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Battiato: L’era del cinghiale stanco

di Stefania Vitulli - 02/07/2007

 

 
 
 

Clicca per ingrandire Ogni tanto l’universo ha bisogno di essere rimesso in ordine. Nel caso, un’intervista a Franco Battiato può rivelarsi utile. A osservare di nuovo il Tutto con occhi incontaminati. Per chi, infatti, abbia creduto sino a ora che il Maestro guardi ogni cosa dall’alto di una trascendenza criptica e cupa, sono in serbo sorprese: Battiato è un inguaribile ottimista ultrasessantenne. Su di lui, i «danni fisici psicologici collera e paura stress sindrome da traffico ansia stati emotivi primordiali malesseri pericoli imminenti e ignoti disturbi sul sesso», novena di mali dell’oggi che elenca attraverso le parole di Manlio Sgalambro nella canzone Il vuoto che apre e dà il titolo al suo ultimo album, paiono non avere attecchito affatto.
Dopo quarant’anni di musica e canzoni, Battiato continua a produrre con la stessa gaddiana «primavoltità». Ex editore di libri e dischi con il marchio «L’Ottava», scrittore (l’ultimo titolo è Ideogrammi, Mondadori, 2005), compositore di opere liriche, da quasi vent’anni pittore e da poco novello virtuoso del pianoforte. Sta per affrontare un’estate di lavoro: la sua presenza alla Milanesiana, oggi, con un concerto di sette canzoni, è la prova generale del tour «Battiato Live», che toccherà luoghi di paradisiaca bellezza, come il Parco archeologico di Vulci (15 luglio), e insoliti, come la Cantina Sociale di Locorotondo (30 luglio). Il tutto dopo aver appena terminato il suo terzo film (dopo Perduto amor e Musikanten), Niente è come sembra: titolo di un’altra canzone del nuovo album e frase attribuita al Buddha.
Battiato, davvero niente è come sembra?
«Credo proprio di sì, su questo non c’è dubbio».
E come lo vedremo dalle immagini del film?
«Non è facile da dire. Tutto è imperniato intorno a questa frase attribuita al Buddha. Il senso del film è che un ateo potrebbe risultare più credente di un credente. E viceversa».
In tempi di fondamentalismi religiosi si rischia di creare confusione.
«Se si riferisce ai fondamentalisti islamici, le dico subito che quelli di sacro hanno solo un osso. Sono degli infiltrati. Ma quando dico questo penso anche agli occidentali. Le sembra possibile fare una guerra in nome di Dio? Il fatto che abbiano giacca e cravatta e sembrino più puliti di loro non cambia le cose. E poi, dopo aver visto l’alluce di Wolfowitz, non sembriamo più nemmeno tanto puliti».
Nel suo album Il vuoto si segnala un’omologazione mondiale che fa paura.
«Quando ero giovane io non eravamo un branco. A 14 anni ognuno di noi vestiva alla sua maniera, aveva una sua personalità. Forse perché io sono nato dopo una guerra mondiale e per un ventennio almeno abbiamo avuto solo voglia di vivere».
L’impressione è che oggi il vivere sia disturbato da una serie di rumori. Dovrebbero essere di fondo ma sono diventati protagonisti.
«Ma l’uomo cerca proprio quello. Ho amici che dicono di non avere mai tempo per nulla, non si fermano mai. Invece basta mezz’ora, per pensare, in qualsiasi momento, anche in un bar. Ma siamo irresistibilmente attratti dal rumore. Un giorno in un grande albergo di Roma chiesi: “Scusate, ma come potete sopportare queste musiche? Non vi frastornano?”. “No signor Battiato, almeno così stiamo un po’ allegri”. Allegri? Hanno paura di sentirsi. Non stanno bene con loro stessi e hanno bisogno di qualcosa che li porti via, un modo per dimenticarsi».
Sarà la paura della morte?
«È così. L’Occidente ha esorcizzato questo passaggio. Ricordo che incontrai il Dalai Lama a Bangalore, durante un festival di musica spirituale: ridendo mi raccontò che andava a trovare un amico che stava per morire. Rideva. Non lo trova incredibile? Noi ignoriamo sempre la fine. Poi quando arriva la morte di un familiare o di un amico, il mondo crolla. Rimaniamo distrutti per un mese. E poi torniamo dov’eravamo, senza avere imparato niente. Invece dovremmo essere abituati alla morte. Perché non siamo eterni. Questo lo si sa».
Lo si sa?
«Non siamo eterni per questo genere di vita. Poi secondo me lo siamo».
Lei è credente?
«Se dico di sì, qualcuno tra coloro che leggono penserà che creda in un dio umano, personificato. Un dio come quello degli spot televisivi, che ti dice “Ah, birbantello hai sbagliato! Vieni qui che c’è papà”. Invece siamo di fronte all’incalcolabile. Noi formiche di questo universo non consideriamo mai che c’è un mistero profondissimo. Pensiamo di essere chissà che cosa. E, invece, in questo spazio ti perdi».
In che cosa crede, allora? «Credo che non sia la prima volta che vivo. Credo che non sarà l’ultima».
In che cosa la sua fede è diversa dalle altre?
«Leggevo oggi l’articolo di un grande genetista mondiale e sono rimasto allibito per l’ennesima volta di come l’uomo non abbia ancora imparato ad aguzzare la percezione. Non c’è bisogno di aspettare che la scienza ci spieghi la vita: la si capisce da miliardi di cose. Nel mio nuovo film ho cercato di esprimere il perché dell’esistenza. La differenza che c’è tra l’immobilità dell’origine e la vita primigenia. Qualcuno dice che veniamo dalle scimmie. Allora perché le scimmie non diventano uomini e donne anche oggi, sotto i nostri occhi?».
Lei che ne pensa?
«Penso che le scimmie siano una delle forme di noi stessi. Gatti, cani, rinoceronti: sono sempre esseri, che vivono all’interno di manifestazioni materiali provvisorie».
Il tema della Milanesiana quest’anno è l’Assoluto. Il suo ultimo album si chiama Il vuoto. Connessioni o contraddizioni?
«Il vuoto è un vocabolo ambiguo, l’ho scelto apposta. I mistici orientali hanno considerato “vuoto” anche la divinità. Sono zone amorfe. Come il cielo. Non c’è fisionomia, solo il senso della percezione dell’esistenza. Quindi con l’assoluto c’è apparentamento profondo».
Torniamo al pragmatismo. Siamo ancora una «povera patria»?
«È una domanda vagamente politica?».
Vagamente.
«Mi dispiace dire questo ma chiamiamo Belpaese un Paese che in realtà è pieno di fogne. Di gente che ha solo voglia di rubare. Il termine è esatto: rubare. Fregare l’altro, lo Stato, i cittadini che non sanno di questi trucchi e truffe».
Siamo peggiorati ancora, dunque?
«Tutto è peggiorato, perché si è ingigantita la macchina della perversione. Siamo a livelli parossistici: tutto diviene scusa per rubare. Il nostro Paese attraversa un periodo molto duro, è pieno di bugiardi sistematici, di malfattori. Basta un po’ di caldo e si scatenano gli sciacalli. Ma questo è l’uomo».
L’uomo o l’italiano?
«L’italiano insegna a tutti».
Non si salva nessuno?
«Ci sono luoghi che conservano una correttezza morale intatta. Sono stato in Danimarca la scorsa estate per filmare un Lama tibetano e ho passato tre giorni con gli occhi sgranati. Non esistono le afflizioni che da noi sono un cancro perenne. Esistono gentilezza, solidarietà».Mi dica una cosa meravigliosa della contemporaneità.
«Tantissime. Ci sono ottimi ricercatori e scienziati di fisica, chimica, medicina. Non ho dubbi che esistano persone eccezionali, anche nella musica. Anche se quello che si sente è solo il gran fracasso che fanno per divertire i ragazzini. Ma chi è sensibile e sa cercare, trova tutto, nonostante l’influenza nefasta dello show business. Nel cinema, ad esempio, da New York ad Acireale, le uscite dei film sono programmate in modo globale. Questo trascina e influenza il gusto di molti, come una droga».
Un’ipnosi collettiva più forte di qualsiasi messaggio?
«Certo. Perché tra il bene e il male, l’uomo sceglie il male. Gli è congeniale ed è meno faticoso. Lo show business sa bene che un pubblico passivo si sente benissimo. E lo bombarda di immagini sempre più veloci, di effetti speciali ridicoli e fasulli che diventano rimozione».
Eppure si sente in lei un certo ottimismo...
«Perché a me piace la vita. E quindi vivo bene. Guardo quel che accade, mi dispiaccio per quelli che cadono in questi tranelli e, come ho scritto in un saggio che uscirà insieme al film, dalla mia postazione mando segnali: attenti, c’è un virus, una diossina mentale che sta rovinando l’essere. Si ammirano i delinquenti. Le ragazzine sventolano mutandine per chi va in galera».
Le canzoni ci possono vaccinare contro il virus?
«Stiamo lavorando per questo. Faccio parte di un gruppo di “evasi solitari che vanno contromano”».
Faticoso.
«A me piace. Preferisco sentirmi un cretino di fronte agli intelligenti che non il contrario».