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Ancora su "la carica della 500"

di Gianfranco La Grassa - 09/07/2007

 

 

La situazione degenera con velocità impressionante; tuttavia, al contrario di molti commentatori, non vedo mutamenti a breve poiché l’accelerazione consente solo di rimanere fermi al posto di prima, come nel “mondo di Alice”. Ciò però che non si arresta è il degrado; per il momento non troppo elevato sul piano economico, relativamente all’impoverimento di massa, ecc. (che pure esiste, con un euro dotato di sempre minor potere d’acquisto), mentre è evidentissimo su quello politico e pauroso su quello culturale, dove l’ignoranza, il cattivo gusto, l’esplosione di “mille colori”, chiassosi e accostati senza alcun gusto, sono ogni giorno più eclatanti.

 

Torno per un momento su uno dei sintomi di tale degrado: l’orripilante lancio mediatico della nuova 500, in chiave del tutto kitsch. Due, tre giorni fa leggo su Liberomercato l’unico articolo decente su tale faccenda, di certo Santambrogio, moderatamente ma significativamente critico (parla anche di un Marchionne “tronfio”, contrariamente a sue passate abitudini di maggior riservatezza). Rimango sorpreso perché Libero (e il suo direttore) ha più volte incensato negli ultimi tempi la “famiglia” proprietaria della Fiat. Ha di fatto scusato Lapo Elkann per alcune “cretinate” (molto volgari) commesse, ha ingigantito John Elkann, in sostanza dichiarandolo il vero erede di Gianni Agnelli; soprattutto, si è dimostrato con chiarezza favorevole alla ventilata discesa in campo (politico) di LCdM alla fine della sua, a mio avviso, infausta presidenza confindustriale. Ovviamente, penso male circa i motivi di queste posizioni di schieramento pro-Fiat ecc., ma non mi lancio in ipotesi dietrologiche su cui non avrei prove da portare (chi legge, sa bene anche lui che cosa pensare di questi giornalisti e del perché prendono certe posizioni).

In effetti ieri, sabato, Feltri corregge Santambrogio, affermando di credere nell’operazione Fiat (500) con argomentazioni molto “leggere” e poco “centrate”, che non fanno grande onore ad un giornalista comunque, nessuno lo nega, intelligente (ma appunto: perché passare da superficiale e inconsistente? Ognuno ne dia l’interpretazione che preferisce). In modo per la verità corretto, a fianco dell’articolo di Feltri, ve n’è un secondo di Santambrogio, ancor più critico e documentato (e anche spiritoso) del primo, che a me piacerebbe riportare nel blog (o forse sul sito data la sua lunghezza), giacché, a mia conoscenza, è l’unico serio e ponderato intervento rispetto ai vergognosi panegirici di Corriere, Stampa e altri giornali della GFeID (grande finanza e industria decotta), il cui conclamato servilismo non richiede alcun particolare arzigogolo dietrologico.

Santambrogio cita affermazioni di Marchionne e brani dagli articoli dei giornali appena citati, alcuni dei quali – lo ammetto – mi erano sfuggiti. Dire che si tratta ormai di demenzialità pura, di una degenerazione non solo culturale ma anche cerebrale, mi sembra proprio il più soft dei commenti da fare. E’ bene che uno legga e valuti da solo queste frasi e questi brani, perché sarà per lui un test di intelligenza e di equilibrio mentale. Sottolineo in particolare l’ultimo capoverso dell’articolo di Santambrogio, dove si fa riferimento all’importanza che ha, sul modo di schierarsi di un giornale, il denaro che gli arriva dalla pubblicità delle più grandi imprese. Mi permetto di ricordare al comunque bravo giornalista che la pubblicità non spiega tutto; Corriere, Stampa, Repubblica, Sole24ore, stanno con la GFeID, sono cassa di risonanza delle sue varie correnti (per fortuna oggi in attrito), non soltanto per acquisire i soldi della pubblicità. E non è certo per questo motivo che le tre reti TV della Rai sono disgustosamente appiattite sul Governo e l’attuale maggioranza!

Questo kitsch della casa automobilistica che fu anche di Gianni Agnelli, uomo dotato comunque di un certo decoro formale, mi sembra tuttavia dimostrare qualcosa; e forse di importante. Sembra di assistere all’agonia (magari ancora lunga) di una certa classe dirigente economico-finanziaria, ad una sorta di ormai inevitabile “fine di Bisanzio” (che aveva, sia chiaro, un livello culturale infinitamente superiore al nostro). Tale classe ha scioccamente liquidato – anche per pressioni venute d’oltreatlantico dopo il crollo del muro e la dissoluzione dell’Unione Sovietica – il regime DC-PSI, perché troppo costoso e non così prono come essa voleva ai suoi complessivi interessi (italiani e, dietro e sopra questi, USA). Da quindici anni si sforza, ripetendo le solite e ormai stucchevoli manovre giudiziarie, di mettere in piedi un nuovo regime basato, come il precedente, sul centro con l’occhio però rivolto a sinistra (possibilmente non oltre i sindacati, ormai apparati di Stato). Non c’è ancora riuscita, anche e soprattutto perché si è messo di traverso – non per i supremi interessi nazionali, questo è chiaro – quel “rompiscatole” di Berlusconi. Eppure essa non demorde; sta tentando nuovamente.

E’ stato da poco fatto scendere in campo Veltroni; e fino a quando il “gallo” a lui contrario, D’Alema, non ha accettato di riconoscerlo come “il Primo”, “baffino” è stato ammorbidito con intercettazioni varie (e ormai famose, spero, per cui non sto qui a ricordarle). Adesso, quella partita è accantonata (non chiusa, non si sa mai; D’Alema è uno che non si arrende, trama sempre sott’acqua), e si è riaperta quella contro Berlusca per gli spionaggi (veri o presunti, non mi pronuncio) dei servizi segreti. Sintomo che più chiaro non si può: è l’Udeur ad aver chiesto una commissione d’inchiesta parlamentare su questi fatti; ed è stato proposto come suo presidente Casini. Si può essere più scoperti, e nel contempo arroganti e sicuri di farla franca, di così? Mastella e Casini si “parlano” spesso, lo sanno anche i sassi. L’operazione centrista ha bisogno di loro; nel suo versante politico (perché i veri ispiratori stanno nella GFeID) questi due personaggi sono fra i maggiori sostenitori della stessa, vera espressione della massima putrefazione dello spirito democristiano.  

Tutte queste manovre politiche – unite alle recenti fusioni bancarie che hanno condotto alle due superbanche ben note, al mettere le mani su Telecom in alleanza con gli spagnoli di Telefonica (che, si sa, se ne andranno al più presto dopo aver ricevuto una buona plusvalenza per tale servigio), alla finta gara per Alitalia che si vorrebbe dare quale preda ad AirOne ma come semplice longa manus di Intesa che ha i soldi (forse), e infine a questa demenziale e mastodontica presentazione della 500 – sono tese a far si che alla fine i gruppi finanziario-industriali, in sorda reciproca conflittualità per la spartizione della ormai esigua torta, riescano ad installare il loro governo senza più controlli pur fintamente “democratici”; a quel punto essi succhieranno, tramite il loro Stato, tutte le risorse prodotte dai ceti lavoratori italiani, pungolando e alimentando al massimo lo scontro tra autonomi e dipendenti in modo da non essere disturbati nella loro opera da piovre e sanguisughe. Questo sarebbe il vero salvataggio della Fiat, che nessun “mago” Marchionne sta compiendo, salvo che nel puro immaginario creato a suon di miliardi da gruppi di “vermoni” simili a quelli del film Tremors.

Se però l’operazione non riesce, ne usciranno in tanti (della GFeID) con le ossa rotte, a partire dal “tronfio” mago di cui sopra; ma con gravi perdite da parte dei proprietari della Fiat (è per pararsi il culo da tale rischio che LCdM ha portato ampi capitali in Lussemburgo creando il fondo Charme, sulla cui struttura e finalità, e fondazione di joint venture con i cinesi, si è già scritto nel blog e nel mio libretto Il gioco degli specchi). Se fallisse quest’ultima spiaggia politica, la Fiat – e non solo lei – farebbe un botto che Parmalat e Cirio apparirebbero bombe della Grande Guerra in confronto all’atomica di Hiroshima. Ne andremmo di mezzo un po’ tutti quanti; ma ci libereremmo (forse) una volta per tutte di queste cavallette pestilenziali e, dunque, anche di questo ormai debosciato e invertebrato mondo politico. Finirebbe nel “rogo” la sinistra; e non vi sarebbe allora più alcun bisogno dell’attuale finzione rappresentata dall’opposizione di destra.

 

Come ultima notazione. La 500, questo frutto del Neo-“Rinascimento” italiano (di fronte al quale “impallidisce”, agli occhi dei nostri dementi di cui sopra, quello passato alla Storia con tale nome), è prodotta in Polonia. Giustamente, gli operai polacchi hanno minacciato scioperi (che bello sarebbe veder da subito bloccata la produzione di questa “prova materiale” della stupida vanità della meschina classe dirigente italiana!) se non raddoppiano loro i salari. Nessuno mi può accusare di retorica operaista; ma è effettivamente indecente che si siano spesi (cifra ufficiale del tutto sottostimata) 12 milioni di euro solo per questo lancio kitsch, nel mentre chi “si farà il c….” per produrre la vetturetta prenderà poche centinaia di euro al mese. Spero che i “fratelli Kaczynski” consentano agli operai del loro paese di mettere in difficoltà questi dirigenti, capaci solo di “andare in delirio” e di contrabbandare il cattivo gusto di una pubblicità dispendiosa e gigantesca per qualità superiore di una macchinetta che vale “quattro soldi”, pur costando da 10 a 15000 euro (e la versione Abarth molto di più); per cui, fra l’altro, non è nemmeno molto concorrenziale verso la Smart e la Mini.

Tifiamo per gli operai polacchi: “fategli il mazzo”! Sono dei clown al loro ultimo giro di pista; lanciano frizzi e lazzi perché se la fanno sotto per la paura di finire in bruttezza la loro avventura, se non riescono ad impadronirsi dello Stato italiano in tutti i suoi gangli, civili e militari. Intanto, voi approfittate del bisogno che essi hanno di contrabbandare questo insulso esito della fasulla “creatività” italiana per status symbol di un “popolo” (di vip) fra i più esausti e inutili del mondo. Avanti con la battaglia salariale contro questi parassiti. Che crolli infine “Bisanzio”!

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LA TRUFFA INPDAP

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Finalmente, anche i quotidiani nazionali si sono accorti del balzello introdotto per decreto dal governo di centro-sinistra con l'iscrizione forzata, di pensionati e lavoratori, al fondo gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali dell'Inpdap, da noi denunciato quasi un mese fa. Ecco un articolo apparso sul Giornale di oggi.

"Spesso la realtà supera la fantasia. E forse neanche il più accanito detrattore di Tommaso Padoa-Schioppa si sarebbe aspettato l'ultima trappola architettata dal ministro dell'Economia per fare cassa.
Si tratta di un decreto legge poco conosciuto, il numero 45 del 7 marzo 2007, con cui si decide l'iscrizione «di diritto» dei pensionati che godono di trattamento Inpdap, l'Istituto di previdenza del pubblico impiego, e dei dipendenti pubblici e pensionati di enti e amministrazioni pubbliche iscritti ai fini pensionistici presso altri enti o gestioni previdenziali (come l'Inps), al Fondo gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali dell'Inpdap stesso. Il che comporta un nuovo contributo di solidarietà, soggetto a un’aliquota dello 0,15 dell'ammontare lordo della pensione e allo 0,35 della retribuzione lorda, che chi appartiene a queste due categorie deve versare all'ente.
L'iscrizione alla gestione unitaria, e quindi il pagamento mensile dell'obolo, sono facoltativi. In realtà, più in teoria che in pratica, perché chi non ne voglia sapere è tenuto a comunicare la recessione entro ottobre 2007, per iscritto, tramite una raccomandata con ricevuta di ritorno alla sede provinciale Inpdap in cui presenta il 730. In caso contrario, scatterà il famigerato meccanismo del silenzio-assenso. E il prelievo, che viene effettuato dallo scorso mese di maggio con trattenuta automatica e trasferito a un fondo per le prestazioni creditizie agevolate erogate dall'istituto (piccoli prestiti, prestiti pluriennali e prestiti pluriennali garantiti), a beneficio di lavoratori e pensionati ad esso aderenti, diventerà definitivo.
Ecco spiegato come mai il governo abbia emesso questo decreto senza fare troppo rumore, e neanche dall’Inpdap sia giunta alcuna comunicazione ai soggetti interessati. E non è un caso che, tra i sindacati del settore, ci sia chi evoca con irritazione un’analogia con la recente vicenda legata al Tfr, su cui però c'è stata, ma non poteva essere diversamente, ben altra informazione. Va detto che per i lavoratori statali iscritti all'Inpdap il contributo dello 0,35 esiste già, ed è obbligatorio: è segnato sulla busta paga, alla voce «fondo credito».
Ma con la piccola cifra che si ottiene da ciascuno di coloro ai quali si è esteso l'esborso, considerando quanto è vasta la platea di impiegati e pensionati statali, se il progetto va in porto il ministero di via XX Settembre finirà per incamerare un secondo tesoretto.
Tesoretto di cui è lecito dubitare che sarà utilizzato per lo scopo dichiarato dal ministero. Quei soldi, infatti, non servono ai dipendenti pubblici iscritti ad esempio all'Inps e lontani dalla pensione, che possono già accedere a prestiti e mutui di natura assistenziale garantiti da quest'ente. Né a quelli prossimi all'età pensionabile che non intendono usufruire di prestiti dopo la pensione o che non vogliono prorogare prestiti già in essere, perché potrebbero incidere sulla liquidazione. Chi ha intenzione di mandare la raccomandata, può scaricare il modulo per la rinuncia all'iscrizione al Fondo sul sito della Federazione lavori pubblici e pubbliche funzioni (www.flp.it)". [Fonte: Il Giornale]