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Ultime notizie dal mondo

di redazionale - 04/07/2007


a)            Palestina. Come si arriva alla crisi attuale (17, 22, 23) e lettura d’insieme della situazione (21, 27). Già circolano documenti scottanti presi negli uffici degli inquietanti, a dir poco, Abu Mazen (presidente ANP) e Dahlan (Intelligence). «Il più grande disastro di spionaggio nell’ultimo secolo» dicono preoccupati da Israele (15, 18). E quel che filtra si dice sia ancora niente. Intanto lo screditato (tra i palestinesi) Abu Mazen, su procura di Tel Aviv e di Washington, che lo riempiono di dollari (20), con decreti (17, 18, 28, 29) vìola anche la Costituzione palestinese e prefigura un’entità bantustan gradita a USA e Israele. Lavora per un più consistente bagno di sangue inter-palestinese, mentre si propone una legge elettorale (24) per eliminare Hamas che alle ultime elezioni ha avuto la maggioranza assoluta dei seggi. Da vedere: chi è Fayyad (15), messo a capo di un esecutivo illegittimo; il ruolo di Dahlan (18, 21); crisi di Fatah (17, 21) e clamorosa dichiarazione, con immediato dimissionamento, del consigliere-capo dello stesso Abbas (29); atteggiamento di Israele (17, 26); alcune reazioni negative di analisti egiziani sull’«azione preventiva» di Hamas (17); dichiarazioni di esponenti di Hamas (15, 16): l’atteggiamento USA (16).

b)            USA. Sembra incredibile ma al Pentagono progetta(va)no una «bomba gay» (20). Intanto dai documenti desecretati della CIA ulteriori chicche sul «modello democratico» di questo paese (26). Guantanamo e lo “stato di diritto” a stelle e strisce (24). L’Unione Europea s’inchina alle richieste, da parte di Washington, di schedature dei passeggeri in volo per gli States ed anzi già si parla, con inascoltate voci critiche, di imitarle (30). Dai principali teatri d’occupazione. Afghanistan: «bounty killer» con licenza di uccidere / torturare per conto di Washington (15, 18, 24, 30) e la guerriglia punta su Kabul (22). Iraq: gli USA armano tribù sunnite e generano polemiche (17); Negroponte, attentato alla moschea di Samarra e governo iracheno (17); chiude l’agenzia ONU su armi distruzione di massa senza aver trovato alcunché (18); preoccupazioni dell’ambasciatore USA a Baghdad (18); 9-10 anni ancora in Iraq (19).

c)            Catalogna: inaspettata vittoria alle municipali degli indipendentisti (15); Corsica: “cade” dal terzo piano di un ufficio dell’antiterrorismo un indipendentista còrso (15) e comunicato del FLNC-UC (28); Irlanda del Nord (21, 26, 29).

Sparse ma significative:

Italia / USA. Base USA “Dal Molin” al via. Lo annuncia ambasciatore USA. Parlamento italiano all’oscuro. Roba da banani-land (15).

 

  • Turchia / Iraq / Kurdistan. L’esercito turco spinge per un attacco contro i kurdi nell’Iraq del nord. Ma lo fa anche per altre ragioni (19, 29).

 

  • Venezuela. Seconda tappa della rivoluzione energetica (18), referendum revocatori (17), nascita del PSUV (23), petrolio (26) e un invito di Chávez alle forze armate del suo paese (25).

 

  • Russia. Scudo antimissile: la sbeffeggiata di Washington su un’uscita del Cremlino (15) e penetrazione energetica nei Balcani (25).

 

 

Tra l’altro:

 

Lettonia (16 giugno).

Serbia (26 giugno).

Sahara Occidentale (21, 27 giugno).

Etiopia (29 giugno).

Libano (16, 26 giugno).

Yemen (16 giugno).

Pakistan (23 giugno).

Cina / Iraq (23 giugno).

Canada (30 giugno).

USA / Cina (16 giugno).

Messico (17 giugno).

Brasile (15 giugno).

Colombia (23 giugno).

Bolivia (27 giugno).

 

 

  • Italia / USA. 15 giugno. È l'ambasciatore USA in Italia, Ronald Spogli, a comunicare, al posto del governo italiano, che gli USA hanno ricevuto «l'avallo scritto che autorizza il progetto per la base». «Ora inizia la parte attuativa» del progetto stesso, ha proseguito Spogli, chiarendo che Prodi ha ribadito il suo ok nell'incontro con George W. Bush a Roma, sabato scorso. Il governo Prodi non ha ritenuto di dover informare il parlamento del via libera ufficiale alla base.

 

  • Catalogna. 15 giugno. La sinistra indipendentista catalana fa un balzo in avanti con le CUP alle municipali dello scorso 27 maggio. Con le Candidature d'Unità Popolare (CUP), da 6 consiglieri ottenuti quattro anni fa, gli indipendentisti sono arrivati a 22, oltre ad altri 20 ottenuti presentandosi collegati con altre proposte elettorali di sinistra. Presentati candidati provenienti dai settori sindacale, ecologista, di difesa della cultura e della lingua catalana, libertario. Il successo è venuto dal lavoro delle organizzazioni che configurano la sinistra indipendentista catalana (Endavant, MDT e le organizzazioni giovanili Maulets i CAJEI). Le CUP si sono convertite nello spazio unitario della sinistra indipendentista nell’ambito della lotta elettorale municipale, come già lo sono anche le SEPC nell’ambito studentesco e l’organizzazione Alerta Solidària per le questioni anti-repressive. A livello nazionale, lo spazio d’incontro intorno al quale si sta strutturando tutto il movimento è la campagna «300 anni di occupazione, 300 anni di resistenza» (in ricordo della battaglia di Almansa del 1707, che vide la vittoria delle truppe borboniche e che ha dato l’inizio all’occupazione spagnola dei Paesi Catalani), che denuncia la divisione amministrativa dei Paesi Catalani e rivendica il diritto all’autodeterminazione. Secondo un’analisi dei flussi elettorali, la sinistra indipendentista avrebbe attratto voti di scontenti dell’ERC (la sinistra repubblicana catalana, indipendentista), dell’ICV (Iniciativa per Catalunya Verds) e di una parte significativa tradizionalmente astensionista. L’8 luglio è convocata l’Assemblea Generale delle CUP, per dotarsi da subito di una struttura che permetta una maggior coesione e agilità nel lavoro politico.

 

  • Corsica. 15 giugno. Un prigioniero còrso è grave dopo essere caduto da una finestra dell’Antiterrorismo. L’indipendentista Dominique Pasqualaggi è precipitato ieri da una finestra del terzo piano del palazzo dove ha sede la Sezione Antiterrorista della Polizia Giudiziaria francese a Parigi. Secondo la versione della polizia, Pasqualaggi, 34 anni, «si è lanciato da una finestra aperta» ed è stato trasferito con urgenza in un ospedale vicino. Pasqualaggi è accusato di aver partecipato, il 21 gennaio 2006, ad un attentato contro uffici del ministero dell’Economia a Aix-en-Provence ed era stato trasferito alle dipendenze della polizia per essere interrogato su un altro caso.

 

  • Palestina. 15 giugno. Hamas mette le mani su documenti scottanti. Dopo la caduta dell'edificio della Sicurezza preventiva, sede del palestinese filo-israeliano Mohammed Dahlan, luogo dove faceva torturare gli oppositori islamici e tagliare loro le barbe in segno di spregio, sarebbero state trovate le prove della collaborazione tra i servizi segreti guidati da Dahlan e la CIA. La notizia, a Gaza, non ha sorpreso nessuno. Si tratta, sostiene Hamas, di documenti segretissimi che svelerebbero uomini, reti e trame di molti servizi segreti occidentali a cominciare dalla CIA. Varie fonti sostengono che a Gaza è avvenuta la più grossa fuga di informazioni subita da israeliani, statunitensi e britannici in questi ultimi anni. I documenti conterrebbero gli elenchi nominativi di agenti, di informatori, di politici che avrebbero passato informazioni, di infiltrati nelle reti straniere di spionaggio e controspionaggio fino ai piani realizzati dagli 007 palestinesi sotto copertura in vari paesi del Medio Oriente, spesso in collaborazione (se non per conto) di agenzie internazionali come CIA statunitense, MI6 britannico e in parte l'FBS russo. Una parte dei documenti riguarderebbe delicate questioni interne alla politica palestinese, come la destinazione dei milioni di dollari giunti sotto forma di aiuti negli anni scorsi e poi dispersi in una fitta rete di corruzione.

 

  • Palestina. 15 giugno. Abu Mazen ha nominato, ieri sera, un nuovo primo ministro: è Salam Fayyad, 55 anni, ministro delle finanze nel governo di unità nazionale e ministro dell'economia nel governo di al Fatah del 2002. Un moderato che piace agli statunitensi: ha studiato economia in Texas, ex-funzionario della Banca Mondiale, è anche l'unico esponente del governo Hamas-Fatah ricevuto dall'amministrazione USA (il 18 aprile dal segretario di Stato Rice). Non ha molto credito tra i palestinesi. Alle ultime elezioni, molto partecipate, ha raccolto solo il 2% delle preferenze non solo a Gaza ma anche in Cisgiordania.

  • Palestina. 15 giugno. «Precipitosa» e «illegittima» la decisione di Abu Mazen di sciogliere il governo d'unità nazionale, annunciare costituzione di un governo d'emergenza e elezioni anticipate. Il primo ministro destituito da Mazen, Ismail Haniyeh, replica subito in conferenza stampa: («il governo in carica porterà avanti i suoi compiti») e propone la ripresa dei colloqui con Mazen («ribadisco che la porta è ancora aperta per ricostruire le relazioni palestinesi sulla base dei valori nazionali»). Haniyeh ha escluso l'intenzione di creare una Repubblica islamica («La Striscia di Gaza è una parte indissociabile della patria e i suoi abitanti costituiscono una parte indissociabile del popolo palestinese. Appartiene a tutto il popolo palestinese non solo ad Hamas»). Abu Mazen però non sembra dare ascolto a Haniyeh. Entrambe le parti accusano l'altra di aver effettuato un colpo di Stato (ma quale Stato?, ndr).

 

  • Iran. 15 giugno. Un attacco militare USA sarebbe «catastrofico e un atto di pura follia che non risolverebbe il problema». Così il responsabile dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica Mogammed, El Baradei, a Vienna. L'Iran –ha detto– è vicino alla produzione di uranio arricchito su larga scala e ha fatto appello alle autorità iraniane perché sospendano il loro programma nuclreare.

 

  • Afghanistan. 15 giugno. Karzai «perdona» ex militare USA delle forze speciali, «bounty killer» e torturatore. Il presidente afghano Karzai (ex dipendente della Halliburton del vicepresidente USA Cheney) ha scagionato Jack Idema, che in Afghanistan aveva impiantato un sistema di carceri private dove i prigionieri anti-governativi venivano torturati. Nella sua difesa Idema ha sostenuto che il lavoro suo e di altri «bounty killer» a caccia di taglie era conosciuto e approvato dai governi di Washington e Kabul.

 

  • Russia. 15 giugno. Washington respinge l’offerta russa sullo scudo antimissile. Il radar offerto da Mosca in Azerbaijan non è ritenuta un’alternativa a quello che il Pentagono intende installare nella Repubblica Ceca come parte del suo scudo antimissile in Europa. Dopo un Consiglio NATO-Russia, ieri il capo del Pentagono, Robert Gates, ha detto che il radar dell’Azerbaijan è «una capacità addizionale» a quello nella Repubblica Ceca. Dopo di che Gates ha espresso, beffardamente, il suo «apprezzamento» per l’offerta russa, che considera un «riconoscimento» dell’esistenza della «minaccia di un attacco con missili dal Medio Oriente».

 

  • Brasile. 15 giugno. Critiche a Lula sulla riforma agraria e per gli agro-combustibili. Ha chiuso oggi, a Brasilia, il V congresso del Mst (Movimiento dos Trabalhadores Sem Terra), il più numeroso (18mila i partecipanti) nei 23 anni di storia del movimento, con una marcia contro le multinazionali dell'agro-business. Oggi l'Mst è presente in 24 stati del paese e rappresenta più di 350mila famiglie occupanti. Uno dei nodi centrali del congresso è stata la critica agli accordi presi nel marzo scorso dal governo Lula con George Bush sulla produzione di agro-combustibili: accordi fortemente orientati al modello agricolo delle esportazioni e quindi della coltivazione intensiva, assai avverso ai piccoli produttori rurali. Una posizione, quella di Lula, che ha segnato un passo in più verso la rottura, finora sempre evitata, fra l'ex sindacalista e i Sem Terra che l'avevano portato alla vittoria nel 2002 e contribuito –pur con molte riserve– a quella del 2006. Lula ha inaugurato il secondo mandato cedendo alle seduzioni dei giganti dell'agro-business. Vanderlei Martini, uno dei dirigenti dell'Mst, ha reso noto che il gabinetto di governo aveva preso contatti con gli organizzatori del congresso affinché invitassero Lula a parteciparvi, ricevendo in risposta un secco rifiuto. Il Sem Terra è oggi un movimento di massa divenuto punto di riferimento di tutte le altre lotte contadine, non solo del continente. Fidel Castro, in una lettera al congresso, l'ha dipinto come una delle più organizzate roccaforti del mondo contro l'impero statunitense. Quest'ultimo congresso è stato inoltre marcato da una novità: l'alleanza inedita fra lotta per la terra e movimenti che si occupano di casa, salute e lavoro nelle aree urbane. Ossia la convergenza fra riforma agraria e più generale giustizia sociale.

 

  • Brasile. 15 giugno. Contro «gli atti genocidi promossi dagli Stati Uniti nel mondo». Ieri, gli oltre 17mila delegati al Congresso del Mst (Movimiento dos Trabalhadores Sem Terra), hanno manifestato davanti alla rappresentanza diplomatica USA: deposte venti bare di legno coperte da teli neri e con i nomi dei paesi aggrediti da Washington. Di fronte alla sede del Ministero degli Esteri i manifestanti hanno espresso la loro opposizione alla presenza di militari brasiliani al comando dei caschi blu ad Haiti.

 

  • Lettonia. 16 giugno. Riga «certamente d’accordo» se Washington decidesse di piazzare elementi del proprio sistema missilistico in Lettonia. Lo ha dichiarato il primo ministro lettone Aigars Kalvitis lo scorso 7 giugno.

 

  • Libano. 16 giugno. Prova di forza dell’«illegale e anticostituzionale» (parole di Lahoud) governo Siniora. Il ministro dell’Informazione, Ghazi Aridi, ha reso noto che l’esecutivo ha stabilito per il 5 agosto prossimo la data delle elezioni suppletive per i seggi parlamentari rimasti vacanti a causa dell’uccisione di Pierre Gemayel e Walid Eido. «Una volta emesso il decreto, verrà eseguito anche se il presidente della Repubblica si rifiutasse di approvarlo», ha minacciato Ghazi al-Aridi. Il presidente Emile Lahoud ha replicato con un comunicato che, in quanto garante della Costituzione, il governo «illegale» (secondo la Costituzione e gli accordi di Taif, un esecutivo libanese deve essere comprensivo di tutte le comunità; quella sciita, con le dimissioni, lo scorso novembre, di tutti i suoi sei ministri, non lo è più), per convocare elezioni suppletive, deve formare un «governo costituzionale», di unità nazionale, per approvare la misura. Se il governo Siniora persistesse nel voler evitare il ricorso alle urne per elezioni generali, questo voto parziale non potrà aver luogo in una cornice di costituzionalità. Ora il presidente della Repubblica deve ratificare o meno il decreto entro 15 giorni, come prevede l’iter. Aridi ha già fatto sapere che «la nostra decisione è di fare le elezioni (suppletive, ndr)». In questo caso c'è chi già ipotizza che il presidente possa nominare un nuovo governo, e così il paese potrebbe ritrovarsi con due esecutivi.

 

  • Palestina. 16 giugno. «C'è in carica un governo legittimo che raccoglie la fiducia del parlamento palestinese e la benedizione della grande maggioranza del nostro popolo». Lo ha dichiarato il portavoce di Hamas nella Striscia di Gaza, Ismail Redwan. Che ha aggiunto: «La decisione del presidente è un colpo di Stato contro la legittimità palestinese e una violazione della nostra legge». Secondo il portavoce di Hamas «da questo momento in poi la Striscia di Gaza è al sicuro dopo che è stato rimosso il pasticcio istituzionale che esisteva nelle fila della sicurezza, e quindi il popolo palestinese non aveva alcun bisogno di questo governo di emergenza». Ismail Redwan ha inoltre ribadito che «Hamas ha aperto e continua ad aprire le braccia a Fatah e a tutte le altre espressioni della resistenza palestinese», per governare insieme così come stabilito nell'accordo fra le principali fazioni.

 

  • Palestina. 16 giugno. Gli USA annunciano che revocheranno le sanzioni al nuovo governo di emergenza e Israele si accinge a fare lo stesso. Coloro che, incuranti delle conseguenze per i civili palestinesi, avevano bloccato il flusso di finanziamenti all'Autorità Nazionale Palestinese e che con le loro pressioni fortissime hanno contribuito allo scontro Fatah-Hamas, si preparano ora a coprire d'oro il governo d'emergenza proclamato dal presidente Abu Mazen. Il Quartetto per il Medio Oriente (USA, Russia, UE ed ONU) ieri ha riconosciuto la «legittimità» delle decisioni di Abu Mazen, il quale ha sciolto il governo di unità nazionale guidato dal premier di Hamas Ismail Haniyeh, per nominare un esecutivo di emergenza che avrà alla guida l'ex ministro delle finanze Salam Fayyad, un passato alla Banca Mondiale e molto gradito a Washington. «Ritengo che lavoreremo a fianco di questo governo», ha dichiarato con tono soddisfatto il console USA a Gerusalemme Jacob Walles.

 

  • Palestina. 16 giugno. Gli Stati Uniti hanno «la responsabilità essenziale» della crisi palestinese. Lo ha dichiarato Khaled Meshaal, il capo dell’Ufficio politico di Hamas, aggiungendo che «il popolo palestinese dagli americani non ha ricevuto altro che complotti, tormenti e afflizioni». Durante una conferenza stampa tenutasi ieri sera a Damasco prima della riunione della Lega araba, Khaled, definendo illegale la decisione di Abu Mazen di sciogliere il governo di unità nazionale e nominare Salam al Fayyad alla guida di un nuovo esecutivo, ha ribadito la volontà del suo movimento di lavorare insieme con al-Fatah.

 

  • Yemen. 16 giugno. Accordo di cessate il fuoco per i combattimenti nel nord dello Yemen. Il governo yemenita e i militanti sciiti hanno raggiunto un accordo, con la mediazione del Qatar: il governo, in cambio della consegna delle armi pesanti, rilascerà i militanti sciiti prigionieri, pagherà i costi per ricostruire i villaggi danneggiati, sosterrà le spese di risarcimento e aiuterà la popolazione deportata a rientrare nelle proprie case.

 

  • Iran. 16 giugno. Appello all’unità ai palestinesi. Teheran rivolge un appello ai palestinesi affinché restino uniti, rispettino i risultati delle elezioni del 2006 vinte da Hamas e «combattano il nemico sionista». L’appello è contenuto in una dichiaraione del portavoce del ministero degli Esteri, Mohammad Ali Hosseini. «La Repubblica islamica ha sempre dichiarato la sua contrarietà ai conflitti interni, che vanno contro gli obiettivi rivoluzionari dei palestinesi. Noi crediamo che i gruppi palestinesi debbano unirsi e combattere il nemico sionista per porre fine all’occupazione».

 

  • Iran / Cuba. 16 giugno. Ventinove memoranda per una cooperazione economica e commerciale sono stati siglati oggi a L’Avana, durante il dodicesimo incontro della Commissione Economica Congiunta Iran-Cuba. Lo comunica l’agenzia iraniana Irna.

 

  • Kirghizistan. 16 giugno. Mosca intende nei prossimi due anni incrementare il numero di truppe e di velivoli di combattimento nella propria base aerea in Kirghizistan. La base russa di Kant è distante circa 20 miglia da Bishkek ed impegna al momento 400 soldati e 20 aerei ed elicotteri da combattimento e da trasporto. Questi numeri dovrebbero salire a 500 truppe e 28 velivoli.

 

  • Corea del Nord. 16 giugno. La Corea del Nord ha invitato gli ispettori dell’ONU a Pyongyang per verificare l’avvenuta disattivazione della centrale atomica di Yongbyon. A dare l’annuncio è l’agenzia nordcoreana Kcna. Come contropartita, Kim Jong Il dovrebbe ricevere lo sblocco dei fondi congelati per iniziativa USA dal settembre 2005.

 

  • USA / Cina. 16 giugno. Nuovi controlli sull'esportazione di materiale di alta tecnologia acquistato dalla Cina, inclusi sistemi di comunicazione spaziale e aeromobili. Potrebbe essere usato dai militari cinesi. Lo ha deciso il dipartimento per il commercio statunitense. Le nuove disposizioni, in vigore dal 19 giugno, porteranno ad un programma di «clienti affidabili» che consentirà ad aziende cinesi approvate di importare materiale high-tech senza l'obbligo di ottenere una licenza specifica.

 

  • Palestina. 17 giugno. Da oggi esistono due amministrazioni palestinesi. Il nuovo governo di emergenza, che controlla la West Bank occupata, affidato da Abu Mazen a Salam al-Fayyad, ha prestato giuramento. Abu Mazen ha anche emesso un decreto dichiarando illegale la Forza di pronto intervento che a suo dire è un’organizzazione armata di Hamas e non del Ministero degli Interni palestinese. Il decreto specifica, senza citarle per nome, anche cosiddette altre milizie che vengono messe fuorilegge «a causa del colpo di Stato contro le legittime istituzioni palestinesi», che sarebbe stato compiuto nella striscia di Gaza. Il decreto rileva che coloro che fanno parte di questi gruppi «verranno puniti».

 

  • Palestina / Israele. 17 giugno. «Un partner per la pace». Così il primo ministro israeliano Ehud Olmert ha definito il nuovo governo nominato dal presidente palestinese. Nel frattempo il nuovo ministro della Guerra israeliano Ehud Barak, il cui insediamento è previsto per domani, starebbe preparando un’operazione militare a Gaza per le prossime settimane. Lo scrive il Sunday Times, che cita fonti militari del regime sionista, secondo cui verrebbero mobilitati non meno di 20mila uomini. Intanto, la compagnia energetica israeliana Dor Alon ha annunciato di aver bloccato le forniture di carburante a Gaza, in coordinamento con le Forze militari israeliane. Secondo quanto scrive il quotidiano Yediot Ahronot, se i rifornimenti non riprenderanno, nel giro di due o tre giorni tutte le pompe di benzina della Striscia resteranno senza carburante.

 

  • Palestina. 17 giugno. Lento ma progressivo il declino di al-Fatah. La costituzione del governo di Fayyad, subito sostenuto da USA, Israele e dalla vassalla Unione Europea, segna indubbiamente una vittoria per le fazioni (filo USA e filo Israele) di al-Fatah. Ma ad un’analisi a più ampio raggio, non si può non rilevare innanzitutto il fallimento, per le aspirazioni del popolo palestinese, della politica di al-Fatah che da Oslo in poi ha puntato a raggiungere per via negoziale un accordo con Israele sulla base dello slogan «due popoli, due Stati». Dopo quasi vent’anni, i sionisti hanno consolidato e rafforzato la loro occupazione, tra l’altro costruendo nuovi insediamenti coloniali nel cuore della Cisgiordania ed erigendo un colossale “Muro dell’Apartheid” con gli obiettivi di annettersi ulteriori terre e rinchiudere / accerchiare i villaggi palestinesi per farne dei veri e propri Bantustan o prigioni a cielo aperto che dir si voglia. Al-Fatah si è prestato a questo gioco. Notoria la corruzione ed il nepotismo nell’amministrazione del potere nei Bantustan cisgiordani, così come la collaborazione dei servizi di sicurezza di Abu Mazen –del famigerato Dahlan in primis– con quelli sionisti nella repressione delle componenti palestinesi più radicali.

 

  • Palestina. 17 giugno. La vittoria di Hamas nelle elezioni del gennaio 2006 è stata la logica conclusione della strategia di al-Fatah. In quell’occasione gli USA, con l’appoggio dell’Unione Europea, diedero l’avvio al blocco economico dei territori palestinesi, prendendo come pretesto il rifiuto da parte di Hamas di precondizioni per una trattativa che un alto funzionario dell’ONU, Alvaro de Soto, in un rapporto che avrebbe dovuto rimanere confidenziale, doveva poi definire «non ottenibili (unachievable)». Fin dal principio fu chiaro che il fine del boicottaggio era la creazione di una situazione talmente catastrofica da spingere i palestinesi a rivoltarsi contro quello stesso governo di Hamas da loro democraticamente eletto solo poco prima. Insomma, come argomentato dallo studioso statunitense Augustus Richard Norton, si trattava di realizzare un colpo di Stato «soft». In effetti, il blocco economico imposto dagli USA e il mancato versamento da parte di Israele dei proventi di una serie di imposte e di tariffe doganali, riscosse dallo Stato sionista secondo il dettato dell’accordo di Oslo, ma dovute all’ANP, hanno determinato una vera e propria catastrofe umanitaria nei territori occupati (largamente sottaciuta dai nostri media). Tuttavia, contrariamente agli auspici statunitensi, la rivolta popolare contro Hamas non c’è stata.

 

  • Palestina. 17 giugno. Arriviamo all’accordo della Mecca dell’8 febbraio, mediato dai Sauditi, che avrebbe dovuto stabilizzare la situazione nei territori occupati attraverso la creazione di un governo di unità nazionale tra Hamas e al-Fatah. Un accordo fallito a causa del blocco economico. La mediazione saudita, per portare a risultati concreti e permanenti, avrebbe dovuto comportare l’invio di cospicui aiuti economici alla popolazione dei territori occupati. Tali aiuti, in effetti, erano stati previsti –e in modo generoso– dai Sauditi. Il problema è che la continuazione del blocco economico dei territori occupati ne ha impedito l’afflusso: mentre la situazione sul terreno si faceva sempre più drammatica, i palestinesi hanno continuato a sprofondare nell’indigenza e perfino nella fame, nelle loro gabbie a cielo aperto a Gaza e nella Cisgiordania. La politica di affamare i palestinesi per determinare il crollo di popolarità di Hamas è stata fatta alla luce del sole. Questa, però, era solo una parte del piano di destabilizzazione messo in atto sotto la regìa di Washington. Il 30 aprile, il settimanale giordano Al-Majd ha pubblicato un servizio su un documento intitolato “Action Plan for the Palestinian Presidency”, piano finalizzato ad abbattere il governo di unità nazionale palestinese nato dalla mediazione saudita. Secondo il testo diffuso da Al-Majd, che ha riferito di avere ottenuto il documento da una fonte interna ai servizi segreti giordani, il deterioramento della situazione economica nei territori occupati avrebbe dovuto portare alla decisione del presidente dell’ANP, Mahmoud Abbas, di sciogliere il parlamento palestinese e di indire nuove elezioni. In considerazione però del fatto che Hamas continuava a disporre non solo della maggioranza parlamentare, ma anche dell’appoggio della maggioranza della popolazione, una decisione del genere –ingiustificabile dal punto di vista legale– non avrebbe avuto nessuna possibilità di ottenere l’accettazione di Hamas. Perché il progetto potesse realizzarsi era quindi necessario che il governo palestinese fosse rimosso con la forza delle armi, nel corso di un vero e proprio colpo di Stato. Una soluzione questa che, secondo altre fonti, era stata prevista e poi fortemente voluta da un alto esponente dell’Amministrazione Bush fin dal febbraio 2006, Elliott Abrams, già longa manus di Reagan in tutte le attività sovversive allora messe in atto dagli USA in Centro America ed oggi uno dei personaggi più potenti dell’Amministrazione Bush.

 

  • Palestina. 17 giugno. Rimesso in pista da George Bush all’inizio del suo secondo mandato, Abrams è stato promosso a “vice consigliere per la sicurezza nationale incaricato della strategia per la democrazia globale” (Deputy National Security Advisor for Global Democracy Strategy). Coerentemente con le proprie politiche, Bush ha poi incaricato il suo consigliere per la “democrazia globale” di destabilizzare la democrazia palestinese. Il ruolo di protagonista del colpo di stato ideato da Abrams era stato individuato nel presidente Abbas. Quest’ultimo avrebbe usato le milizie di al-Fatah, a lui fedeli, capeggiate dall’ex capo della sicurezza preventiva a Gaza, Mohammad Dahlan (che, attualmente, ricopre la carica di consigliere per la Sicurezza del presidente Abbas). Secondo Conflictsforum, il ruolo più importante nella preparazione del colpo di Stato avrebbe finito per essere affidato non tanto alla CIA (scettica sulla possibilità di riuscita del piano), quanto ad un gruppo di funzionari dell’antiterrorismo alle dipendenze del Dipartimento di Stato USA. Costoro, agendo attraverso i servizi segreti giordani ed egiziani, hanno promosso il riarmo delle milizie di al-Fatah e, addirittura, il loro addestramento in due basi a Gerico e a Ramallah. Nel frattempo, gli israeliani guardavano dall’altra parte: come ammesso da un portavoce della Difesa (Jerusalem Post del 7 giugno), «non forniamo fisicamente armi ai palestinesi. Permettiamo semplicemente che accada».

 

  • Palestina. 17 giugno. Il programma di destabilizzazione ha subìto una netta accelerazione subito dopo la conclusione, lo scorso febbraio, della mediazione saudita e la conseguente formazione del nuovo governo di unità nazionale. Secondo le nuove tabelle di marcia, la destituzione del governo palestinese avrebbe dovuto avvenire tanto presto da poter indire nuove elezioni per l’autunno di quest’anno. Parte integrante dell’accelerazione del piano è stato un parziale rilassamento del blocco economico, in modo da rendere possibile convogliare aiuti finanziari di una certa entità al presidente Abbas. Tali aiuti avevano il fine ufficiale di avviare una serie di progetti di ricostruzione e quello reale di permettere ad Abbas di finanziare i propri partigiani e di puntellare la propria traballante popolarità. Il piano Abrams aveva però una fatale pecca: la ormai scarsissima popolarità del presidente Abbas e del suo partito al-Fatah. In un articolo del 25 dicembre su Ha’aretz, Yuval Diskin, capo dello Shin Bet (il corpo dell’intelligence responsabile della sicurezza in Israele e nei territori occupati), in una dichiarazione di fronte al governo israeliano, aveva messo in luce come, mentre Hamas manteneva il suo seguito popolare, al-Fatah si stesse disgregando. Secondo Diskin, in caso di nuove elezioni nell’Autorità Palestinese, «le probabilità di Fatah di vincere (…) sarebbero state prossime allo zero». Il piano, però, è andato avanti lo stesso, anche se, forse, non nei modi previsti da Abrams: Hamas, infatti, capita l’antifona, invece di impantanarsi in un conflitto alla lunga logorante, trovatasi in una posizione di forza ha scelto l’attacco alle brigate di Dahlan.

 

  • Palestina. 17 giugno. Sconfitte le milizie di Dahlam, Hamas ha preso il controllo della Striscia di Gaza. A questo punto Abu Mazen ha dimissionato il governo di unità nazionale parlando di “colpo di Stato”. E con gli israeliani che pressoché quotidianamente uccidono, bombardano, arrestano, demoliscono e sradicano case e coltivazioni in Palestina nell’assoluta impunità, cosa fa Abu Mazen? Lancia un velato quanto immotivato ammonimento a Siria ed Iran a non interferire nella situazione interna. Incredibile! Non c’è da stupirsi allora del sostegno offerto da Bush e da Olmert ad Abu Mazen nella formazione di un nuovo governo. Le decisioni di Abu Mazen violano apertamente la Costituzione palestinese in quanto egli, pur formalmente potendo dimissionare un governo, non può insediarne un altro con atto d’imperio, ovvero senza l’approvazione del Consiglio Legislativo Palestinese (il Parlamento dell’Autorità Nazionale Palestinese, dove Hamas ha la maggioranza assoluta). La Costituzione, inoltre, non dà al Presidente, nemmeno ove dichiarasse lo stato di emergenza, di sospendere gli articoli che riguardano l’autorità del Consiglio Legislativo Palestinese né ha l’autorità di dissolverne o interromperne i lavori durante il periodo di emergenza (articolo 113). In poche parole se golpe c’è stato, questo è quello orchestrato per procura da Abu Mazen.

 

  • Palestina. 17 giugno. Analisti e commentatori egiziani non hanno dubbi: prendendo militarmente il controllo della Striscia di Gaza, Hamas ha firmato il suo atto di morte. «Hamas si è messo in prigione da solo e ha consegnato le chiavi al nemico», dice Emad Gad, principale esperto egiziano di affari israeliani. «Chiuso dentro a 360 chilometri quadrati, Hamas si troverà a gestire un milione e mezzo di persone alle quali Israele può togliere tutto, acqua, elettricità, cibo. Quanto potrà durare? Cinque o sei settimane al massimo», dice Gad. E già oggi la compagnia petrolifera israeliana Dor Alon ha annunciato che taglierà i rifornimenti alle stazioni di servizio della Striscia. Per il momento rifornirà soltanto le centrali elettriche. «Sono caduti come stupidi nella trappola di Mohammed Dahlan (responsabile della sicurezza di Fatah, ndr) che mette in atto un'agenda scritta da Stati Uniti e Israele», aggiunge Gad, «Il nuovo premier israeliano otterrà subito l'aiuto di USA e Israele e, in conclusione, la Cisgiordania sarà il paradiso e Gaza sprofonderà ancor più nell'inferno». Nemmeno l'Egitto muoverà un dito per aiutare Hamas, che ha già abbandonato, riconoscendo immediatamente il governo scelto da Abu Mazen insediatosi oggi a Ramallah: «Il Cairo non ha alcun interesse ad aiutare Hamas», commenta ancora Gad, «perché la fine di Gaza sarà di esempio a chi sostiene i Fratelli musulmani», la principale forza d'opposizione egiziana legata a Hamas. Occupando Gaza, scrive Makram Mohammed Ahmed sul quotidiano governativo egiziano al Ahram, «Hamas ha sepolto per un tempo indeterminato la causa palestinese... ha offerto su un piatto d'argento a Israele la separazione tra Cisgiordania e Gaza». Il piano era evidente, commenta sullo stesso giornale Salama Ahmad Salama, «ora che Gaza è sotto controllo (del movimento islamico, ndr), comincia la seconda fase, isolare Hamas e dare tutto il potere a Ramallah a Mahmud Abbas... creando due entità separate non ci sarà più bisogno di nessun negoziato». L'ANP sarà riconosciuta governo legittimo e Hamas un potere ribelle «che protegge a Gaza terroristi e sostenitori di al Qaeda».

 

  • Palestina. 17 giugno. A Gaza è iniziata la caccia alle ultime scorte di benzina dopo che la società israeliana Dor Alon ha annunciato di aver congelato da oggi tutti i rifornimenti di gas e benzina, fatta eccezione per quelli destinati alle centrali elettriche. Molte fabbriche e laboratori, a iniziare da quelli per la produzione del pane, riescono ad avere energia solo attraverso i generatori. Dai generatori dipendono anche gli ospedali, nei quali molte ambulanze sono ferme per mancanza di carburante.

 

  • Iraq. 17 giugno. Al-Maliki critica la pratica USA di armare le tribù sunnite contro al-Qaeda. Il primo ministro iracheno Nouri al-Maliki ha criticato apertamente la nuova pratica seguita dalle forze di occupazione USA di armare delle tribù sunnite nella speranza di vederle arruolate nella battaglia contro al-Qaeda. Al-Malki, citato dalla Reuters, ha detto al settimanale Newsweek «Vogliamo armare alcune tribù che intendono stare al nostro fianco, ma a condizione di conoscerle molto bene e sicuri che non siano collegate con il terrorismo». Al-Malki ha poi aggiunto che «alcuni ufficiali USA sul campo hanno sbagliato per mancanza di conoscenze riguardo la gente con cui hanno a che fare. Credo che le forze della coalizione non conoscano la storia delle tribù locali. Hanno commesso degli errori e questo è pericoloso, perché contribuirà a creare nuove milizie».

 

  • Iraq. 17 giugno. Negroponte sapeva di Samarra. Una fonte citata dall’iraniana Press Tv ha affermato che ci sono indicazioni secondo cui il vice segretario di Stato USA John Negroponte fosse al corrente già il 12 giugno scorso, durante la sua inattesa visita a Baghdad, dell’imminente attentato al santuario sciita di Samarra, avvenuto l’indomani. Durante i suoi colloqui a Baghdad, Negroponte avrebbe insistito con diversi alti rappresentanti iracheni affinché rassegnassero le dimissioni, tra loro il vice presidente Adel Abdul Mahdi, per procedere poi con un cambio di governo. Negroponte avrebbe fatto promesse ai suoi interlocutori di importanti incarichi nel prossimo esecutivo. L’attentato sarebbe stato portato a termine da ex appartenenti ai servizi di sicurezza del deposto regime di Saddam Hussein, con cui gli Stati Uniti ora collaborerebbero attivamente.

 

  • Messico. 17 giugno. La Corte suprema messicana ammette per la prima volta che la repressione della rivolta del 2006 ha violato i diritti umani. Il principale responsabile, il governatore Ulisese Ruiz del Pri (Partito rivoluzionario istituzionale), è però sempre al suo posto. Il giudice della Corte suprema di giustizia messicana, Juan N. Silvia Meza, ha pubblicamente sostenuto che «le autorità federali, statali e municipali dello stato di Oaxaca hanno gravamente violato le garanzie individuali nel periodo compreso tra il 2 giugno e il 31 gennaio scorso». Restano le tante persone scomparse dopo la brutale repressione da parte di tutte e tre le forze di sicurezza (federale, statale e municipale), in particolare, il 25 novembre del 2006. Quel giorno furono fermate più di 350 persone, tra cui bambini ed anziani; moltissimi furono incarcerati e 63 colpiti a morte. Altre, in quella stessa circostanza, sono state fatte sparire.

  • Venezuela. 17 giugno. Si raccolgono firme per attivare i referendum revocatori contro 167 autorità. L’operazione è iniziata ieri presso il Consiglio Nazionale Elettorale. Condizione minima è l’ottenimento della firma del 20% degli elettori. Nella circostanza la richiesta di revoca è stata mossa contro 9 dei 23 governatori del paese, 109 sindaci e 49 legislatori nazionali. È la seconda volta che si realizza un processo di questo tipo, essendo il primo stato celebrato contro il presidente Hugo Chávez, che, sottoposto a referendum revocatorio nell’agosto 2004, ne è uscito trionfatore con oltre il 60%.

 


  • Palestina. 18 giugno. Promulgati ieri due decreti da parte di Abu Mazen. Il primo è più grave e gravido di conseguenze del secondo. Il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese ha stabilito così, a suo arbitrio, che la disposizione che obbligava il governo palestinese a ricevere l’approvazione del Parlamento è derogata. Il potere legislativo è in mano ad Hamas che, nel gennaio 2006, ha vinto le elezioni ed ha la maggioranza assoluta. Per legittimare il suo (e di USA e Israele) governo, Abu Mazen –con un colpo di spugna degno degli anni più bui delle dittature latinoamericane– ha rimosso il problema per decreto. Con un secondo decreto presidenziale, Abbas ha illegalizzato la Forza Esecutiva e le milizie di Hamas. Il decreto specifica, minacciosamente, che «chiunque sia coinvolto in questi gruppi, sarà punito, in accordo con la legge e gli ordini derivati dallo stato di emergenza». Il primo ministro dell’esecutivo di unità nazionale, Ismail Haniyeh, ha insistito da Gaza che il suo governo continua ad essere il legittimo governo palestinese. «Il Consiglio dei Ministri considera senza base giuridica gli atti compiuti dal presidente, Mahmud Abbas. Il governo di unità palestinese proseguirà nell’adempimento dei suoi obblighi in accordo con la legge», ha dichiarato.

 

  • Palestina. 18 giugno. Su Dahlan e la sua gang (Rashid Abu Shubak, Maher al Maqdah e altri), al-Fatah si spacca. Alcune figure di spicco del partito di Abu Mazen, nella Striscia di Gaza, hanno chiesto di mettere sotto processo sia Muhammad Dahlan, uomo forte di Fatah e del presidente Abu Mazen, nonché uomo più volte apprezzato da Israele e USA, sia altri dirigenti corrotti che si sono arricchiti con fondi palestinesi e usato il potere in modo spregiudicato. Tra le accuse, anche quella di aver abbandonato i loro agenti a Gaza, mettendosi al sicuro in Cisgiordania. Abu Mazen, impossibilitato a difendere Dahlan, lo ha rimosso dalla vice presidenza del Consiglio nazionale per la sicurezza. Dacché Dahlan ha assunto quell'incarico, il suo intento è stato creare caos e minare la presenza di Hamas nel governo di unità nazionale. Le conseguenze sono davanti agli occhi di tutti.

 

  • Palestina. 18 giugno. Un gruppo di Fatah, ieri, ha chiesto di perseguire penalmente tutti i personaggi-chiave del movimento responsabili della caduta di Fatah nella Striscia di Gaza. Per Dahlan ha chiesto la «massima pena possibile». Tra i dirigenti che hanno richiesto un'epurazione e una condanna per i colleghi di partito c'è anche l'ex segretario di Fatah nella Striscia, Husam 'Udwan. Durante una conferenza stampa, 'Udwan ha chiesto a un leader di Fatah, Ahmad Hillis, di unirsi al gruppo e di formare un comitato di emergenza per «proteggere il movimento». L'ex segretario ha avvertito i colleghi che la stessa «corrente golpista» di Fatah che ha portato alla sconfitta nella Striscia, potrebbe diffondersi anche in Cisgiordania. E ha chiesto le dimissioni dei membri di questa ala «prima che sia troppo tardi». Alla conferenza stampa hanno partecipato leader delle Brigate al-Aqsa (Ala' Tafish, Abu Alwalid al-Ja'bari e il segretario di Fatah nella regione centrale di Gaza, Yousif Issa). Tutti hanno ribadito che la «resistenza contro l'occupazione è l'unico principio palestinese immutabile». Intanto Hamas ha rilanciato il suo appello ad Abbas, «presidente legittimo» ed ai settori «non corrotti» di al-Fatah per cercare un’uscita negoziata alla crisi. Dahlan a Ramallah ha allestito una «sala operativa» per studiare come «recuperare Gaza» assieme ai suoi uomini.

 

  • Palestina. 18 giugno. Dahlan aveva pianificato di «liquidare Hamas nella Striscia di Gaza e di eseguire un massacro su vasta scala». Lo ha dichiarato Yahya Mousa, vice-capo del blocco di Hamas nel Consiglio Legislativo palestinese, a Palestine-info. «Il gruppo di Muhammed Dahlan, in collaborazione con gli Stati Uniti, Israele e il capo dell'ANP, Mahmoud Abbas, stava pianificando una campagna sanguinosa contro Hamas nella Striscia di Gaza, e l'uccisione di centinaia di leader e attivisti». Mousa ha riferito che Dahlan stava orchestrando di trasformare Gaza in una gigantesca fossa comune per Hamas e i suoi sostenitori. Tutto ciò, al servizio della guerra contro l'Islam di Israele e del presidente Bush. «Gli 'sradicatori' avevano pianificato di decapitare Hamas. Questo è ciò che ha costretto Hamas a agire».

 

  • Israele / Palestina. 18 giugno. «Il più grande disastro di spionaggio nell’ultimo secolo. Mai successa una cosa simile nella storia dei servizi di intelligence internazionale, compresa la caduta del nazismo a seguito della seconda guerra mondiale, e la caduta del comunismo in Germania dell’est negli anni Novanta». Così, da fonti dell’intelligence israeliana, si commenta la caduta dei servizi di sicurezza palestinesi a Gaza in mano al movimento di Hamas. «Questi documenti riveleranno a Hamas e fra poco all’Iran e alla Siria i piani del Mossad, dello Shabak e Aman, delle agenzie di intelligence dei paesi europei, comprese le liste dei collaborazionisti e i nomi di personalità israeliane che hanno lavorato con i palestinesi in diverse azioni in cambio di soldi». Le fonti dell’intelligence israeliana hanno aggiunto che i documenti abbandonati dal regime di Saddam Hussein in Iraq nel 2003 sono considerati «gioco da ragazzi» al confronto di quelli delle forze di intelligence appartenenti al presidente Mahmud Abbas e al suo braccio destro, Mohammad Dahlan. E hanno sottolineato che si sta parlando di «una bomba ad orologeria» reale presente nella sede “delle forze preventive” a Taal al-Hawa e nella sede dell’intelligence palestinese che si trova vicino al porto di Gaza. Materiale che sarà utilizzato da Hamas, Siria, Iran e Hezbollah. «Hamas ha preso il controllo di documenti che riguardano operazioni segrete di organizzazioni di intelligence occidentali eseguite in Medioriente, oltre alle informazioni sui contatti tra i palestinesi e organi di intelligence dal tempo del presidente Yasser Arafat». Le fonti sopraindicate aggiungono che Hamas è in possesso di apparecchiature di ascolto e di osservazione fornite da Washington all’Autorità Nazionale Palestinese. «Siria e Iran saranno disposti, per avere queste informazioni, a pagare grandi somme per capire cosa è successo e quello che sta succedendo. Questo tesoro investigativo sarà una grande mina per tutti i poteri politici in Occidente e per i loro organi di intelligence». Giovedì, fonti occidentali hanno contattato dirigenti israeliani e espresso meraviglia perché questi ultimi non hanno reagito a quanto stava accadendo a Gaza. Si sono chiesti perché l’aviazione non abbia bombardato l'area e le sedi di intelligence palestinese. Queste fonti hanno precisato che non ci sono state risposte da parte israeliana.

 

  • Iraq. 18 giugno. Chiude l’agenzia ONU incaricata di cercare le armi di distruzione di massa in possesso di Saddam Hussein. Dopo otto anni di lavoro e una guerra dalle conseguenze ancora non quantificabili, non si è trovato alcunché. La decisione è frutto di un accordo raggiunto all'ONU tra Stati Uniti e Russia. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adotterà pertanto, per fine mese, una risoluzione per la chiusura della U.N. Monitoring, Inspection and Verification Commission, creata nel 1999 proprio per cercare le armi biologiche e chimiche presuntivamente in possesso di Saddam. La stessa risoluzione porrà fine anche al lavoro degli uomini dell'ONU a caccia delle armi atomiche irachene. Il possesso da parte dell'Iraq di Saddam delle presunte armi di distruzioni di massa era stata la giustificazione formale per l'invasione ordinata da Bush nel 2003. Feisal al-Istrabadi, vice-ambasciatore iracheno alle Nazioni Unite, usa parole amare: «Il nostro paese sta ancora pagando le conseguenze di essere stato trattato come uno stato canaglia».

 

  • Iraq / USA. 18 giugno. L’ambasciatore USA a Baghdad ha ammesso la gravità della situazione attuale in Iraq. Ryan Crocker ha affermato stamani che le circostanze sono gravi e che ci sono tanti problemi irrisolti in questo paese. Intanto il Washington Post ieri in un editoriale, citando gli esperti del Consiglio delle Relazioni Estere, ha definito fallimentare la politica adottata dalla Casa Bianca in Iraq.

 

  • Afghanistan. 18 giugno. La guerra preventiva continua a seminare morti innocenti. Stavolta è toccato a sette bambini. Almeno sette bambini afghani sono stati uccisi dalle bombe della coalizione multinazionale guidata dagli USA. Lo hanno annunciato fonti della coalizione stessa, mentre monta la rabbia per le vittime civili provocate dalle operazioni militari. La violenza è divampata negli ultimi mesi in Afghanistan dopo la pausa invernale, con le truppe straniere impegnate in un’offensiva contro le roccaforti dei guerriglieri talebani e a subire i contrattacchi di questi ultimi. Negli ultimi mesi sono stati più di 120 i civili uccisi dalle truppe straniere in Afghanistan, secondo le stime del governo afgano. Morti che hanno provocato proteste con richieste di dimissioni del presidente Hamid Karzai ed il ritiro delle truppe USA, nerbo dei 50mila militari stranieri impegnati nel Paese.

 

  • Venezuela. 18 giugno. Sostituire quasi 27 milioni di lampadine inefficienti con altre a basso consumo energetico, nei settori commerciale, industriale e ufficiale. Riguarderà i 13 stati dal maggior potenziale industriale. È l’inizio di una nuova fase della Rivoluzione Energetica annunciata dal presidente del Venezuela, Hugo Chávez, durante l’inaugurazione dell’impianto a ciclo combinato della termoelettrica Trermozulia, nell’ovest del paese. Lo riferisce il quotidiano cubano Granma. La prima fase ha visto la sostituzione di 53,2 milioni di lampadine incandescenti nelle abitazioni venezuelane. È da mesi che non si producono interruzioni nell’erogazione dell’elettricità in stati come Nueva Esparta, Amazonas e Delta Amacuro, dove queste erano frequenti ed il miglioramento del servizio ha beneficiato molte abitazioni. L’impiego di Termozulia, che riduce al minimo le emissioni nell’atmosfera, è un’altra delle iniziative della Rivoluzione Energetica, che comprende inoltre la sostituzione del petrolio con gas naturale nella generazione elettrica, la sostituzione di impianti d’aria condizionata con altri dal minor consumo e l’impiego di fonti rinnovabili.

 

  • Turchia / Iraq / Kurdistan. 19 giugno. Dirigente del PKK avverte la Turchia di non invadere il Kurdistan Sud. Cemil Bayik, figura di spicco del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), ha messo in guardia l’esercito turco dall’intervenire militarmente nel Kurdistan Sud perché si esporrebbe «a un disastro politico e militare». Così dice Bayik al quotidiano britannico The Guardian, dal suo rifugio sulle montagne kurde, aggiungendo che non solo troveranno un’accanita resistenza della guerriglia kurda, ma che «l’esercito turco finirà in un pantano» con un possibile intervento dell’Iran. Per il dirigente del PKK, «i generali turchi giocano ad un gioco molto pericoloso» nel loro tentativo di sloggiare dal potere, ad Ankara, gli islamisti di Recep Tayyip Erdogan, destabilizzare il Kurdistan Sud ed impedire che si celebri un referendum a Kirkuk per decidere se sarà parte o meno dell’ente autonomo kurdo. «Il PKK è solo l’ultima delle sue [dell’esercito turco, ndr] preoccupazioni», ha aggiunto.

 

  • Iraq / USA. 19 giugno. Washington prevede di mantenere le sue truppe in Iraq «per almeno altri 9-10 anni». A dichiararlo, ieri, alla televisione Fox News, è stato il comandante delle forze statunitensi nel paese arabo occupato, il generale David Petraeus. Richiesto, quindi, se pensa che gli obiettivi degli Stati Uniti siano raggiungibili per settembre, come da accordi tra il Congresso e l’amministrazione Bush, quando cioè sarà presentata una valutazione della situazione, Petraeus ha risposto che non lo crede possibile.

 

  • Gran Bretagna / Afghanistan. 20 giugno. «Rimarremo ancora per decenni». L'ambasciatore di Londra a Kabul, Sherard Cowper-Coles, che ha assunto l'incarico un mese e mezzo fa, ha dichiarato oggi che il suo paese intende mantenere una significativa presenza in Afghanistan per diversi decenni. «Il compito di tenere in piedi un governo dell'Afghanistan che sia sostenibile prenderà molto, moto tempo», ha detto Cowper-Coles alla radio della BBC. «È una maratona, non una gara di velocità. Dovremmo pensare in termini di decenni». L'ambasciatore ha fatto appello al futuro primo ministro Gordon Brown perché non si faccia condizionare dai timori di Tony Blair per possibili rivolte anti-occidentali, in particolare contro la Gran Bretagna. Londra ha stanziato 7700 truppe nel paese, in gran parte nel sud, nella provincia di Helmand, dove incontrano la dura resistenza dei combattenti taliban. Negli ultimi mesi le richieste di ritiro da parte della popolazione afghana sono sempre più pressanti soprattutto per i sempre più frequenti massacri di civili sotto i bombardamenti USA-NATO. Su questo l'ambasciatore ha detto: «Sono stati commessi errori, ma la verità è che il popolo afgano ci vuole qui».

 

  • Palestina. 20 giugno. In Cisgiordania arriveranno aiuti finanziari per un miliardo di dollari, prontamente promessi da USA, UE e Israele al governo «moderato» di Salam Fayyad. In serata, con l'ennesimo decreto presidenziale, il medico Zakaria al-Agha, uno dei dirigenti storici di Al-Fatah, sarà nominato responsabile del partito a Gaza. Un compito non facile per l'anziano esponente palestinese, tra i protagonisti della Conferenza di pace di Madrid del 1991, chiamato a placare le laceranti polemiche esplose nel partito per la sconfitta umiliante patita, nonostante gli attivisti di Fatah e gli agenti dei servizi di sicurezza fossero più numerosi e meglio armati di quelli di Hamas. «Non volevo morire per quelli (i dirigenti di Fatah, ndr) che ci hanno abbandonato. Ho deposto le armi ai primi attacchi. Dahlan e i suoi amici si dividevano milioni di dollari mentre noi militari guadagnavamo 300 dollari al mese», è la lamentela diffusa tra gli agenti del servizio di sicurezza preventiva legato a Fatah. Ieri sera i media locali riferivano che il leader più popolare di Fatah, Marwan Barghuti, in carcere in Israele, ha chiesto che Dahlan e i suoi collaboratori vengano allontanati immediatamente d