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La crisi della politica nell'epoca del postumano. L'importante ultimo libro di Pietro Barcellona

di Pasquale Rotunno - 03/07/2007

 


L’antagonismo tra i custodi dell’umanismo, rispettosi della natura, contrari alle manipolazioni genetiche, e quanti sostengono l’avvento delle più ampie modificazioni corporee attraverso nuove modalità biologiche, rivela quanto ravvicinata sia la svolta verso il postumano, sino a ieri vagheggiata solo dalla fantascienza. “Umanizzare” i meccanismi artificiali e robotizzare la sensorialità e la coscienza dell’uomo sono obiettivi di cui si intravedono i primi passi nei laboratori di ricerca in tutto il mondo. Sono troppo ottimisti quanti credono che l’uomo possa acquisire valenze superumane solo con qualche chip inserito nella corteccia cerebrale o con qualche meccanismo elettronico che guidi i suoi arti e – persino – i suoi “pensieri”. Ma non c’è dubbio che l’uomo dei nostri giorni ha sviluppato straordinarie potenzialità tecniche e percettive (prima ancora che conoscitive). L’idea di dirigere l’evoluzione della specie, nonché il destino dell’individuo, con interventi tecnologici è parte integrante del nostro immaginario collettivo.
L’artificializzazione del corpo è ormai vista come imminente. Siamo destinati a lasciare il posto a una specie più evoluta, come ha dovuto fare l’uomo di Neanderthal prima di noi? È davvero concepibile che, fondendoci con la nostra tecnologia, potremmo divenire qualcosa di diverso, esseri “postumani”? L’arrivo della prospettiva del postumano è recente. Ma il continuo sviluppo tecnoscientifico potrà permettere una capacità d’intervento senza precedenti sul nostro organismo. Il dibattito non riguarda più la sua fattibilità, quanto la sua desiderabilità. L’emergere del postumano rischia veramente di far perdere la nostra umanità? Il progresso tecnologico sfuggirà dalle nostre mani, portandoci all’autodistruzione?
Il filosofo del diritto Pietro Barcellona utilizza vari strumenti d’analisi per smascherare quanto di ideologico si cela in quello che definisce un radicale “attacco dell’assetto attuale del mondo all’essenza-uomo”. Nel breve ma denso saggio “L’epoca del postumano” (Città Aperta edizioni, pp. 62, Euro 8), Barcellona denuncia quanto sia divenuto difficile definire “cos’è un uomo”. “L’uomo non è più definibile neppure come campo di interrogazione. Non è più possibile stabilire né quando nasce né quando muore, è in gioco la stessa forma della finitezza umana”. La manipolazione tecnologica del vivente spiazza le prospettive e i linguaggi tradizionali. L’epoca del postumano sconvolge tutte le coppie oppositive, tutti i criteri distintivi, attraverso i quali si è operata la distinzione fra natura e cultura, oggettivo e soggettivo, vivente e inorganico. “Tutte le opposizioni sono conciliate e risolte in uno scenario di tipo evolutivo”. In cui l’unica legge sembra essere quella volta a ottenere la perfetta integrazione tra cervello e computer, tra umanità e tecnica. La libertà e la volontà umane “sono totalmente sostituite dal caso e dalla necessità che presiedono al processo evolutivo guidato dall’intelligenza calcolante-selettiva”. Un processo senza soggetto, dunque. Svanisce così la possibilità di costruire un progetto alternativo a quello dell’economia di mercato. Di fronte al funzionamento meccanico del rapporto fra biologia e tecnica, “l’appello all’idea del progetto e del soggetto diventa una lamentazione patetica”. La parabola del soggetto è la parabola della politica.
Una delle possibilità più inquietanti offerte all’uomo dal postumano è quella di diventare un’entità di solo codice, caratterizzata dalla prevalenza dell’informazione sul suo supporto materiale, il corpo. Un postumano disincarnato, dove il corpo diviene superfluo o, meglio, indifferente. L’informazione contenuta in un corpo si può estrarre e introdurre in un altro corpo. L’identità, considerata come configurazione neuronale, può allora essere trasferita in qualunque altro supporto. Il corpo cessa di essere segno distintivo ultimo dell’identità individuale. L’attività della mente viene a coincidere con l’esecuzione di algoritmi. Scompare anche ogni ipotesi di trascendenza.
Dalla dissoluzione del sacro – secondo Barcellona – dipende la tendenziale negazione dell’altro (nonostante la retorica dell’altruismo) e del limite all’onnipotenza narcisistica rappresentato dal reale. La dissoluzione della realtà come limite alla soggettività implica la negazione dell’alterità; quindi della parzialità del proprio essere al mondo. Alla “fede” nello scientismo e nella tecnologia va contrapposta, quindi, “la volontà di non distruggere la tradizione umana”, riproponendola come “scelta a favore della ricerca del senso della vita, di un senso che oltrepassi i limiti dell’esistenza di ciascuno di noi”. Fino a recuperare “il bisogno di credere”, come qualcosa che non si lascia ridurre a una spiegazione naturalistica o scientista delle dinamiche psichiche dell’essere umano. Il mondo è diventato un brulicare disordinato di atomi impazziti che testimoniano soltanto l’inconsistenza di ogni progetto di costruzione di un mondo umano.
Senza trascendenza, non c’è spazio per una condizione umana che si costituisca a partire dallo scarto tra finitezza, mortalità, parzialità dell’esistenza e totalità, armonia e coerenza dell’universo. E senza questo scarto “non c’è spazio per la dimensione politica come concorso della soggettività umana nella costruzione del mondo e di un ordine nuovo”. La politica riproporrebbe il problema del ruolo specifico dell’uomo nella destinazione del mondo, che non pare compatibile nella prospettiva dell’evoluzione scientista. Per quest’ultima, l’uomo appartiene alla pura casualità delle turbolenze contingenti determinate dal finalismo evolutivo: la funzione del caso come occasione di una più “intelligente” selezione di ciò che serve alla sopravvivenza e alla riproduzione del vivente. È questo, a giudizio di Barcellona, l’esito della visione postumanistica del mondo. Essa, muovendo dalla critica della religione e della dissoluzione del sacro, ha consegnato il futuro della specie all’ibridazione di macchina intelligente e corpo umano.
L’ultima resistenza alla piena coincidenza di artificio e natura, di tecnica e cultura, di uomo e computer, è tuttavia la presenza del corpo umano come materialità irriducibile, che impedisce la totale risoluzione della vita nell’intelligenza artificiale.
È proprio a partire dall’irriducibilità materiale del corpo umano che si può mostrare il carattere ideologico di questa prospettiva. Immaginare un mondo senza uomini è possibile; ma “è un controsenso rispetto all’esperienza quotidiana del vivere e del morire, dell’amare e soffrire, del lutto e della gioia, di tutto ciò che costituisce il vissuto di ogni essere umano”. La parabola illuministica del dominio della natura si è conclusa nel naufragio della “ragione calcolante”. La virtualizzazione del mondo ha reso la vita riproducibile in vitro; eppure, “il tumulto delle passioni attuali chiede ancora di essere interpretato”. Trovare le parole per esprimere questa discontinuità fra meccanismo e sentimento è certamente un problema. Ma dipende da noi “decifrare i segni dei tempi per capire le domande di senso che urgono dietro i movimenti della società, anche per raccontarne le vicende”. Il dolore dell’esistenza non trova spiegazione nella prospettiva evoluzionistica. Il ritorno del “sacro”, di ciò che non è nella disponibilità della tecnica, è la sola resistenza alla dissoluzione dell’umano nel meccanismo dell’artificialità virtuale, capace di autoprodursi senza alcuna mediazione esterna.
In questa dissoluzione si compie il destino dell’Occidente nel suo inesorabile tramonto. Senza il limite del sacro, non c’è futuro e senza futuro non ci sono né profezia né politica. C’è solo fuga nelle fantasticherie dell’utopia. Ridurre la politica ad amministrazione degli interessi, a economia politica per garantire il miglioramento delle condizioni di sopravvivenza, fino alla saturazione di ogni speranza possibile oltre il limite dell’umana animalità, “equivale a sopprimere la stessa autonomia della politica rispetto all’economia”.