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Annibale e Scipione. La guerra come equilibrio

di redazionale - 03/07/2007

L’ultimo libro di Giovanni Brizzi, Scipione e Annibale, la guerra per salvare Roma, ripercorre, a partire dagli avvenimenti relativi alla seconda guerra punica, la vicenda umana dei due maggiori protagonisti della vita politica dell’epoca: Scipione e Annibale, grandi condottieri e abili strateghi che, secondo l’autore, ebbero come scopo del loro operato la ricerca di un equilibrio tra le potenze che si affacciavano sul Mediterraneo. Un equilibrio certamente fragile e instabile, che avrebbe tuttavia consentito la sopravvivenza di ciascuna delle due potenze. Con la loro scomparsa la storia giunge a una svolta: la politica romana si indirizzerà verso un progetto imperiale e di conquista.

[...] Brizzi [...], supportato da una conoscenza approfondita delle fonti, si sforza di dare un’anima ai due protagonisti indiscussi della più grande guerra che la Roma repubblicana abbia mai combattuto.
Innanzi tutto va riconosciuta all’autore la rara capacità di mantenersi imparziale fra Scipione e Annibale, di mettere in luce le qualità di entrambi, di rivolgere loro uno sguardo equanimemente affettuoso. Questo dà al testo un tono solare, anche nella tragedia degli eventi che racconta.
La Seconda guerra punica, con l’occupazione più che decennale del Sud Italia da parte di Annibale, fu infatti una catastrofe senza precedenti. [...]
Brizzi mantiene i suoi personaggi nell’ambito dell’agire politico. Rifiuta gli stereotipi della crudeltà per dare appieno il senso progettuale all’azione di Annibale. Allo stesso modo ricostruisce per Scipione la figura di un politico teso a realizzare un progetto alto, la pacificazione di tutto il bacino del Mediterraneo.
Certo il confronto rimane impari. Da una parte sta un genio indiscusso che conduce una lotta senza speranze contro una potenza emergente dalle potenzialità enormi, sconosciute persino a chi ne disponeva. Dall’altra il rampollo di un’aristocrazia militare proiettata verso la creazione di un impero che si propose come ecumenico. Un vinto e un vincitore. La superiorità militare del primo non poteva riequilibrare il vantaggio che la macchina bellica romana possedeva. Forse il merito di Scipione fu di riuscire ad accorciare i tempi della guerra. Senza dubbio ebbe il coraggio di sbarcare in Africa e di affrontare il nemico sul suo terreno, anche se così facendo bruciava ogni residua speranza di accordo fra le oligarchie cartaginesi e quelle romane, trasformava la tradizionale politica di integrazione dei vinti, sino ad allora propria della Repubblica, in un imperialismo aggressivo che si sarebbe manifestato con violenza sempre maggiore ai danni dei popoli confinanti. Primi fra tutti gli Stati ellenistici, ma poi anche i galli e i germani.
Il merito principale del lavoro di Brizzi sta però nella sua capacità di raccontare la storia su di una molteplicità di piani.
I protagonisti hanno desideri, progetti ed emozioni, ma lo sfondo è disegnato con la meticolosità di una tavola rinascimentale. In Scipione e Annibale possiamo seguire l’evoluzione interna alla classe senatoria romana nel corso del conflitto, il cambiamento di equilibri fra le sue componenti e, nello stesso tempo, siamo informati su quello che succedeva a Cartagine e in tutte le altre capitali del mondo che allora si affacciava al Mediterraneo. Infatti, anche se marginalmente, molti Stati orientali parteciparono al conflitto e ad essi si rivolse Annibale dopo la sconfitta di Zama, nella speranza di un riscatto ormai impossibile.
Tredici anni appena dopo Zama le legioni romane inflissero una sconfitta decisiva ad Antioco III, il più potente sovrano ellenistico, a Magnesia, nell’attuale Turchia. Scipione non partecipò alla battaglia perché malato, ma diresse la spedizione, anche se forse non ne condivise del tutto il progetto espansionistico. Proprio dalla gestione della pace fatta con Antioco III dopo Magnesia nacquero per Scipione le difficoltà giudiziarie che alla fine portarono al suo ritiro dalla vita politica.
Brizzi conclude la sua narrazione con la morte, quasi contemporanea, dei due rivali. Ci lascia intendere che con la loro scomparsa si chiude una stagione della storia e se ne apre una nuova, se possibile più violenta di quella precedente. Annibale e Scipione avevano agito alla ricerca di un equilibrio delle potenze che si affacciavano sul Mediterraneo capace di rispettarne l’autonomia, dopo di loro la politica romana si indirizza invece verso un progetto imperiale, di conquista, e spesso di spoliazione. La distruzione terroristica di Cartagine ne fu il simbolo mentre la campagna di Gallia fatta da Cesare, poco più di un secolo dopo, ne rappresentò il culmine.

Giovanni Brizzi, Scipione e Annibale, la guerra per salvare Roma, Laterza, pp. 411, € 20.