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Un mondo sommerso dal monsone

di Paola Desai - 07/07/2007

 

 

È arrivata tardi forse, ma non per questo meno violenta: la stagione delle piogge monsoniche nel subcontinente indiano ha portato tempeste, alluvioni e frane, seminando disastri dal Bangladesh fino al Pakistan occidentale: dalla regione del delta del Gange e del Brahmaputra, solcata di fiumi e canali e per sua natura acquosa, fino al Baluchistan semidesertico e perfino all'arido Afghanistan. Il monsone più disastroso degli ultimi 25 anni, dicono. Due settimane fa un uragano ha investito Karachi, la metropoli pakistana affacciata sul mare Arabico, e ha lasciato circa 230 morti: molte delle vittime sono state fulminate dalle scariche elettriche dei pali della luce crollati in strade trasformate in torrenti, ovviamente delle zone più povere e sovraffollate della città. L'uragano si è poi spostato verso ovest, e le scene di allagamenti e crolli si sono ripetute: altre 240 vittime, secondo gli ultimi bilanci, senza contare quelli che si ritrovano senza più una casa o quelli che hanno dovuto temporaneamente allontanarsi dalle zone costiere: due milioni di persone sono disastrate nel solo Baluchistan, che non è neppure tra le province più popolose del Pakistan. Naturale variabilità dei fenomeni meteorologici? Sì, certo, anche se ormai sappiamo che la frequenza e l'imprevedibilità di certi fenomeni aumenta in conseguenza dei cambiamenti globali del clima. Poi però c'è la parte «umana» del disastro: a cominciare dalla capacità dei soccorsi. La settimana scorsa nella cittadina pakistana di Turbat, in Baluchistan, è finita in scontri e rivolte: 50 mila case sono crollate, la popolazione dorme lungo le strade o nelle scuole rimaste in piedi, mancano acqua potabile e luce, e venerdì la polizia ha usato i lacrimogeni per tenere a bada una folla inferocita che accusava il governo di aver sottovalutato il disastro. Poi si è mobilitato l'esercito. Ieri la Bbc riferiva che oltre 15 mila soldati sono impegnati nei soccorsi in Baluchistan e nel Sindh (la provincia con Karachi), i beni di prima necessità sono arrivati ma la vera difficoltà è organizzare una distribuzione efficiente, e poi ripristinare la distribuzione di acqua ed elettricità, e sgomberare strade e macerie.
Anche in Gujarat, in India occidentale (uno stato che confina con il Pakistan), le piogge sono arrivate questa settimana con violenza insolita, lasciando 14 morti e diffuse alluvioni. Inondazioni anche nel Maharastra, lo stato che ha Mumbai (Bombay) come capitale: qui si parla di una quarantina di vittime. La stessa Mumbai sta facendo i conti con strade rasformate in torrenti, zone sommerse. Qualche giorno fa i binari delle ferrovie urbane erano allagati, l'intero sistema di trasporti bloccato; bloccati i collegamenti aerei e le strade. L'acqua poi ha cominciato a recedere ma il monsone non è ancora finito, ci saranno ancora piogge.
Cronache di routine, per certi versi: piogge, disagi, allagamenti accompagnano spesso il monsone - in fondo, questa volta è solo più pesante del solito. E però, gli allagamenti di Mumbai o di Karachi rivelano anche quanto siano fragili e cadenti le infrastrutture urbane di città che si vogliono moderne e dinamiche: canali di scolo ostruiti di detriti e rifiuti, pali della luce che non reggono i venti di tempesta, ponti pronti a franare alla prima alluvione.
Quanto alle zone rurali, nel subcontinente indiano di solito buone piogge significano abbondanza, coltivazioni ricche, invasi e falde acquifere riempite e pronte a rifornire acquedotti e sistemi di irrigazione. Ora però in Baluchistan e Sindh le autorità dicono che il 90% dei raccolti, delle mandrie di bestiane e delle case di alcuni distretti rurali sono distrutti. Lo stesso vale per il Gujarat, ma è presto per i bilanci: anche qui però si parla di raccolti persi e il governo ha cominciato a parlare di risarcimenti. Inoltre molti sottolineano che il disastro non è interamente «naturale»: è moltiplicato dalla cattiva gestione dei terreni, il sovrasfruttamento che li lascia esposti all'erosione. È il lato umano del disastro naturale.