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NATO: un decennio di ricatti ed inganni

di Leonid Ivašov - 02/07/2007



Un “grande” evento s'avvicina: il 10o anniversario della firma dell'Atto fondamentale sulle relazioni comuni, la cooperazione e la mutua sicurezza tra la Federazione Russa e l'Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord.
Un'anticipazione della festività l'abbiamo avuta nel maggio 2006, quando le celebrazioni si susseguirono nella vasta terra di Russia, da Vladivostok a Kaliningrad. Gli eventi erano devoti alla “angelica” NATO. Nel loro spettacolo itinerante, ambasciatori, parlamentari e generali rappresentanti d'entrambe le parti, si trovarono a raccontare nelle università il ruolo storicamente ricoperto dalla NATO nel mantenere la pace mondiale, nel distruggere la dittatura comunista, nel lottare contro il terrorismo, il traffico di droga e le armi di distruzione di massa. In poche parole, nel condurre una guerra planetaria contro il “Male”.
Tutto ciò è stato fatto affinché quest'anno si possa celebrare il decennale. E quello che ci troviamo davanti è più d'un semplice anniversario: oltre ai 10 anni dalla firma dell'Atto Fondamentale, abbiamo anche il 5o anniversario dell'inaugurazione del Consiglio Russia-NATO. A dirla tutta, la seconda data è poco più d'una frottola. Il fatto è che – tra le altre cose – l'Atto fondamentale istituiva questo consiglio, la cui prima sessione ebbe luogo nel 1997, quando al timone [della Russia] c'era il presidente El'cin e ministro della difesa era Igor' Sergeev. Ma ricordare questi fatti di storia reale significherebbe sminuire il ruolo di Sergej Ivanov, il ferreo sostenitore della NATO nonché miglior ministro della difesa mai apparso al mondo. Così, hanno deciso di manipolare la data. Del resto, perché crearsi problemi per soli cinque anni?
Ciò che più c'interessa è però altro: quali sono stati i risultati del decennio di “stretta e fruttuosa” cooperazione? Cosa era stato progettato, e cosa invece è avvenuto? Ma cominciamo dall'inizio.
L'Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord fu creata il 4 aprile 1949 a Washington, inizialmente con la firma di sole dodici nazioni. Sua funzione suprema era la difesa comune, benché le attività in progetto avessero un chiarissimo tenore antisovietico, in un momento in cui l'Unione Sovietica non mostrava la minima aggressività verso l'Occidente. Dopo la guerra, l'URSS stava faticosamente risorgendo dalle proprie ceneri. Chi avrebbe potuto pensare d'assumere un atteggiamento aggressivo in un momento simile?
Lo stesso non valeva per i padri fondatori della NATO. Il 12 marzo 1947, durante un convegno alla Casa Bianca, i più alti vertici militari e civili avevano concluso che la collisione tra l'Occidente e l'Oriente sarebbe stata inevitabile. Ai militari fu chiesto d'escogitare un piano d'azione contro l'URSS.
Nel 1948 il Consiglio di Sicurezza Nazionale statunitense approvò la Direttiva 20/1, il cui obiettivo era il rovesciamento del regime comunista sovietico. In altre parole, fu dichiarata una “guerra fredda”, passibile di diventare “calda” in qualsiasi momento.
Lo stesso anno (1948), Washington approvò il dispiegamento in Europa (esattamente in Gran Bretagna) di bombardieri strategici B-29, in grado di trasportare bombe nucleari.
Sempre quell'anno fu concluso il Patto di Brussels. Con esso, gli Stati Uniti ottenevano il diritto di difendere i propri soci europei.
Con simili precedenti, la creazione della NATO non poteva certo stupire. Fin dall'inizio, l'alleanza fu intesa come uno strumento di lotta geopolitica controllato dagli USA e rivolto alla distruzione dell'URSS (ed intendiamo esattamente l'URSS – cioè la Russia - e non il regime comunista), col fine ultimo d'instaurare un dominio globale statunitense. La Direttiva 20/1 recita:

«Va sottolineato specialmente che, a prescindere del fondamento ideologico di qualsiasi regime non-comunista e dalla sua disponibilità verbale ad accogliere democrazia e liberalismo, dovremmo impegnarci per ottenere i nostri obiettivi. (...) In altre parole, dovremmo creare garanzie automatiche affinché pure un regime non comunista e teoricamente amico degli USA:
a) non sia militarmente forte;
b) sia economicamente dipendente dal resto del mondo;
c) non goda d'una seria autorità sulle principali minoranze nazionali;
d) non sia in grado d'installare nulla che assomigli ad una “cortina di ferro”.»

Poco dopo la creazione del blocco, il suo primo segretario generale, Joseph Lunds, ne spiegava le finalità nei termini seguenti: «La NATO è necessaria a tenere gli USA in Europa, la Russia fuori dall'Europa e la Germania sotto l'Europa».
Per concludere questa retrospettiva, ricorderei che, già nel 1952, l'80% dell'assistenza economica complessiva fornita all'Europa nell'ambito del “Piano Marshall” era costituita da armi e munizioni. L'URSS contattò i governi degli USA, della Francia e della Gran Bretagna, chiedendo di poter aderire a quell'alleanza, in vista della creazione d'un sistema di sicurezza collettiva internazionale, ma per due volte fu respinta.
Torniamo ora alla fase attuale di “cooperazione” russo-atlantista ed alle celebrazioni dell'anniversario. L'Atto Fondamentale (il cui anniversario s'è deciso di celebrare su così vasta scala) fu ispirato sia dalla NATO sia dai liberali russi. La sua esigenza nasceva dai piani d'espansione ad oriente dell'Alleanza; l'ostilità da essi suscitata in Russia non fece altro che mettere fretta a quelli che li progettavano. Il confronto era imminente, ed il sempre docile governo El'cin si poteva far “inchinare” facilmente a Washington. Il processo di riforma senza fine delle Forze Armate russe, che stava distruggendole a poco a poco, poteva terminare.
Alla fine del 1996, B. El'cin decise di preparare un accordo con la NATO. Evgenij Primakov guidava la delegazione russa per le trattative. Chi scrive faceva parte di quella delegazione, in rappresentanza del Ministero della Difesa russo. Si trattava d'una potente squadra d'esperti militari e diplomatici.
Nel marzo 1997 le parti si scambiarono le rispettive proposte. La delegazione russa presentò una bozza d'accordo ben strutturata, la quale in sostanza prevedeva: la creazione in Europa d'un sistema di sicurezza collettiva, il ridimensionamento delle attività militari ostili, il congelamento del processo di sviluppo delle infrastrutture militari negli ex paesi del Patto di Varsavia, e la proibizione per questi ultimi d'entrare nella NATO. I princìpi erano quelli del rifiuto del ricorso (o della minaccia al ricorso) della forza militare, delle decisioni prese congiuntamente e delle attività volte al mantenimento della pace, della conservazione dei siti d'immagazzinamento e dispiegamento delle armi nucleari, e così via. La bozza russa avrebbe potuto rendere l'Accordo sulla sicurezza e la cooperazione in Europa un elemento molto importante di questo processo, adattandolo alle nuove condizioni.
Da parte sua, la NATO presentò una bozza infarcita di vuote dichiarazioni d'intenti, piena d'appelli alla cooperazione in nome della pace e del benessere planetario.
Grazie al deciso atteggiamento della delegazione russa, la sua bozza fu adottata quale base per futuri negoziati. Ma non riuscimmo a spingere quelli della NATO in questioni come il non allargamento del blocco ed il non dispiegamento d'armi nucleari nei nuovi Stati membri dell'Alleanza. Quest'ultimo problema vide entrambe le parti esporre le proprie posizioni. I rappresentanti della NATO dichiararono di non avere motivo né intenzione di dispiegare quelle armi, e noi esprimemmo la speranza che la NATO non dovesse mai giungere a compiere un simile passo.
Su molte altre questioni, dove vigevano differenze d'opinione ed incomprensioni, fu necessario raggiungere dei compromessi. Tuttavia, a grandi linee, l'Atto Fondamentale siglato a Parigi il 27 maggio 1997 dai Capi di Stato e di governo dei paesi membri della NATO e dal Presidente della Federazione Russa, stabiliva tre livelli di relazioni in ambito politico e militare, inclusi:
- consultazione reciproca;
- decisioni congiunte;
- attività comuni.
Tra le disposizioni dell'Atto Fondamentale (benché essere fossero in qualche modo diluite) c'era anche quella per cui le Parti non avrebbero mai dovuto intraprendere azioni che potessero minacciare la sicurezza europea, senza prima consultarsi con l'altra per ottenerne l'approvazione.
Ma, ahimé!, ecco cosa ha dichiarato il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov, alla vigilia delle ben note celebrazioni: «Noi apprezziamo la struttura del Consiglio Russia-NATO [l'organo centrale dell'OSCE, comprendente il Consiglio dei Ministri degli Esteri e quello dei Ministri della Difesa] che ci permette di discutere, così da capirci meglio l'un l'altro». Punto.
Posso ricordare discussioni del genere. Quando le fu chiesto perché ridislocasse i propri corpi danesi e tedeschi in territorio polacco, vicino ai confini con la Russia e la Bielorussia, la NATO rispose che stava portando “pace e democrazia” in quei paesi. La risposta alla domanda sul perché gli atlantisti ammettano ex repubbliche sovietiche nella loro alleanza è altrettanto significativa: “Questa è la scelta democratica di Stati indipendenti”. E così via su questa linea. Il che significa che i membri del Consiglio Russia-NATO, il principale organo della “cooperazione”, continuano a prenderci per idioti o per aborigeni della Papua-Guinea – e noi stiamo ingoiando tutto.
Ed ora arriviamo al marzo del 1999 quando, non solo senza la nostra approvazione (ch'era impossibile per principio), ma contro la stessa opinione russa, la NATO portò la propria “democrazia” di missili e bombe ai Serbi. Al momento, sono impegnati ad “implementare” l'esatto contrario della Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU sul Kosovo, dove si parla chiaramente dell'integrità territoriale della Repubblica Socialista di Jugoslavia ed il Kosovo è indicato come parte della Serbia. Gli esperti della NATO stanno facendo del proprio meglio per strappare il Kosovo alla Serbia, riconoscendo l'indipendenza della provincia. Non gliene importa un fico secco delle perplessità della dirigenza russa in merito al loro impegno per far entrare l'Ucraìna e la Georgia nella NATO, ed anzi continuano a menarla sul fatto che ciò avverrebbe “per il bene della Russia”. S'è scoperto persino che i sistemi antimissili ed il radar negli Stati membri dell'Alleanza sono posti “per il bene della Russia”, e giammai costituiscono una minaccia alla sua sicurezza...
Così, a dispetto di tutte le parole spese sulle nostre relazioni “societarie”, questo è quanto abbiamo in mano. Chiamarla “cooperazione” è un insulto. Si tratta semmai d'una strada a senso unico, dove la coalizione controllata dagli Stati Uniti ha, negli ultimi dieci anni, attivamente e progressivamente lavorato per rafforzare la propria potenza militare, occupare posizioni strategicamente utili ad accerchiare la Russia, isolarla dai suoi alleati e renderle ostili gli Stati che la circondano; con la mezza idea di porre uno spesso cappuccio anti-missilistico sul nostro potenziale nucleare.
Davvero dobbiamo celebrare tutto questo?
(traduzione di Daniele Scalea)

Versione originale: http://en.fondsk.ru/article.php?id=823


* Il generale Leonid Ivašov è vice-presidente dell'Accademia per le Questioni Geopolitiche. È stato capo del Dipartimento Affari Generali del Ministero della Difesa dell'Unione Sovietica, segretario del Consiglio dei Ministri della Difesa della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), capo del Dipartimento Cooperazione Militare del Ministero della Difesa della Federazione Russa e capo di Stato Maggiore dell'Esercito della Federazione Russa.