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Trafficanti di morte: armi israeliane. Golpe in vista?

di Siro Asinelli - 07/07/2007


Le autorità spagnole stanno cercando di fare chiarezza sul carico di armi sequestrate su un mercantile approdato mercoledì scorso nel porto di Algeciras e presumibilmente proveniente da Haifa, Israele.
Nel corso di un normale controllo ai container trasportati dalla nave ‘Detroit’ - battente bandiera tedesca ed in forza alla flotta mercantile del colosso danese dei trasporti Maersk - le autorità di sicurezza dello scalo andaluso hanno trovato 400 pistole di vario calibro, 300 fucili e 385 mitragliatori. Nel container era stata regolarmente denunciata la presenza di un carico di 500 pistole ad aria compressa, come confermato dall’incaricato del governo regionale dell’Andalusia, Juan José López Garzón, che ha sottolineato “nel corso della scansione di controllo per determinare il contenuto delle casse è stata notata la presenza di utensili estranei ad armi ad aria compressa, come per esempio calci di fucili, e ciò ha fatto insospettire gli agenti della Guardia Civil”.
Secondo quanto riferito dagli inquirenti spagnoli i container erano destinati al porto di Managua, in Nicaragua, passando per uno scalo non specificato negli Stati Uniti. La stessa circostanza è stata confermata dalla Maersk España, società concessionaria per la casa madre danese del terminal di Algeciras ove approda regolarmente la Detroit: “I container come questo che da qui sarebbe dovuto arrivare a Managua facendo prima scalo negli Stati Uniti – si legge in un comunicato emesso dalla filiale spagnola – devono essere sottoposti a scansione in base ad un accordo che le autorità portuali spagnole e gli Usa hanno sottoscritto in seguito all’11 settembre 2001”. Il controllo era quindi inevitabile e il primo dubbio che sorge è come sia stato possibile per i trafficanti pensare di potere eludere la sorveglianza spagnola nel primo porto per traffico di container del Mediterraneo. Il sistema di scansione utilizzato, lo Scanner CSI (Container Security Investigation), è tra i più sofisticati e moderni. È possibile che chi ha inviato il carico non ne fosse a conoscenza? Anche se dall’Ufficio Analisi e Investigazioni della Guardia Civil (Odafi) mantengono uno stretto riserbo sulle indagini, è possibile anche ipotizzare che il carico sequestrato abbia avuto funzione di depistaggio. Uno specchietto per allodole strumentale al passaggio illegale di carichi di ben altra portata. Ogni pista resta comunque percorribile e i funzionari Odafi sono ora concentrati sulle 1085 armi sequestrate: secondo indiscrezioni trapelate da Algeciras, infatti, alcune di esse sarebbero state in passato segnalate come rubate.
Nel frattempo la ‘Detroit’ ha avuto il semaforo verde per ripartire alla volta di Gioia Tauro, scalo fisso della rotta normalmente seguita dal mercantile. Anche su questo punto gli inquirenti hanno molto da lavorare. La nave, così come gli altri mezzi di tutta la flotta Maersk, segue una rotta abituale che la porta dallo scalo indiano di Jawaharlal Nehru, Mumbai, ad Algeciras appunto, passando per i porti di Jebel Ali in Dubai, Salalah in Oman, Jeddah in Arabia Saudita, Suez e Port Said in Egitto e Gioia Tauro in Calabria. Se in primo momento, come riportato dalla maggior parte delle agenzie internazionali che il 4 luglio avevano battuto la notizia del sequestro, le autorità spagnole avevano indicato uno scalo ad Haifa, in Israele, a distanza di poche ore appare chiaro che tale deviazione dalla rotta abituale non è avvenuta. Per le leggi di navigazione internazionali, le compagnie marittime sono infatti tenute a fornire anticipatamente dettagliati rapporti sulle rotte che ogni singola nave dovrà seguire. I mercantili, inoltre, sono sottoposti a controlli di rotta ancor più serrati per evidenti ragioni di sicurezza. Nei tabulati forniti dalle autorità portuali di Haifa non c’è traccia del passaggio in Israele della ‘Detroit’; ma anche andando alla fonte, ovvero alle schede fornite direttamente dalla Maersk – pubbliche e regolarmente aggiornate ogni sei ore – è chiaro che il mercantile nel suo viaggio siglato 712 non ha effettuato alcuna deviazione verso Haifa. Dove è stato caricato, quindi, il container? Il ministero della Difesa israeliano, in una brevissima nota, ha fatto sapere di stare investigando “in tutte le direzioni, incluso che il carico non provenga da Israele”. Tel Aviv è l’unica a sollevare il dubbio che il carico non provenga dal suo porto principale, così come invece evidente dalle bolle di trasporto del container. Gli israeliani sembrano alla fine più preoccupati che non ci si accorga dell’ennesima falla nel sistema di sicurezza che regola l’esportazione di armamenti. In Israele se ne occupa l’agenzia Sibat, diretta emanazione della Difesa, la cui autorità è stata in più occasioni aggirata dai trafficanti di armi. Il Paese ebraico è peraltro il quarto esportatore di armamenti al mondo: un’industria fiorente che ha trovato sbocco in particolare nelle tante guerre civili innescate dagli interessi statunitensi in America Latina. Ammettere la fuoriuscita illegale di armamenti dal Paese è come ammettere una breccia in uno dei sistemi di sicurezza più efficienti del mondo. Non solo: ammettere che il carico sequestrato ad Algeciras proviene da Haifa, equivale anche a dover poi difendersi dall’accusa di favorire questo tipo di traffici.
La storia è vecchia e si ripete con frequenza, come dimostrano i tanti documenti che di volta in volta vengono desecretati, con difficoltà, negli Stati Uniti – grazie alla legge per la libertà di informazione - e che riguardano strani intrecci tra CIA, gruppi di contro guerriglia latinoamericani, milizie legate ai cartelli del narcotraffico e regimi di turno. Tanti dei trafficanti oggetto di inchieste dell’Interpol e delle procure di mezzo mondo sono di nazionalità israeliana, ma questo non basta a giustificare accuse contro le autorità di Israele. Eppure, tante verità sono uscite e continuano ad uscire, seppure nell’indifferenza strumentale dei media embedded. Le Autodefensas Unidas de Colombia, ad esempio, sono state armate ed addestrate da Israele grazie alla complicità della Casa Bianca. È un fatto, come un fatto è che i carichi di armi e munizioni che tra gli anni ’70 ed ’80 erano in mano alle milizie filo Usa che combattevano la guerra sporca contro i sandinisti in Nicaragua arrivavano direttamente dalle fabbriche israeliane, via Honduras e Guatemala. Se è difficile poter portare lo Stato israeliano sul banco degli imputati, è indubbio che il suo sistema di sicurezza abbia più volte mostrato di avere le maglie larghe, sospettosamente larghe.
Nel frattempo sia la polizia che l’esercito di Managua hanno confermato che il container non fa parte di alcuna commessa ufficiale, ovvero le armi non erano destinate a loro. Il portavoce della Policía Nacional, Alonso Sevilla, ha dichiarato che quantunque le autorità del Nicaragua non abbiano ancora ricevuto alcuna segnalazione ufficiale dalla Spagna, l’inchiesta sarà avviata subito anche nel Paese latinoamericano. Stessa posizione è stata assunta dal colonnello Adolfo Zepeda, portavoce dei militari: “Non abbiamo alcun accordo commerciale con gli israeliani per la compravendita di armamenti”.
A Managua le autorità di sicurezza sono preoccupate e guardano con attenzione all’evolversi delle inchieste d’oltre oceano. Nel 2002, la Policía Nacional fu vittima di un illecito compiuto da due trafficanti israeliani, Ori Zeller e Simon Yelinek: in cambio di un centinaio di mitragliatori Uzi e 465 pistole ‘Jerico’ di fabbricazione israeliana, la polizia nicaraguense diede il semaforo verde al passaggio attraverso il porto di Managua ad un carico di 3mila kalashnikov AK-47 e 2,5 milioni di proiettili.. Alla polizia nicaraguense erano stati mostrati documenti falsi che prevedevano la vendita all’esercito di Panama, ma in realtà i due trafficanti vendettero il armi e munizioni alle AUC colombiane.