtà quella di oggi e già di ieri e, come molti sanno, non dipende in sé dalla crescita delle città ma dallo squilibrio di un sistema produttivo che sullo squilibrio è basato. Il mondo peggiora? Ha già nel male il germe del suo miglioramento. Ci si può accontentare di una simile risposta?
Da questo punto di vista è parso molto più coerente il commento dell'ambientalista Gianfranco Bologna, invitato mercoledì scorso a presentare il dossier Unfpa da Aidos, l'associazione italiana che ha divulgato il rapporto in Italia. In un suo scritto, Bologna non offre soluzioni ma sottolinea proprio gli eccessi del nostro sviluppo. Mette sotto accusa il modello e fa capire che, se non si parte da lì, non solo il destino delle città ma quello dell'uomo è al punto di non ritorno. Anzi, lo ha già superato: «Il consumo mondiale di risorse naturali è aumentato anno dopo anno e la quantità annuale di risorse estratte è cresciuta dai 40 ai 53 miliardi di tonnellate annue dal 1980 al 2002, un incremento di un terzo in soli 22 anni. Nello stesso tempo - aggiunge - il progresso tecnologico ha consentito una maggiore efficienza della produzione e rispetto al 1980 oggi si utilizza un 25% in meno di risorse naturali...». Ma c'è un però: «Nonostante ciò - avverte Bologna - essendo l'economia mondiale cresciuta nello stesso periodo dell'82%, questo guadagno di efficienza viene di fatto sorpassato dalle dimensioni e dall'incremento complessivi della produzione e del consumo».
Produzione e consumo, due concetti che non brillano nel rapporto dell'Unfpa. Nessuno si augura un ritorno alle caverne ma è sull'economia globale che bisogna incidere. Sul modo di produzione e sul modello di consumo. Critica assente dalle ricette dell'Onu. Sperare che le grandi città e il loro ghetti trasformino i propri rifiuti in risorse non è molto diverso che augurarsi un ritorno all'età dell'oro come speravano gli antichi. Confidando nell'aiuto di Giove pluvio in tempi di siccità.