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Il ministro della Difesa del Giappone, Fumio Kyuma, si è dimesso il 3 luglio. I motivi storici.

di Vincenzo Lucherini - 09/07/2007

 
L'ex ministro della difesa Fumio Kyuma

TOKYO - Probabilmente questa notizia avrà ben poca eco nel mondo «occidentale» e forse nessuna in Italia.
Eppure è molto significativa, per la ragione alla base delle dimissioni.
Il ministro della Difesa del Giappone, Fumio Kyuma, aveva, proprio il giorno prima, dichiarato, e nella città di Nagasaki, che «il bombardamento atomico sulla città ha sì causato grande sofferenza, ma che egli non prova per ciò risentimento verso gli USA ...».
E ne spiega il motivo, «… perchè i bombardamenti atomici erano inevitabili ... hanno prevenuto l'occupazione sovietica dell'isola di Hokkaido...».
La maggioranza dei giapponesi ha, invece, una ben diversa sensibilità riguardo allo sgancio sulle città giapponesi di due bombe atomiche USA: di qui l'indignazione per le affermazioni del ministro e le sue dimissioni conseguenti.
Non è male rifare un po' la storia, forse non a tutti nota.
Durante la seconda guerra mondiale, gli USA, una volta entrati nel conflitto, chiesero ripetutamente, insieme alla Gran Bretagna, che anche l'URSS entrasse in guerra contro il Giappone. La risposta dell' URSS fu che, nei primi anni di guerra essendo praticamente sola sotto l'enorme pressione delle forze armate germaniche, non voleva nè poteva permettersi una guerra su due fronti, e che avrebbe pertanto rispettato il patto di neutralità firmato col Giappone, almeno fino a che non fosse stata sconfitta la Germania nazista.
In quegli anni, infatti, il Giappone occupava tutta la penisola coreana e l'intera regione cinese della Manciuria, a ridosso, per 3.000 km, dei confini nord-orientali con l'URSS, dove sosteneva un governo fantoccio (una finzione di Impero Cinese, il «Manchukuo», con a capo quello che nel famoso film di Bertolucci è chiamato «L'Ultimo Imperatore»), dove manteneva un potente esercito forte di 700.000 uomini (l'Armata del Kwantung).
Il patto di neutralità nippo-sovietico era stato firmato a Mosca il 13 aprile 1941.
Si badi alle date.

In quel periodo gli USA non erano ancora entrati in guerra (l'attacco a Pearl Harbour avvenne dopo, il 7 dicembre 1941).
E ancora Hitler non aveva attaccato l'URSS ( 22 giugno 1941): anzi tra Germania e URSS vigeva il Patto di Non Aggressione (23 agosto 1939).
Tuttavia Hitler pianificava da mesi (come ovvio per la scala delle forze coinvolte) prima del 22 giugno 1941 l'attacco all'URSS, e rimase infuriato quando il Giappone (che lui sperava di trascinare nella guerra contro l'URSS) firmò invece il patto di neutralità con l'URSS.
Alle sue rimostranze, e al richiamo del Patto Tripartito tra Germania, Italia e Giappone (firmato a Berlino il 27 settembre 1940), il Giappone, all'oscuro dei piani segreti di Hitler di attacco all'URSS (come ne era del resto all'oscuro anche l'Italia), rispose ineffabile che non ne capiva le ragioni, visto che la Germania aveva già fatto proprio la stessa cosa...
Il Giappone aveva avuto buoni motivi per firmare quel patto di neutralità.
E quei motivi risalgono ad eventi del luglio-agosto del 1939 (anche se radici più profonde si trovano ancora più indietro negli anni).
Se la storia ha un'ironia (pur nella sua tragicità) verrebbe da sorridere rileggendo un saccente editoriale del New York Times scritto a commento di quegli eventi il 20 luglio 1939, dal titolo: «Una Strana Guerra» (si noti che a quella data la Seconda Guerra Mondiale doveva ancora scoppiare, 1 settembre 1939).
La «Strana Guerra» cui il New York Times si riferiva in quell'articolo era un conflitto armato in grande stile nippo-sovietico nella zona di Khalkin gol (per i sovietici) o Nomonhan (per i giapponesi).
Con tono irrisorio derideva come «esagerate» le affermazioni di entrambi i contendenti, riassumendo la situazione affermando che quei combattimenti, qualunque cosa fossero, «avvenivano in un angolo del mondo talmente remoto che  non potevano certo pretendere di meritare molta attenzione». (1)
Se aveva ragione riguardo alla remotezza dei luoghi, si sbagliava di grosso invece riguardo all'importanza di quegli eventi, tanto che molti seri studiosi ritengono oggi che la Seconda Guerra Mondiale sia stata decisa proprio lì, prima ancora di cominciare. (2)
Si capirà perchè leggendo di seguito.


Khalkin gol o Nomonhan era una zona di confine triplice tra la Mongolia (allora protettorato sovietico), l'URSS e il Manchukuo, la Manciuria cinese occupata dai giapponesi.
Secondo i giapponesi, alcune alture oltre il fiume Halha non appartenevano alla Mongolia, ma al Manchukuo, e nel maggio del 1939 il comando militare dell'Armata del Kwantung mandò una task force al comando del colonnello Azuma ad occuparle.
Intervennero, a supporto dei cavalieri mongoli, i carri armati sovietici, ed il 30 maggio del 1939 quel reparto fu annientato.
Allora l'Armata del Kwantung mise in moto una vera e propria offensiva con grossi reparti a livello divisionale (30.000 uomini), cannoni, e centinaia di aerei.
Dalla parte opposta, i mongoli e i sovietici misero in campo 54.000 uomini, molti carri armati, centinaia di aerei.
E vinsero infine lo scontro sbaragliando con audaci manovre di accerchiamento a tenaglia con le forze corazzate le agguerrite fanterie nipponiche.
Interessante ricordare lo sconosciuto generale sovietico che in quei luoghi remoti e desertici manovrò magistralmente nell'agosto del 1939 con un vero e proprio «blitzkrieg» ante-litteram centinaia di modermi carri armati raggruppati in forze automome d'assalto e di accerchiamento.
Si chiamava Georgij Kostantinovic, di cognome Zhukov.
Se ne risentirà parlare.
Andiamo alle conseguenze politiche.
L'Europa, al solito tutta e solo eurocentrica, a quegli eventi guardò con totale distrazione, come pure gli USA a giudicare dal tono del citato articolo del New York Times.
Non così le due potenze coinvolte, URSS e Giappone.
L'URSS che stava sì vincendo lo scontro, ma che, a battaglia ancora in corso (il cessate il fuoco entrò in vigore solo il 16 settembre 1939) non poteva in agosto prevedere come avrebbero reagito i giapponesi (cessazione delle ostilità o ulteriore escalation?), guardava preoccupata ad un infiammarsi totale dei suoi relativamente spopolati e sguarniti confini orientali mentre in Europa montava la tensione.
Con le potenze occidentali che parevano compiacere le richieste della Germania nazista: il Patto di Monaco era di nemmeno un anno prima, 30 settembre 1938.
Che sarebbe successo se ad ovest avessero attaccato anche i tedeschi?
Sarebbe  stata presa l'URSS tra due fuochi?
I giapponesi, a loro volta, era quello che speravano, almeno i settori militari, e lanciavano alla Germania segnali in proposito.
La ragione era che era sempre esistita all'interno dei circoli politici e militati nipponici una situazione di indecisione su quale fosse la direttrice di espansione più conveniente verso zone ricche delle risorse essenziali di cui il Giappone è povero.
La direttrice «Nord», verso la ricca Siberia, o la direttrice Sud-Ovest, verso le Filipine, il Borneo e oltre, in prospettiva verso l'India?

Nel primo caso ci si sarebbe scontrati con l'URSS, nel secondo con le potenze occidentali di Inghilterra ed USA (a quell'epoca le Filippine erano dominio USA).
Gli ambienti militari propendevano per la prima direttrice, e più di una volta, con tacito avvallo degli ambienti imperiali, avevano «sondato» le capacità dell'Armata Rossa in scaramucce di confine (tra Manciuria nippo occupata e URSS), la più seria delle quali al lago Kasan, una anno prima, nel luglio-agosto 1938.
Da quello scontro s'erano fatti la convinzione di una insita debolezza dell'Armata Rossa che pareva giustificare la scelta della direttrice Nord.
Attacare l'URSS avrebbe avuto il vantaggio, oltretutto, di poter richiamare all'azione dall'apposto punto cardinale, i tedeschi in una comune lotta per spartirsi l'impero sovietico e le sue immense risorse.
L'azione a Khalkin gol o Nomonhan avrebbe dovuto dunque confermare definitivamente la debolezza dell'Armata Rossa, rompendo gli indugi imperiali e innescando, auspicabilmente, anche l'intervento tedesco.
Ma l'idea della direttrice Nord, invece, tramontò a Khalkin gol: proprio mentre i cingoli dei carri armati di Zhukov stavano iniziando ad accerchiare e poi stritolare le fanterie nipponiche, i tedeschi invece che attaccare l'URSS firmavano a Mosca il patto di non aggressione sovietico-tedesco.
Per l'URSS, il patto metteva fine all'incubo di un possibile attacco tedesco ad ovest coordinato con uno (in corso) giapponese ad est, per i militari giapponesi era la fine di ogni speranza di coinvolgemento tedesco.
Uno scorno per il Giappone, reso ancora più amaro dalla inattesa scoperta della potenza dell'Armata Rossa.
Scorno che, come s'è sopra ricordato, il Giappone restituirà poi pari pari alla Germania a tempo debito.
Per il Giappone, dopo la sonora sconfitta a Khalkin gol o Nomonhan e la sigla del patto Ribbentrop-Molotov il 23agosto 1939, non c'erano più dubbi: la direttrice di espansione sarebbe stata quella Sud-Ovest, e lo scontro dunque con USAS e Gran Bretagna.
Con l'URSS, seguendo la linea politica indicata della Germania nazista (la storia è spietatamente ironica) conveniva quindi mettersi d'accordo e restare in pace,  per non avere un nemico, e così potente, nel vicino Nord.
Ecco dunque il patto di neutralità tra l'URSS ed il Giappone imperiale, appunto firmato a Mosca il 13 aprile 1941, proprio mentre Hitler metteva giù i piani di attacco all'URSS.
Il Giappone attaccò gli USA, 7 dicembre 1941, mentre in Europa infuriava la guerra sul fonte russo, dopo i k.o. tedeschi a, nell'ordine, Polonia, Francia e nei Balcani, con l'Inghilterra ridotta a difendersi coi denti nella propria isola.

L'11 dicembre, Hitler, battuto e ricacciato indietro nella prima grave sconfitta terrestre della Wermacht, davanti a Mosca, proprio all'inizio di quel dicembre, dichiara guerra anche lui agli USA (seguito dall'Italia), con l'evidente speranza di trascinare anche il Giappone in guerra contro l'URSS.
Ma il Giappone si guarda bene, memore proprio di Khalkin gol, dal dichiarare guerra all'URSS rompendo il patto di  neutralità, e l'URSS, ovviamente, fa lo stesso (tra l'altro un contributo decisivo nella vittoriosa offensiva sovietica avanti a Mosca la daranno proprio le truppe siberiane fatte affluire dall'estremo oriente).
Con queste premesse, Germania sola (a parte deboli Paesi satelliti) contro il colosso sovietico senza appoggio del Giappone, e adesso anche contro gli USA, e il Giappone che incautamente aveva tracinato gli USA nella guerra, le variabili dell'equazione sono tutte al loro posto per dare un' unica possibile, ineluttabile soluzione: la sconfitta delle nazioni dell'Asse e del Giappone.
Quanto si sbagliava il New York Times quel 20 Luglio 1939.
Sappiamo come poi sono andate le cose in seguito.
Dopo il 1941, gli USA, in difficoltà nello sterminato teatro operativo del Pacifico, ripetutamente chiesero all'URSS di entrare in guerra contro il confinante Giappone.
L'URSS rifiutò, citando il patto di non aggressione e lo sforzo titanico contro la Germania.
E rispettò il patto, come fece, del resto, anche il Giappone, cosa che, permise all'URSS di spostare consistenti forze militari dall'estremo oriente alla parte europea dell'URSS.


Alla conferenza di Teheran (28 novembre - 1 dicembre 1943), Stalin infine acconsentì, assicurando che, se fosse terminata la guerra in Europa, l'URSS si sarebbe mossa contro il Giappone in caso la guerra degli Alleati contro questi ancora continuasse.
E, precisò pure che l'Armata Rossa avrebbe necessitato di tre mesi, a partire dalla fine delle ostilità in Europa, per ridispiegarsi in estremo oriente ed ingaggiare battaglia.
La guerra in Europa terminò ufficialmente il 9 maggio 1945 (data riconosciuta dall'URSS), ma già da prima era ben chiara la fine della Germania nazista.
L'URSS, pertanto, ottemperando agli impegni presi con gli Alleati, denunciò il 29 aprile 1945 il Patto di Neutralità col Giappone.
L'8 agosto del 1945 consegnò al Giappone la dichiarazione di guerra, ed il 9 agosto 1945, tre mesi dopo la resa della Germania, scatenò l'offensiva denominata «Tempesta d'Agosto» contro l'Armata del Kwantug.
Armata che, benchè indebolita di reparti spediti via per combattere contro gli USA ( tra l'altro i reduci dei reparti della battaglia di Khalkin gol furono poi tra quelli impiegati a Jwo Jima), era ancora praticamente intatta, forte di circa 600.000 uomini e sopratutto per nulla sinora toccata dalla guerra.
Oltre l'Armata del Kwantung, l'offensiva investì anche le forze dell'esercito giapponese in Corea, e nelle isole di Sakhalin e delle Kurili (allora sotto il Giappone).
Il  totale delle forze giapponesi sul teatro dell'estremo oriente prospiciente l'URSS ammontava a oltre 900.000 militari più altri 200.000 ausiliari.
Di queste forze circa un milione erano giapponesi.
La «Tempesta di Agosto» si scatenò esattamente tre mesi dopo la fine ufficiale della guerra in Europa.
Ovviamente nè alla Conferenza di Teheran, nè in seguito, l'URSS poteva sapere che gli USA avrebbero costruito e, in particolare, sganciato sul Giappone delle armi atomiche  proprio in quei giorni: il 6 agosto del 1945 su Hiroshima e il 9 agosto 1945 su Nagasaki.

L'operazione «Tempesta di Agosto» iniziò il 9 agosto 1945 lungo tutto il confine tra il Manchukuo e l'URSS e lungo il confine con la Corea nippo occupata, nonchè con sbarchi dal mare verso le isole Kurili e l'Isola di Sakhalin.
Le forze giapponesi nell'Armata del Kwantung ed in Corea e territori vicini furono affrontate da un esercito di circa 1 milione e 500.000 mila uomini, ben armato e motivato, ma forte sopratutto per
l' esperienza acquisita a caro prezzo sul teatro europeo contro uno dei più formidabili eserciti del mondo.
Per questo l'offensiva «Tempesta di Agosto» è stata definita dagli studiosi militari un po' come 
«la prova di Master» di un brillante studente già laureatosi col massimo dei voti (ed è infatti oggetto di studio anche oggi nella Accademie militari).
L'esito era scontato.
Meno scontata fu la incredibile rapidità con cui gli obbiettivi furono raggiunti e l'Armata del Kwantung e le altre forze giapponesi si sgretolarono.
Non c'era stata infatti ancora nessuna direttiva giapponese di «resa incondizionata» ed era nota la sanguinosa tenacia con  cui avevano combattuto i giapponesi in situazioni disperate nelle isole del Pacifico, come ben avevano imparato sulla propria pelle le truppe di elite USA: i marines.
Non era del resto proprio questa ostinata e suicida volontà di battersi anche se tutto è perduto dei soldati giapponesi la giustificazione ufficiale per la decisione USA di sganciare sulle città giapponesi bombe atomiche?
Proprio in quegli stessi giorni «atomici», invece, ed ignorandolo, l'URSS aveva pianificato l'attacco e attaccò effettivamente l'intero fronte giapponese, su terra, e mare, lungo una linea di fronte di migliaia di km, dovendo attraversare fiumi impetuosi, scalare montagne alte oltre 1500 metri, superare deserti vasti ed ostili, effettuare sbarchi dal mare.
In zone spesso prive di strade od inadatte ai mezzi pesanti.


Contro avversari di chiara fama di ferocia e della tempra dei «samurai» protetti quasi sempre da situazioni orografiche favorevoli alla difesa ad oltranza.
Il risultato fu che furono in pochi giorni sbaragliate tutte le forze giapponesi, subendo al contempo perdite incredibilmente basse, ed occupando un'area, nonostante fosse fortificata e protetta da formidabili ostacoli naturali, delle dimensioni dell'intera Europa Occidentale.
Tutto  in una settimana.
Nel piano dell'offensiva, si doveva procedere poi con sbarchi direttamente sulle isole maggiori del Giappone, cominciando da quella più a Nord, Hokkaido, appunto (3), e ci si stava apprestando.
Ma venne la resa senza condizioni del Giappone, annunciata dall'imperatore il 15 agosto 1945, e trasmessa alla truppe a partire dal giorno dopo.
Secondo lo studioso Tsuyoshi Hasegawa, professore di Storia e Direttore del Centro Studi sulla Guerra Fredda dell'Università della California in Santa Barbara, che ha esaminato documenti prima tenuti segreti, fu l'attacco sovietico ed il suo travolgente successo a giocare il ruolo determinante, e non lo sgancio delle atomiche, per convincere il Giappone a capitolare. (4)
Egli arguisce, infatti, che non era nella mentalità della casta dirigente giapponese preoccuparsi troppo della sorte della popolazione civile (come non importava molto ai comandi USA la sorte dei civili nemici), e, del resto, bombardamenti più sanguinosi, in termini di civili uccisi, di quelli atomici, il Giappone li aveva già subiti ad opera di stormi di aerei con armi convenzionali senza che questo avesse scosso la volontà di resistere dei militari.
Con l'attacco sovietico che avanzava così rapidamente, la prospettiva di vedere invase le stesse isole maggiori giapponesi era invece imminente, e questo fu, sostiene Hasegawa, l'argomento che fece decidere.

 

Cerimonia della firma della resa del Giappone a bordo della corazzata Missouri ancorata nella baia di Tokyo il 2 settembre 1945.
L'angolazione è ciò che conta.
La foto a sinistra (o simile) è quella di solito ufficialmente mostrata.
Più rara quella a destra, ripresa dall'angolazione opposta.
E si capisce se si nota, tra i militari in fila in piedi sulla destra, quello in divisa scura (alla sinistra del militare in divisa bianca): si tratta di un generale sovietico, Kuzma Nikolaevish Derevyanko presente alla firma in rappresentanza dell'URSS.
 
Oggi, il ministro della Difesa giapponese si dimette per aver detto che non porta rancore per le atomiche USA sul Giappone.
L'importante, dice, era prevenire l'invasione sovietica di Hokkaido.
Importante per chi?
Perchè furono sganciate quelle atomiche?
L'incauto ministro Fumio Kyuma si stava forse avvicinando troppo ad una verità scomoda?



 


Note
1) New York Times, 20 luglio 1939, pagina 18.
2) Edward J. Drea, U.S. Army Command and General Staff College, Fort Leavenworth, Kansas. Leavenworth Paper numero 2, gennaio 1981.
3) David M. Glatz, U.S. Army Command and General Staff College, Fort Leavenworth, Kansas. Leavenworth Paper numero 7, febbraio 1983.
4) Tsuyoshi Hasegawa, «Racing the Enemy. Stalin, Truman and the surrender of Japan», Harvard University Press, 2005.