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Tutto ha un prezzo sociale e ambientale: giusto pagarlo?

di redazionale - 02/07/2007

Mentre l’ex vicepresidente Usa Al Gore chiede l’immediato superamento del Protocollo di Kyoto e di riscriverne entro due anni uno con impegni molto più forti ed obbligatori e uno dei nuovi inquinatori planetari, l’Indonesia chiede di includere la deforestazione nei nuovi accordi ed impegni entro il 2009 per la lotta al global warming che l’Onu dovrà prendere a dicembre a Bali.

La proposta indonesiana punta ad includere le emissioni provenienti dalla deforestazione tra i gas serra, per farne elemento del commercio dei permessi e delle quote. Attualmente il Protocollo di Kyoto permette alle nazioni sviluppate di dare finanziamenti ai paesi poveri per ridurre le loro emissioni derivanti dalla produzione di refrigeranti, per la cattura di gas serra derivanti da rifiuti agricoli o urbani, ma non per evitare la deforestazione. Inserire la deforestazione nelle politiche climatiche significherebbe dare un prezzo alle emissioni di CO2 emesse dalle aree forestali, permettendo così ai grandi inquinatori di acquistare “permessi” per produrre gas serra. Quindi, invece di piantare nuovi alberi in terreni desertici o degradati, come accade già oggi, gli inquinatori ricchi acquisterebbero semplicemente aree da non deforestare dagli inquinatori poveri.

Una novità che sa quasi di ricatto, anche se Rachmat Witoelar, ministro dell’ambiente indonesiano, la spiega diversamente alla Reuters: «La riduzione delle emissioni provenienti dalla deforestazione devono essere studiate perché i Paesi in via di sviluppo come l’Indonesia possano beneficiarne. L’Indonesia beneficerà del commercio delle emissioni di carbonio. Intorno all’85% delle emissioni proviene dai cambiamenti effettuati sull’ambiente, tra questi troviamo la deforestazione».

La posizione indonesiana “foreste tropicali contro finanziamenti e permessi di emissione” sembra avere l’appoggio convinto di dei Paesi con le maggiori aree di foresta pluviale e tropicale del mondo: Papua Nuova Guinea, Congo, Brasile ed altri paesi tropicali che sono protagonisti della deforestazione legale ed illegale per la produzione di legno pregiato, olio di palma, prodotti agricoli e biocarburanti.

L’Indonesia è molto interessata, perché secondo la Banca Mondiale la pratica degli incendi delle foreste per far spazio alle palme da olio la sta portando a far parte del top 3 dei più grandi emettitori di CO2, con 2.563 miliardi di tonnellate di emissioni annue.

Si profila quindi un nuovo modo di “contabilizzare” le risorse naturali, se è vero che non più di un paio di settimane fa il presidente dell’Ecuador Correa ha annunciato la proposta di vendere il petrolio “crudo represado”, cioè petrolio che rimanga compresso nel sottosuolo, per impedire che nel parco Yasuní, si apra una nuova ferita di 200.000 ettari, che si stava negoziando con l´impresa statale brasiliana Petrobras. In pratica si mette in vendita il “titolo” rappresentato dalla presenza di greggio, anziché la possibilità di estrarre materia prima per l’industria della raffinazione: il patrimonio anziché i benefit da esso derivati.

Una proposta innovativa per proteggere l´ambiente e le popolazioni indigene facendo comunque perno sui giacimenti petroliferi che esistono in quell’area, così come oggi propone l’Indonesia (seppur allo stato embrionale e non priva di contraddizioni e perplessità sulla reale valenza ecologica della proposta) per le sue foreste minacciate da piantagioni intensive finalizzate ai consumi occidentali.

Il governo ecuadoriano ha già annunciato che emetterà dei buoni per vendere il greggio senza estrarlo, con la speranza che a comprarli siano persone, gruppi, ong, organizzazioni a livello nazionale e internazionale, e di cooperazione governativa. Una sorta di azionariato popolare verso un capitale naturale. Del resto il pianeta come bene comune e di tutti oggi può essere salvato anche (o soltanto) monetizzandolo, così come embrionalmente fa il protocollo di Kyoto. Forse saranno molti quelli che storceranno la bocca, ma intanto, almeno nel caso ecuadoriano e forse in prospettiva in quello indonesiano il bilancio ambientale e quello sociale potrebbero risultare in attivo....