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Afganistan: la guerra contro i non-combattenti. Massacri quotidiani

di U.F. - 03/07/2007

 


Dovendo riferire degli ennesimi eccidi sotto le bombe della Nato, nel sud dell'Afganistan, appare assai pertinente l'osservazione di Jacques Sémelin secondo cui nella contemporaneità il massacro è una forma d'azione, generalmente statale, di distruzione di non combattenti.
Questa tragica verità in Afganistan trova conferma quotidiana dall'ottobre 2002, ma talvolta - come in queste ultime settimane di giugno - gli effetti devastanti dei bombardamenti Usa e Nato sulla popolazione civile sono tali da diventare notizie, anche perché a denunciarli sono persino le autorità governative afgane e il presidente Hamid Karzai in persona, certo non sospettabile di antiamericanismo.
Fin dal gennaio 2002 il governo provvisorio di Kabul aveva ufficialmente richiesto ai "liberatori" di interrompere i bombardamenti e, a tutt'oggi, continuano a susseguirsi invano appelli, proteste, denunce da parte di un esecutivo sempre più screditato e impopolare quale è quello presieduto da Karzai, palesemente così debole e subalterno da non riuscire neppure a proteggere la vita dei propri cittadini dalle incursioni compiute dalla coalizione internazionale a guida Usa che doveva portare la democrazia.
Ancora una volta, il 23 giugno, le agenzie di stampa internazionali annunciano che il presidente Karzai ha condannato le "operazioni indiscriminate e imprecise" condotte dalle forze occupanti: "Come ho già affermato in passato, non sono per noi accettabili gli attacchi che provocano perdite tra i civili. Ciò non sarà più tollerato".
Per il governo afgano questo è ormai un problema con pesantissime ricadute per il consenso e la stabilità stessa del suo potere, tanto che Karzai ha paventato la possibilità di ulteriori rivolte popolari contro la presenza militare straniera. Dopo le segnalazioni di alcuni organismi dell'Onu, ben 94 organizzazioni non governative, afgane ed estere, hanno da parte loro testimoniato come "la simpatia di cui le truppe Nato godevano inizialmente tra la popolazione afgana è venuta meno a causa dell'eccessivo uso della forza da parte delle forze straniere: indiscriminati attacchi aerei e bombardamenti d'artiglieria condotti su aree popolate contro obiettivi non chiaramente definiti che, dall'inizio dell'anno, hanno ucciso almeno 230 civili afgani, di cui oltre 60 tra donne e bambini, e incursioni nelle abitazioni private condotte con deliberata violenza, senza il minimo rispetto per le donne e accompagnate da distruzione e furto di beni".
Di fronte all'ennesimo massacro, stavolta perpetrato da forze Isaf-Nato, anche il ministro italiano Parisi ha dovuto prendere posizione, affermando: "Noi siamo in Afganistan in risposta ad un appello delle Nazioni Unite per sostenere il nuovo Stato e cooperare con le sue legittime autorità contro l'attacco terrorista, non siamo lì per combattere contro il suo popolo". Ma l'inconsistenza di tale dichiarazione risulta evidente nel passaggio in cui sostiene che "le informazioni finora in nostro possesso ci dicevano che le perdite civili, che alcuni definiscono danni collaterali e che io considero invece come se fossero perdite nostre, facessero capo ad iniziative autonome della coalizione a guida Usa, non coordinate con quelle dell'Isaf". Appare infatti stupefacente che un ministro della Difesa non sia al corrente che in Afganistan da mesi anche la missione Isaf-Nato, forze italiane comprese, è sotto comando statunitense come se fosse un'estensione della missione Enduring Freedom.
La risposta a Karzai e a Parisi è giunta entro 24 ore: un missile sparato da un aereo e colpi di mortaio hanno fatto nuove vittime civili, stavolta pakistane, appena oltre il confine con l'Afganistan (tra gli obiettivi colpiti una casa, con almeno 10 morti e 14 feriti), seguiti dal rituale comunicato da parte di un portavoce della forza Isaf, tale John Thomas: "Ci rammarichiamo per la perdita di vite innocenti".
Se le inchieste dei militari ne accerteranno lo status di  "danni collaterali", gli Stati Uniti offriranno 2.000 dollari ad ogni famiglia colpita (in Iraq, non si sa perché, l'indennizzo previsto è di 2.500 dollari) quale pedaggio per ulteriori crimini contro l'umanità.
Torna quindi alla mente una lezione di etica impartita da Parisi solo pochi mesi fa quando rivendicò, nel nome del rifiuto della guerra, "l'uso della forza legittima contro la violenza ingiusta", da ritenersi però simmetricamente valida anche per le conseguenti scelte dei non combattenti .

Ultim'ora.
Il 25 giugno "Dawn" giornale pakistano di Islamabad riferisce che un uomo di 70 anni, Pichwar Khan, residente in un villaggio del Waziristan del sud, al confine tra Pakistan e Afganistan, si è suicidato dopo aver visto i corpi di 9 suoi famigliari, tra cui quattro bambini e tre donne, uccisi dai colpi di artiglieria e dai missili della Nato. Il venerdì precedente un raid dell'Alleanza Atlantica aveva provocato la morte di 33 civili.