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Rousseau: il sistema educativo e sociale del popolo

di Enea Baldi - 03/07/2007





"Ecco il solo ritratto d'uomo, dipinto esattamente al naturale e assolutamente fedele al vero, che esiste e che mai probabilmente esisterà. Chiunque voi siate, che la mia sorte o la mia fiducia hanno reso arbitro di queste pagine, io vi scongiuro, per le mie sventure per le vostre viscere, e a nome dell'intiera specie umana, di non annientare un'opera utile e unica, un'opera che può servire come prima pietra di paragone per quello studio degli uomini che è ancora certamente da cominciare, e di non privare l'onore della mia memoria dell'unico sicuro documento sul mio carattere che non sia stato sfigurato dai miei avversari. E foste infine voi stessi uno dei miei implacabili nemici, desistete dall'esserlo verso le mie ceneri, e non perpetuate la vostra ingiustizia crudele sino al tempo in cui né voi né io esisteremo più, affinché possiate almeno una volta offrirvi la nobile prova d'essere stato generoso e buono quando avreste potuto essere malefico e vendicativo, ammesso che il male inflitto a un uomo che non ne ha mai fatto e voluto fare, possa assumere il nome di vendetta."
dalle "Confessioni"

Jean Jacques Rosseau nasce a Ginevra nel 1712 da una famiglia di orologiai artigiani. La madre muore qualche giorno dopo il parto e il padre presto è costretto a lasciare Ginevra a causa di problemi con la giustizia. Il giovane Rosseau viene affidato alle cure di Madame de Warens una nobildonna svizzera al servizio del re di Sardegna, che gli farà prima da madre e poi da amante. Trascorrerà questo periodo tra la Savoia, Torino e Chambery esercitando mestieri diversi e completando con lo studio la sua formazione intellettuale. Lasciata Madame de Warens si trasferisce a Parigi dove entra in contatto con scrittori e i filosofi del tempo, Fontenelle, Marivaux, Rameau e Diderot; con quest'ultimo collabora alla stesura della famosa "Encyclopédie", per la quale scriverà molti articoli di carattere musicale. Infatti una delle passioni dello scrittore svizzero, oltre alla letteratura, è la musica: comporrà un melodramma che sarà rappresentato persino a Versailles, alla presenza del re. Nel 1757 rompe i rapporti con gli enciclopedisti e si trasferisce a Montmorency, dove scrive La nuova Eloisa (1761); il Contratto sociale (1762) e l'Emilio (1762). A causa dei contenuti politici delle sue opere, perseguito sia dalle autorità di Parigi che di Ginevra, è costretto a rifugiarsi a Neuchatel, una località in territorio svizzero ma soggetta al governo prussiano; per un breve periodo si trasferisce a Londra, ospite del filosofo e storico scozzese David Hume ma quando i rapporti tra i due si incrinano, Rousseau torna in Francia, ad Ermenonville. Qui scrive un'autobiografia dal titolo Confessioni e nel 1778 a causa di un peggioramento delle condizioni di salute muore.
Rousseau è stato uno degli scrittori più eclettici del XVIII secolo: dalla saggistica alla poesia, dagli articoli per l'Encyclopédie ai romanzi, fino ai componimenti musicali.
Il saggio che darà una certa notorietà a Rousseau fu il Discorso sulle scienze e sulle arti (1750), che egli scrisse in seguito ad un concorso indetto dall’Accademia di Digione sul tema: "La rinascita della scienza e delle arti ha contribuito a corrompere o a purificare i costumi?". Il breve scritto di Rousseau, che otterrà il primo premio, rivelò una personalità originale, con una forte determinazione ad andare al cuore dei problemi e desiderosa di rinnovamento e di rigenerazione radicale della società. In apparenza, l’assunto del giovane Rousseau sembrava sostenere che le scienze e le arti non hanno contribuito al progresso bensì al regresso della civiltà, fiaccando gli animi e distogliendoli dal perseguimento delle più autentiche virtù civili e sociali. In realtà, il Discorso non criticava né la cultura né il sapere in sé. Li criticava solo nella misura in cui, tradendo la loro più vera missione, essi non operavano per il miglioramento dell’umanità, rendendosi talora persino complici del rammollimento dei costumi. Non dimentichiamo le responsabilità politiche che scienze ed arti hanno avuto (ed hanno) nello sviluppo del dispotismo repressivo degli Stati moderni. Rousseau vagheggia invece la polis dell’antichità, cioè è convinto che la mirabile armonia tra individuo e comunità, tra cultura e politica che fu un tempo di Atene e Sparta, dovrebbe essere il traguardo ambìto anche delle nazioni moderne. 
Un altro scritto che Rousseau pubblicò nel 1755 - sempre per un concorso indetto dall'Accademia di Digione -, fu il Discorso sull'origine della disuguaglianza degli uomini. Secondo lo scrittore ginevrino l'uomo in natura non è un essere buono, bensì un individuo dotato di aspetti e istinti positivi, con una rete complessa di bisogni, inclinazioni e sentimenti: la socialità è per lui cosa positiva, l'incertezza risiede nello sviluppo della realizzazione di tutto ciò. Il complicarsi dei rapporti, l'egoismo, la frenesia del potere generano il male e i conflitti sociali, che diventano conflitti umani. Secondo Rousseau, la causa di tutto ciò è l'istituzione della proprietà privata. In effetti, la proprietà privata, genera una disuguaglianza economica che si identifica con una disuguaglianza sociale e politica, in quanto chi possiede, detiene anche il potere, in una spirale perversa atta a generare altro potere. La casta dei proprietari è la stessa che deterrà il potere giuridico, un sistema iniquo che ha come unico scopo l'autoconservazione dell'autorità e la reiterazione della disuguaglianza. Rousseau afferma che c'è accordo tra i pensatori sul fatto che gli uomini, per natura, sono tutti uguali. C'è tuttavia un forte disaccordo su cosa siano le leggi di natura, perché spesso queste vengono definite sulla base di principi astratti e metafisici, estranei all'uomo nella sua naturalità. Nell'uomo naturale, difatti, secondo Rousseau agiscono due principi che precedono la ragione: il principio dell'autoconservazione e l'incapacità di veder soffrire i propri simili. La socievolezza è esclusa dalle caratteristiche dell'uomo naturale. Secondo Rousseau il principale errore compiuto da chi ha riflettuto sull'uomo nello stato di natura è stato proprio quello di proiettare su quello caratteristiche proprie dell'uomo nello stato civile, quali ad esempio la socievolezza, la ragione o l'aggressività verso i suoi simili. In realtà, per Rousseau, finché l'uomo non oppone resistenza alle sue due tendenze naturali non gli succederà mai di far del male a un suo simile.
Nel 1762 Rousseau pubblica il “Contratto sociale”, un'opera in cui si evidenzia da parte dell'autore una volontà di trasformazione della realtà sociale per arrivare alla creazione di una società libera e paritaria. Rousseau nell'opera affronta il problema dell'eterno dualismo dell'individuo che da una parte è e deve rimanere libero, e dall'altra deve relazionarsi con la società che implica delle regole e quindi delle rinunce. Per lo scrittore il valore della società dipende dalla salute dei singoli cittadini; una volta che gli uomini sottoscrivono il patto sociale differiscono alla sovranità tutta la loro volontà e libertà. La sovranità così costituita, essendo l'esercizio della volontà generale, non può essere alienata, né divisa, il dissenziente non è previsto. In ultima analisi l'uomo può ritenersi libero solo in quanto accetta e vive le esigenze razionali e profonde della società. Rousseau sostiene che una delle cause della perdita della libertà, sia proprio l'atto di delega del potere da parte del complesso di cittadini ad un gruppo di questi; una delega dannosa poiché la sovranità è del popolo, che è il solo legittimo titolare del potere. "L'uomo è nato libero e tuttavia è ovunque in catene", così esordisce il filosofo svizzero nel Contratto sociale. Sciogliere l'uomo dalle catene e restituirlo alla libertà è l'obiettivo del Contratto, che non prospetta il ritorno alla natura originaria, ma esige la costruzione di un modello sociale, non fondato sugli istinti e sugli impulsi passionali, come quello primitivo, né però sulla sola ragione isolata e contrapposta ai sentimenti o alla voce del mondo pre-razionale, ma sulla voce della coscienza complessiva dell’uomo, aperto alla comunità.
Sempre nel 1762 Rousseau pubblica l'Emilio, un testo pedagogico ma con chiari riferimenti sociali. Infatti, l'educazione dei giovani si configura, secondo il pensatore, come un atto attraverso cui si può plasmare l'umanità capace di vivere, anzi di convivere, secondo i dettami della giustizia e della ragione. E' doveroso ricordare che Rousseau svilupperà le attitudini pedagogiche anche per merito (o colpa) della propria educazione ricevuta, che definirà "formale". Dirà a proposito dell'educazione dei giovani e della sua vocazione di precettore: "Vivere è il mestiere che gli voglio insegnare; tutto quello che un uomo deve essere, egli saprà esserlo, all'occorrenza, al pari di chiunque: e per quanto la fortuna possa fargli cambiare condizione, egli si troverà sempre nella sua" (cfr. Emilio, libro 1°). Il percorso educativo deve essere graduale e deve altresì rispettare i vari stadi di sviluppo: il giovane non è un adulto in miniatura. Dirà a questo proposito: "La natura vuole che i fanciulli siano fanciulli prima di essere uomini. L'infanzia ha certi modi di vedere, di pensare, di sentire del tutto speciali; nulla è più sciocco che voler sostituire ad essi i nostri". In questa fase della loro esistenza (da 0 a 12 anni), i giovani devono essere lasciati liberi di muoversi, di confrontarsi con i propri simili nel gioco e nella conoscenza del proprio corpo; questa, secondo Rousseau è la fase della "educazione negativa" che non insegna né la verità, né tanto meno la virtù, bensì garantisce il vizio e l'errore. Secondo il filosofo i vizi e le deviazioni assunte prima dei dodici anni di età, non saranno mai sradicati e perciò un buon educatore ha il dovere morale di proteggere "Emilio" dagli stimoli negativi dell'ambiente e favorire con ciò lo svilupparsi naturale delle sue inclinazioni e attitudini.