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Ma Al Gore, cosa vuole salvare?

di Andrea Marcon - 10/07/2007

 
Molte critiche sono state rivolte all’iniziativa dell’ex vice di Clinton, Al Gore, che ha messo in piedi il Live Earth, una kermesse musicale internazionale per promuovere la salvezza del nostro pianeta dagli imminenti disastri ecologici legati al suo sfruttamento indiscriminato. Si è denunciata la strumentalità dell’iniziativa, insinuando che rappresenti l’originale via che lo stesso Gore avrebbe scelto per conquistarsi un posto in prima fila sulla scena politica americana. Si è puntato il dito sugli enormi sprechi energetici e sulla relativa emissione di sostanze inquinanti che i concerti avrebbero realizzato, in aperta contraddizione con il fine per il quale sono stati organizzati. Si è scritto che una vera coscienza ecologica non si forma attraverso eventi mediatici e che agli spettatori interesserebbe in realtà l’esibizione di Madonna e non il buco dell’ozono. Considerazioni condivisibili, ma che a nostro parere non centrano il nocciolo della questione.

A noi sembra che la vera contraddizione sia un’altra: non solo del Live Earth, ma di tutto quel pensiero ecologista che mira a risolvere il problema della sopravvivenza del pianeta attraverso la scoperta e l’utilizzo di tecnologie che ci permettano di mantenere sostanzialmente gli stessi consumi attuali senza inquinare l’ambiente. L’impressione è che si persegua l’eterno sogno della botte piena e della moglie ubriaca: è evidente che se la Terra sta morendo è perché il sistema economico e produttivo “occidentale” prevede lo sfruttamento delle risorse naturali al fine di soddisfare ogni esigenza materiale dell’essere umano. Adesso gli Al Gore si rendono conto che, a fronte di “bisogni” in costante ed ineluttabile crescita, le risorse fornite da Madre Natura sono – aihmè – limitate. Ma la loro soluzione non è l’unica ragionevole. Ce n’è un’altra che lo è molto di più: fermare il sistema che è alla radice del problema ecologico, rivedere radicalmente i meccanismi che hanno generato la necessità di una costante crescita al fine di mantenere inalterato lo standard di benessere materiale. Non sia mai! Come sempre, questo modello di sviluppo non può neppure essere messo in discussione: anche coloro che si professano portatori di una visione riformatrice partono comunque dal presupposto dell’ineluttabilità se non della bontà intrinseca di quella che Serge Latouche chiama la Megamacchina, lo Sviluppo divorante e onnipotente. Alla fine, la soluzione dei problemi viene sempre demandata dai profeti dell’ecologia a buon mercato alla Tecnologia, da riprogrammare inserendo tra gli input la variabile ambientale. Più che salvare la Terra, vogliono salvare, rifacendogli il trucco, il modello di sviluppo che la minaccia.