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La carica degli ipocriti (l'impossibile riforma del sistema dei partiti)

di Gian Antonio Stella - 09/07/2007

 
Per celebrare la decisione del governo di dare una sforbiciata ai costi della politica, la Regione Calabria ha avuto una bella pensata: ha appena inserito tra le comunità montane altri 19 comuni tra i quali Bova Marina, il cui municipio svetta dolomitico a 20 metri sul livello del mare.
Prova provata che tra il dire e il fare, su questo tema spinosissimo, c'è di mezzo il mare. Peggio: un mare montagnoso. Tanto che il disegno di legge sui tagli agli sprechi è slittato ieri per l'ennesima volta. A quando? Boh...
Che le resistenze sarebbero state molte, al progetto di smontare almeno un po' di meccanismi clientelari e riordinare almeno un po' di assurdità e rimuovere almeno un po' dei privilegi che appaiono ai cittadini ogni giorno più insopportabili, si sapeva.

Bastava notare l'assoluto, imbarazzato, abissale silenzio, in questi mesi, da parte di tutte le forze politiche, intorno alla possibilità di rovesciare l'indecente leggina sui finanziamenti privati ai partiti. Quella in base alla quale chi regala soldi a una segreteria politica o a un candidato alle elezioni ha sconti fiscali fino a 51 volte più alti rispetto a chi regala gli stessi soldi alla ricerca sulla leucemia infantile o alla lotta alla fame nel mondo. Bastava ascoltare certi dibattiti televisivi dove, secondo i più accaniti guardiani del dorato status quo, il problema non era che i pranzi al ristorante della Camera costino mediamente 90 euro e vengano pagati dai deputati, ma il rischio che queste denunce «possano creare sfiducia nelle istituzioni». Bastava interpretare il piccolo gesto di sfida di Rocco Buttiglione che nel bel mezzo delle polemiche sfregiava ridacchiando i censori: «Alla buvette vogliamo pure il gelato».

Oppure bastava annusare l'ostilità che emanava già a fine maggio alla Commissione Affari istituzionali presieduta da Luciano Violante. Dove il forzista Gabriele Boscetto era preoccupatissimo perfino dall'ipotesi di «un'indagine conoscitiva sulle spese attinenti al funzionamento della Repubblica» poiché già questo gli faceva venire «il timore che si tratti di un'iniziativa demagogica, preparatoria di interventi drastici e meramente propagandistici». Nessuna meraviglia: abituato com'è a un certo andazzo, durante l'ultima finanziaria era arrivato a proporre l'abolizione del divieto, per chi ha una carica in un ente locale di «ricoprire incarichi e assumere consulenze professionali non solo presso gli enti in cui esercitano la loro carica, ma anche presso altri enti territoriali».

Una incompatibilità ovvia, varata per impedire a un sindaco di affidare incarichi a un altro sindaco ricevendo in cambio lo stesso regalino. Gli pareva troppo: «Comporta una perdita economica e un impedimento ingiusto ».
Non c'è stato giorno, in queste settimane, soprattutto dopo l'allarme lanciato sul Corriere da Massimo D'Alema («Rischiamo di essere travolti come la Prima Repubblica») in cui Romano Prodi, Linda Lanzillotta, Giulio Santagata o altri non abbiano promesso un disegno di legge del governo per contenere i costi esorbitanti della macchina politica. E non c'è stato giorno in cui non si potessero cogliere qua e là segnali, su questo percorso, di grande difficoltà. E una crescente insofferenza per le polemiche: «Uffa, ma come, basta, ancora questa storia?».

Dice tutto il tormentone sulla comunità montane. All'inizio, dopo lo scandalizzato stupore popolare per l'esistenza di comunità come quella delle Murge Tarantine dove nessuno dei suoi nove comuni è «montano» e dove Palagiano sorge a 39 metri sul livello del mare (massimo dell'altezza 86 metri, 12 meno del campanile veneziano di San Marco) pareva che l'orientamento fosse ovvio: d'ora in avanti avrebbero potuto appartenere alle comunità montane solo paesi sopra i mille metri. No, meglio novecento. Forse ottocento. Ma no, non si può guardare solo l'altitudine: settecento. Non esageriamo: seicento. E mentre il taglio diventava un taglietto e poi una sforbiciatina (ultima puntata: se ne occuperà l'Osservatorio per l'applicazione della legge sulla montagna), la Calabria, infischiandosene di tutto e tutti, allargava le sue comunità a paesi appunto come Bova Marina (sul mare), Cassano allo Jonio (sul mare) o Monasterace, il cui territorio sale dalla spiaggia alla vertiginosa altezza di 177 metri, più o meno quanto la Mole Antonelliana. Una cosa che, nella convinzione che per salvare i paesi spopolati della montagna vera occorre spazzare via quella finta e clientelare, ha fatto infuriare lo stesso presidente dell'Unione comunità montane Enrico Borghi: «Ma come, a Roma stiamo lavorando per ridefinire cos'è la montagna e come aiutarla e in Calabria vanno per conto loro così?».
Per non dire del taglio alla massa di consiglieri regionali, provinciali, comunali, circoscrizionali. A parte la rinuncia a priori alla soppressione delle province, che tutti considerano più o meno inutili ma nessuno ha la forza e la volontà politica di spazzar via (nel 1985 Margaret Thatcher le sue 45 Contee metropolitane le eliminò tutte in un colpo solo, compresa quella di Londra: ma era la Thatcher), si prevede che si andrà a una limatura. Ma è illuminante quanto accaduto intorno ai comuni. Il sindaco di Firenze Leonardo Domenici, presidente dell'Anci, aveva detto che, per quanto lo riguardava, poteva essere concordato («concordato, però!») un taglio del 25% dei consiglieri. Macché: ben che vada sarà (forse) del 10%.
Ma sempre lì si torna, come lo stesso Domenici ha sottolineato mille volte: urgono una consapevolezza e uno sforzo di riforma corale, magari sotto il «patronato» del capo dello Stato. Sennò andrà sempre a finire come in una delle riunioni di queste settimane. Conclusa da Vasco Errani, Roberto Formigoni e altri governatori, di destra e di sinistra, con una battuta che concentrava tutto: «Dobbiamo tagliare? D'accordo, ci stiamo. Eccoci qua, pronti. Ma non sarà il caso che cominciate voi, che al governo siete in 103?».