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Il secolo dell'amore? Nel medioevo

di Nadia Fusini - 07/07/2007

La Fondazione Valla ripropone i classici medievali

Ci sono trattati rivolti ai monaci
il linguaggio si infiora di accese metafore
Tutti ricordano le figure di Tristano e Isotta o i versi di Maria di Francia
Fu un´epoca di grande rinnovamento spirituale e culturale con esperienze molto diverse

Forse bisognerebbe sempre mettere nel suo proprio contesto una lettura. O addirittura, forse il libro dovrebbe scegliere i suoi lettori tra coloro che su un certo tema sono i più avvertiti. D´altra parte, se fossero il contesto storico o concettuale o dottrinario a dirigere il traffico, rimarrebbero assai spopolati i sentieri che portano a certi libri; anzi, certi sentieri di lettura si richiuderebbero come quelli del bosco, che se non mantenuti dal passaggio di camminatori e cacciatori, semplicemente scompaiono.
In una memorabile impresa di ormai vent´anni fa, Robert Alter e Frank Kermode - l´uno biblista, l´altro critico letterario, fornirono una literary guide to the Bible, una «guida letteraria» al libro dei libri, alla Bibbia. L´idea era che a un libro si può arrivare, come a una radura, ognuno per il proprio sentiero interrotto, e nella radura ognuno può sostare a piacimento apprezzandone in modo personale le qualità - profumi, sapori, atmosfere.
Nel caso specifico, era sotto gli occhi di tutti che da secoli la Bibbia non raccoglieva i suoi lettori alla medesima condivisa meditazione. Altrettanto evidente che nelle sue forme moderne, quella stessa tradizione negava alla Bibbia l´importanza che essa aveva avuto nel passato. E tuttavia, nella nostra cultura, che nelle sue espressioni più alte ripudia ogni forma di fondamentalismo e considera anacronistica ogni interpretazione autorizzata e ritiene pericolosa e antiquata ogni accettazione acritica dell´autorità, c´è forse chi mai vorrà smettere di leggere la Bibbia? Ripudiare l´eredità biblica? Claro que no.
La verità è che - i più innocenti di noi senza saperlo, i più colti in piena consapevolezza - con la lingua e con l´immaginazione biblica convivono da secoli. Nei paesi anglosassoni più che in quelli mediterranei. Ma anche da noi è inimmaginabile espungere dalla nostra tradizione letteraria e di pensiero i grandi testi dell´Antico e Nuovo Testamento.
Tanto per fare un esempio: come faremmo a comprendere il discorso amoroso se non avessimo letto il Cantico dei Cantici?
Con relativi commenti? E le lettere di Paolo? O, se per questo, i Trattati d´amore cristiani del XII secolo, appena editi per la Fondazione Valla (pagg. 317, euro 279) per la cura di Federico Zambon, che di quelle letture sono farciti?
«Sotto il segno dell´amore si presenta quel rinnovamento spirituale e culturale» che avviene in Europa nel secolo XII, afferma Zambon, commentando in questo primo volume con impareggiabile eloquenza e sapienza La contemplazione di Dio e Natura e Dignità dell´amore di Guglielmo di Saint-Thierry; e L´Amore di Dio di Bernardo di Clairvaux.
Il secolo dell´amore, dunque. Già, ma quale amore? Conoscevamo quel tipo speciale di amore, la fin´amor, che all´alba del medesimo secolo nasce nelle corti occitane: un amore tra dame e cavalieri, che vagheggia un piacere sempre differito, vuoi perché la dama si nega, vuoi perché l´amante ama di lontano.
Sì che non v´è che godimento del fantasma. Conoscevamo le variazioni dei temi trobadorici quando si espandono nel nord della Francia e in altri paesi europei. Avevamo letto la storia di Tristano e Isotta, perla tra le perle del grande mito medievale dell´amore-passione; e i romanzi di Thomas e Béroul, di Chrétien de Troyes, i Lais di Maria di Francia e la poesia latina dei goliardi - godereccia, sensuale. E avevamo studiato la sintesi teorica che verso la fine del secolo tenterà Andrea Cappellano nel suo trattato De Amore, ispirandosi ai grandi modelli ovidiani dell´Ars Amatoria e dei Remedia amoris. E sapevamo che proprio all´interno di questo quadro sviluppa una riflessione monastica sull´amore; ma quanto ricco e profondo fosse l´intreccio e quanto grande il valore del contributo cristiano è Zambon a insegnarcelo, sottolineando con finezza le sfumature, le somiglianze e le particolarità e varianti tra le diverse esperienze.
Sono trattati rivolti ai monaci. Uomini che per aver fatto una scelta di castità non rinunciano ipso facto all´amore, al suo discorso. Anzi, questi monaci, quasi fossero dei piccoli Schreber, intessono una relazione erotica intensissima con Dio, del quale si fingono figli, spose, amanti, in una girandola strabiliante di immagini e metafore e figure che stravolgono la misera evidenza del corpo, segnato dalla miseria sessuale. A ribadire una legge che regola l´amore cortese; e cioè, che l´assenza evoca il desiderio, e il godimento dell´altro va messo sotto il segno della rinuncia, per essere vero amore.
(Ma un incontro con l´altro che mantenga il segno-meno, il segno-senza e conservi la traccia del nostro esilio qui, su questa terra, nel nostro proprio corpo, non sarà proprio questo il dramma dell´amore per chi secoli più avanti cercherà di analizzarlo dal punto di vista psichico? scientifico? mentale?) Questi trattati, ripeto, si rivolgono a uomini che hanno volontariamente scelto il celibato, eunuchi di Dio, asceti volontari, che si propongono come militi e martiri che custodiranno per i loro fratelli laici o addirittura atei la relazione amorosa con un Dio che ama tutte le sue creature, dalle quali non esige altro che una risposta d´amore. E se la risposta fosse naturale (e cioè, in accordo con la volontà divina) come altrimenti dovrebbe rispondere la creatura al dono d´amore del Padre suo, del suo Creatore? Se non riamandolo?
Il linguaggio s´infiora di accese metafore, fiammeggianti ossimori che dissolvono le comuni percezioni ed evidenze dei sensi e dei sessi, perché chi cerca l´amore di Dio accetta la femminilità come una condizione generosa, ricca, la sola che lega gli amanti nell´amore. Uno strano piacere è evocato, dalle tonalità intime, affettive. E si fantasticano modi di godimento, in cui l´amore passi all´atto senza degradarsi e il corpo si coniughi alla mente e la mente goda senza il corpo e provi piacere in purezza.
(Ora non v´è dubbio che qualora si sia convinti dell´esistenza di Dio, convenga amare più Lui di qualsiasi altro. Lo riconoscerà secoli dopo senza mezzi termini quella straordinaria mistica che fu Emily Dickinson. La quale confessa anche che ci vuole molto coraggio a sopportare la relazione - in sé e per sé intollerabile - con l´Essere Supremo, che a volte le appare come un grande ladro che le ruba l´esistenza. Epperò, ci sono altri amanti - preferiscono chiamarsi philoi - i quali scelgono Lui e ciò facendo si pongono hors-sexe, al di là, o al di qua del sesso. E perché sia vero, si convincono che bisogna che l´amor trapassi in caritatem, che si rivolga non a un uomo, o a una donna, ma a Dio. Di questo gregge, quali eccelsi pedagoghi nella schola caritatis Gregorio e Bernardo guidano l´ascesa).
Anche chi non creda che l´ascetismo medievale sia rifiuto del mondo, né celebrazione del dualismo materia-spirito, rimarrà colpito dal titanico sforzo di sublimazione messo in atto in questi trattati. Rispetto all´economia del piacere si tratta di cambiare oggetto e meta, di mirare non più alla scarica immediata della tensione, ma di rinviare la soddisfazione, di fatto sospendendo l´intero processo all´incertezza. Tutta una dinamica psichica si rinnova, o addirittura si inventa in questi trattati, da cui discenderanno non solo un diverso uso della sessualità, ma nuovi soggetti umani.
Misoginia? Repressione degli istinti? Non è questa la chiave di lettura che suggerisce Zambon; si perderebbe la complessità dell´orizzonte spirituale e filosofico dello sforzo "correttivo": disciplinare l´immaginazione dell´ardente giovane monaco in ordine alle fantasie erotiche non è l´equivalente di reprimere. Lo sanno anche i sassi che c´è differenza tra disciplina e repressione.
D´altra parte, non v´è dubbio che al monaco, e per estensione all´uomo e alla donna cristiani, si impone la mortificazione della carne. Ne rende testimonianza la storia d´amore più chiacchierata del secolo, quella tra Abelardo e Eloisa, dove una donna si dimostra degna di Dio rinunciando alla sua vita sessuale, e un uomo sacrificando il proprio organo.
Ora è chiaro che il diniego dell´umano può essere interpretato come la massima affermazione, l´essenza stessa dell´umano. V´è chi afferma che in ciò consiste il punto di vista cristiano.
V´è chi suggerisce che se Cristo si fa corpo è per nobilitare l´anima.
E torna alla mente l´osservazione di quel sapientissimo filosofo della vita quotidiana, che fu Michel de Montaigne, quando tra sé e sé commenta: «che animale mostruoso quello che ha orrore di se stesso, quello al quale pesano i propri piaceri!». Appunto.
E tuttavia, chi si dichiari contrario a ogni mortificazione della carne, e si disponga ad amare l´altro con la "a" minuscola, se sarà sincero dovrà riconoscere che non è affatto detto che gli basti. Così la domanda resta: perché l´altro - l´altro uomo, l´altra donna - non sono abbastanza per noi?
A mo´ di risposta, rileggete quell´inquietante Terza Meditazione di Cartesio, dove il filosofo confessa che c´è soltanto una ragione per non dubitare dell´esistenza di Dio: l´altro uguale a me non mi basta a non sentirmi solo.