Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / L'oro blu della Patagonia

L'oro blu della Patagonia

di Franco Filippini - 09/07/2007

Il fiume di una delle regioni più belle del Cile sarà presto sfruttato per un grande progetto idroelettrico. Che darà energia alla capitale e alle industrie del Nord. E promette la costruzione di strade e scuole in una regione povera ma bellissima. Che rifiuta di essere distrutta per sempre

Solo nei disegni dei bambini i fiumi sono così blu. Nei disegni dei bambini e nell'Aisen, regione del Cile meridionale. Qui c'è un fiume le cui acque sono addirittura abbaglianti tanto sono blu: il rio Baker. Nasce già grande il Baker portandosi via l'acqua più scura del lago Bertrand del quale è l'emissario e anche quella dell'immenso lago General Carrera che la clorite pittura di indaco. Poi, prima di sfociare nel Pacifico, scorre per 175 solitari chilometri tra boschi di faggi e montagne perennemente coperte di neve. Su questo fiume oggi incombe un destino idroelettrico.

L'Aisen è una delle regioni più ricche di acqua dolce del mondo. Quest'acqua però è per l'85 per cento in mani private. Per la precisione è di proprietà della società elettrica Endesa, che si è accaparrata fiumi e laghi approfittando delle leggi varate durante gli anni della dittatura del generale Pinochet. Endesa, nata in Cile nel 1943, privatizzata nel '90, passata successivamente agli spagnoli e ora nel mirino dell'Enel, opera in tutta l'America Latina e dispone di una capacità elettrica installata di oltre 12 mila megawatt, un terzo dei quali in Cile.

Il nuovo progetto idroelettrico comprende due grandi dighe, costruite in località distanti tra loro diversi chilometri, che sbarreranno il Baker. Complessivamente 8 mila ettari di territorio fra il più fertile e pregiato della regione saranno allagati. L'acqua degli invasi fornirà l'energia necessaria alla produzione di circa mille megawatt. Un progetto analogo interessa il Rio Pascua, che scorre pochi chilometri più a sud, dove si produrranno altri 1.400 megawatt. L'energia prodotta in Aisen sarà poi trasportata da una condotta aerea lunga 2 mila chilometri fino a Santiago, e, ancora più a nord, dove sarà utilizzata da industrie e miniere.

Il progetto di Endesa ha spaccato la comunità. Tutti sanno che l'energia prodotta dalle quattro centrali sarà utilizzata in loco solo in minima parte. Ma ritengono che il sacrificio, migliaia di ettari sommersi dagli invasi e le probabili modificazioni di tipo ambientale, sia sopportabile. Anche perché, in cambio, Endesa, pronta a investire qualcosa come 4-5 milioni di dollari, promette grande attenzione ai problemi ambientali, il miglioramento dei collegamenti stradali esistenti, la realizzazione di nuove arterie e il potenziamento di porti e aeroporti. In una parola: sviluppo. Si tratta di un discorso che non cade nel vuoto. La regione ha assoluta necessità di sviluppo, soprattutto infrastrutture stradali. Oggi è estremamente difficile e faticoso raggiungere l'Aisen.

Perché opporsi allora a prospettive di miglioramento che appaiono certe? I singoli cittadini e le associazioni ecologiste e culturali che hanno dato vita alla Coalicion Ciudadana por Aisen reserva de vida invitano a guardare più avanti. A valutare se, di fronte a iniziative di grande impatto ambientale, i costi da pagare non saranno, alla lunga, maggiori dei benefici che si possono ottenere nell'immediato. Aggiungono poi che nessun progetto può essere valutato utilizzando solo parametri di tipo economico e propongono modelli di sviluppo che mettono in primo piano la difesa dell'ambiente. A cominciare dall'acqua.

Contro lo sfruttamento privato dell'acqua e, in generale, delle risorse naturali si batte anche la Chiesa dell'Aisen. Le ragioni ce le spiega il vescovo, monsignor Luis Infanti de la Mora dell'Ordine dei Servi di Maria. Luis sta per Luigino perché monsignor Infanti è italiano. Del Friuli. "In Cile è in atto dai tempi della dittatura del generale Pinochet una politica fra le più liberiste del mondo. Chiunque può comperare quello che vuole, quando vuole e come vuole. Ma noi riteniamo che la natura e in particolare l'acqua, un bene così prezioso per tutta l'umanità, non possa essere accaparrata e utilizzata a fini esclusivamente privati. Il problema ha valenza sociologica ed etica. Attraverso queste iniziative di tipo privato che passano sopra la testa della gente si instaura una nuova forma di moderna schiavitù", racconta. Rivolgendosi alla comunità scientifica internazionale, monsignor Infanti aggiunge: "Siamo in epoca di globalizzazione, e allora globalizziamo anche i problemi. Abbiamo fatto appello alla scienza perché ci aiuti a trovare soluzioni capaci di produrre sviluppo senza danneggiare irreparabilmente il Creato".

Intanto, in sede locale e di fronte a scelte che andranno ad incidere sul futuro di un'intera comunità, ha fatto quello che avrebbe dovuto fare la politica. Ha inviato a tutte le famiglie della regione una lettera pastorale nella quale l'intera questione è riassunta in 15 semplici domande sul progetto e sulle sue conseguenze. Queste domande hanno stimolato il dibattito all'interno delle famiglie e hanno spinto molti a chiedere di saperne di più. "Le persone debbono essere informate. Questo deve essere considerato il primo atto di una sfida che il vescovo dell'Aisen ha lanciato anche nei confronti degli altri vescovi. La Chiesa cilena non è stata finora molto attenta alle tematiche di carattere ambientale", conclude.

I gruppi e i singoli cittadini contrari alle dighe che si riconoscono nel motto 'Aisen reserva de vida' hanno trovato nella Chiesa un alleato importante ma sanno che la battaglia sarà molto difficile. Endesa, anche se il progetto non è stato ancora ufficialmente approvato, ha potuto continuare a compiere indisturbata sondaggi e prospezioni.

"Sono entrati nel mio campo senza chiedere il permesso e hanno fatto i lavori che hanno voluto", denuncia René Muñoz, un contadino-allevatore proprietario di un fondo lungo il Baker. A un paio di chilometri di distanza c'è la proprietà di suo fratello Orland. Sono i campi che ha lasciato loro in eredità il padre. Ci vogliono un paio d'ore di macchina su strada sterrata e altrettante di barca per raggiungere il fondo di René da Cochrane, cittadina di 3 mila abitanti posta al centro dell'area interessata ai progetti idroelettrici, dove abitano sua moglie e le sue due figlie. René vive in un'umilissima casetta di legno priva di corrente elettrica. Coltiva la campagna, alleva pecore e mucche. Commercializza le sue verdure e, una volta all'anno, vende i vitelli e quel che guadagna gli basta per vivere. Ogni 15, 20 giorni arriva Andres Casanova che risale il Baker con la sua lancia e gli porta quanto occorre. Si ferma per un asado e poi tutti e tre - René, il suo aiutante e Andres - si sistemano accanto al fuoco alimentato dal generoso faggio australe. La zucca col mate passa di mano in mano. Bevono l'amaro infuso d'erbe. E in silenzio ascoltano il silenzio dell'Aisen.

Il mate naturalmente non manca nemmeno nella casa di Aquilino Olivares. Quello che non vi dimora è il silenzio. Come si potrebbe con intorno la moglie, tre bambini, una dozzina di cavalli, una decina di cani, un paio di gatti, pecore e capre con relativa prole, le galline, i tacchini? Domatore di fiumi oltre che di cavalli, Aquilino viene a prenderci con la sua barca a remi sull'altra riva del Baker e poi ci traghetta a forza di braccia là dove con i cavalli ci aspetta il suo ragazzino più grande: José, nove anni, una mitragliata di efelidi sul visetto serio. "José mi aiuta. Tutta la mia famiglia mi aiuta. Io sono un contadino, ma ho l'ambizione di lavorare con il turismo", spiega. È un fiume in piena Aquilino. È il Baker e insieme il Nef che nel Baker riversa le acque gelide che preleva dai ghiacciai. La sua terra è alla confluenza dei due fiumi. Prati e boschi finiranno sott'acqua se verranno costruite le dighe. E Aquilino non sa darsi pace.

I primi colonizzatori, agli inizi del secolo scorso, avevano aggredito e talvolta devastato questa terra. Come fu negli anni Trenta, quando migliaia di ettari di bosco furono dati alle fiamme con la complicità delle autorità centrali per ricavarne pascolo. Allora le pecore erano la primaria fonte di ricchezza. Le pecore oggi rendono poco. Ma su quella terra e di quella terra si può ancora vivere. E così, inverno dopo inverno, resistendo al vento che soffia feroce 300 giorni l'anno, Aquilino, i Muñoz e tanti altri come loro si sono trasformati nei più convinti difensori di una natura tanto potente quanto difficile, con la quale hanno sottoscritto un patto che si potrebbe così sintetizzare: "Noi ti difendiamo perché tu ci aiuti a vivere da cittadini del XXI secolo". Nessuno di loro ha la vocazione dell'eremita. Nessuno di loro chiude le porte alla modernità: hanno la ricetrasmittente perché è utile e usano Internet e il cellulare.

Ma il loro tempo libero preferiscono dedicarlo alla Patagonia. Per continuare a svolgere questo compito di custodi della natura non chiedono incentivi. Non chiedono uno stipendio. Chiedono solo che a nessuno sia consentito di mettere le mani in un tesoro che non ha eguali al mondo. Un tesoro di montagne, di boschi, di ghiacciai e di acqua. Un'acqua da conservare pura. Per i propri figli e, forse, per l'umanità intera.