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USA: repubblicani o democratici? Vince il Pentagono

di Paolo De Gregorio - 07/07/2007



Le verità, anche le più evidenti ed elementari, sono una merce così rara in giro, che quando se ne sente una diventa una notizia.
Il ministro della Difesa australiano ha dichiarato che i 1.600 soldati australiani in Iraq ci sono per difendere l’accesso del mondo occidentale alle fonti petrolifere e non per il timore delle “armi di distruzione di massa” in mano a Saddam.
Fa effetto sentire un anglofono dire il vero, e non ci chiediamo perché l’abbia fatto o quale crisi esistenziale o di coscienza sia intervenuta. A volte fa bene togliersi dei pesi e smetterla di mentire.
Invece, spudoratamente, Barak Obama nella sua campagna per la “nomination” democratica alle prossime presidenziali USA mentre promette che quando sarà lui alla Casa Bianca “cambierà la sostanza della politica estera” e sempre testualmente afferma: “Via dall’Iraq, entro la fine del prossimo anno, ma senza tentazioni isolazioniste. Una parte delle nostre truppe va trasferita in Afghanistan dove c’è molto da fare. E bisogna essere sempre pronti a intervenire nelle aree non governate del mondo, santuari ideali per i terroristi che minacciano l’America e il mondo”.
La vera sostanza è che questa tesi la condividono tutti i repubblicani e i falchi del Pentagono, che cercano una via d’uscita dall’Iraq per andare subito in Afghanistan dove sono in gioco due partite vitali per il futuro di tutta quella area geopolitica.
Un puntellamento del regime fantoccio di Karzai e quindi un controllo del territorio afgano con le truppe spostate dall’Iraq impedirebbe per anni il progetto di portare il petrolio e il gas dal Medio Oriente, con oleodotti e gasdotti, alla Cina, che confina con l’Afghanistan.
L’economia cinese è affamata di risorse energetiche e avrebbe un immenso vantaggio a vedersi approvvigionata via terra, visto che i rifornimenti attuali via mare possono essere fermati in qualunque momento nello stretto di Malacca, controllato dalla 3° e dalla 7° flotta americana con 200 tra navi e sottomarini. Un “incidente” in quella zona può fermare tutta l’economia cinese.
L’altra partita, che si gioca con il controllo dell’Afghanistan, è quella del confinante Pakistan, che con i suoi 150 milioni di abitanti (95% di religione musulmana) e con la disponibilità di armi atomiche, resta l’unico amico degli USA in quell’ area, con un regime militare molto vicino a cadere per essere sostituito con un regime islamico, alleato dei talebani afgani.
Una forza militare Usa di grandi proporzioni in Afghanistan potrebbe ritardare anche questo processo di islamizzazione del Pakistan, che, quando si realizzerà, significherà nel medio termine la fine dell’egemonia e della ingerenza occidentale in quell’area nevralgica.
Obama, e anche la Clinton, nella politica estera, che è la parte più importante della politica Usa, sono per la totale CONTINUITA’ con quella repubblicana e del Pentagono. Anche perché sanno che negli Usa c’è la consolidata tradizione di far fuori chiunque tocchi il complesso militare-industriale e il suo ruolo colonialista nel mondo.
Ma non sperate che la stampa libera ci parli di queste cose, vinceranno i “buoni”contro il “cattivo Bush”, cambieranno le facce e i partiti, ma la sostanza della politica Usa non cambierà.
Solo una grande crisi economica dovuta alle enormi spese militari, al grande indebitamento verso l’estero, e un deprezzamento ulteriore del dollaro possono fare il miracolo di far tornare gli americani a casa loro. Per restarci.