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Il libro della settimana: Geminello Preterossi ( cura di), Potere

di Carlo Gambescia - 07/07/2007

Il libro della settimana: Geminello Preterossi ( cura di), Potere, Editori Laterza 2007, pp. 198, Euro 18,00

Qual è il vero potere? Quello che c’è ma non si vede. Come quando, in occasione di una guerra, milioni di uomini, si combattono, fino ad uccidersi, solo per eseguire un ordine, nella cui legittimità credono fermamente. Certo, l’autentico potere, come capacità di farsi ubbidire, ha bisogno anche di simboli esterni, come corone o bandiere, che rafforzino la volontà di credere negli uomini. Ma il potere ha anche necessità di “teorie” e “storie” su di esso, in grado di spiegare, ammonire, spaventare, convincere e affascinare. E infine, ha bisogno di uomini, preposti alla sua conservazione (guardie, guerrieri, giudici) dal momento che non tutti credono nella bontà dei suoi necessari principi di legittimità, o “genii invisibili”, come li definiva Guglielmo Ferrero.
Ora, per lunghi secoli si è ritenuto che il potere, oltre a essere oggetto di conflitti per la sua conquista, e dunque anche di violenze, fosse però basato su un fondamentale principio di conservazione sociale: in virtù del quale, colui che deteneva il potere, lo esercitava per il bene comune, e non per il male della collettività. Insomma, si dava per scontata la buona fede dei capi. E di riflesso le possibili contraddizioni tra teoria e pratica, venivano vissute come un temporaneo allontanamento dalla norma: una provvisoria patologia
Con i moderni il cambiamento è stato totale: l’eccezione è stata considerata regola. Si è cominciato a dubitare in misura crescente della buona fede dei capi. E qui basti fare i nomi di Marx, Nietzsche, Freud (la cosiddetta “scuola del sospetto”). O per venire alla seconda metà del Novecento, della Scuola di Francoforte, nelle sue varie propaggini. Tutti pensatori pronti a liquidare come fisiologico il cattivo comportamento dei detentori del poteri. O comunque, come spiegabile, in termini di retropensiero negativo, anche nel caso di comportamenti apparentemente cristallini.
Oggi, fatta qualche rarissima eccezione, la scienza e la storia del pensiero politico, partono da una presunzione di colpevolezza. Ad esempio, tra storici e politologi è senso comune diffuso, che gli uomini che vanno a farsi uccidere in guerra, ieri come oggi, vengano sempre ingannati da falsi “genii invisibili”, al servizio del militarismo e dell’imperialismo di capi avidi e spietati. E così via per ogni manifestazione di patriottismo, di religiosità, eccetera.
Queste nostre riflessioni sono scaturite dalla lettura di un’antologia in argomento curata dal Geminello Preterossi (Potere, Editori Laterza 2007, pp. 198, euro 18,00), docente di Diritti dell’Uomo e Filosofia del diritto, nella Facoltà di Giurisprudenza di Salerno, nonché membro del comitato di direzione di “Filosofia politica”, una tra più autorevoli riviste italiane in materia, sulla quale torneremo più avanti.
L’antologia raccoglie testi di Platone, Aristotele, Cicerone, Paolo di Tarso, Agostino, Hobbes, Locke, Machiavelli, Spinoza, Kant, Rousseau, Hegel, Mosca, Weber, Nietzsche, Freud, Benjamin, Canetti, Lenin, Schmitt, Kelsen, Habermas, Arendt e Foucault. Come si vede, mancano pensatori del calibro di Tocqueville, Ferrero, Aron: realisti politici, ma di scuola liberale, abituati a trattare la politica per ciò che è, e il politico non per un santo ma neppure per un demonio. Ma, del resto non poteva non andare così, perché Preterossi prevale una visione che man mano, che ci si allontana da Platone per arrivare a moderni, raggiunge, via Freud, Nietzsche, Canetti e Foucault, il massimo del potenziale demistificatorio: il potere, per l’autore, assume il carattere di una malattia demoniaca. Un male pervasivo e distruttivo, che assale, uomini e cose, e che non salva nessuno in basso come in alto. Preterossi, va ben oltre gli standard del realismo politico liberale: la sua è una specie di visione epidemiologica della politica, che vede il male del potere, annidato ovunque. E che sfocia nell’ ennesima richiesta di far nascere una “teoria critica del potere che indaghi le forme attuali dell’egemonia”. Che demistifichi. Ma per andare dove? A questa domanda, Preterossi, che vede nel potere solo un fatto patologico non può rispondere. Perché, evidentemente, non crede nei buoni “genii invisibili”.
Come non risponde una rivista come “Filosofia politica”, edita dalla casa editrice il Mulino e fondata da Nicola Matteucci, oggi scomparso. Che proprio quest’anno festeggia i suoi venti anni. E che ha creato intorno a sé, un gruppo di lavoro con un preciso programma di ricerca “demistificatorio”. Composto di studiosi come Preterossi, Carlo Galli, Giuseppe Duso, Roberto Esposito, Bruno Accarino, Furio Ferraresi, Simona Forti, Pier Paolo Portinaro, Sandro Mezzadra,e altri ancora. I quali pubblicano, collane, manuali, e opere enciclopediche, con case editrici del calibro del Mulino e di Laterza.
Ora, non è lecito chiedere a una rivista accademica di filosofia politica, per giunta in progress, riposte esaustive, o persino programmi politici coerenti e spedibili. Sarebbe fuori luogo. Tuttavia nel suo ultimo editoriale (“Filosofia politica”, 1/2007), Carlo Galli, professore di storia delle dottrine politiche a Bologna, sottolinea per un verso l’importanza di studiare il “passato, per reintepretarlo oltre che nei suoi concetti anche nei suoi autori significativi”. Il che va benissimo. Mentre ci sembra meno convincente, la sua insistenza su uno studio concreto del “ presente” come tentativo di “abbozzarne una costruzione critico-teorica, orientata a demistificare le forme della sua ideologica autocomprensione”. Espressioni, che tradotte, rinviano all’ennesima versione accademica delle teorie della “scuola del sospetto”. Segnata, nel caso di “Filosofia Politica”, e almeno dagli ultimi tempi della direzione Matteucci, dalla conseguente assenza, di una qualsiasi idea regolativa, diversa da quella di una volontà di potenza, puramente, “demistificatoria”
Il pericolo, infatti, non è solo quello di demistificare, ma di demistificare senza disporre di una “soluzione di ricambio”. Matteucci, da buon liberale, aveva le sue idiosincrasie. Ma anche un suo modello di società. Semplificando, di tipo tocquevilliano-hayekiano. Ci sfugge, invece, quale sia quello di Preterossi e Galli.