Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Le forniture belliche provengono dai Paesi membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU

Le forniture belliche provengono dai Paesi membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU

di Marco Cochi - 10/07/2007

Le forniture belliche che alimentano le guerre nel mondo provengono dai Paesi membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU

«Ci sono più di

550 milioni di

armi in circolazione

nel mondo. Un’arma

ogni 12 persone. Il mio compito

è armare le altre undici».

Con queste parole il premio

Oscar Nicholas Cage, negli

eleganti panni del trafficante di

armi Yuri Orlov, apre la prima

scena del film “Lord of war”

(Il signore della guerra). La

pellicola, distribuita due anni

fa nelle sale cinematografiche

italiane, racconta con i mezzi e

lo stile del cinema hollywoodiano

vicende ispirate a fatti

reali. Come il “colpo del secolo”

portato a termine in Ucraina:

a cavallo del 1989 le armi

dell’Armata Rossa sono state

rubate e rivendute in Africa per

un valore di 32 miliardi di dollari.

Un film-denuncia che prova a

raccontare al grande pubblico

il dramma atroce del commercio

delle armi ai Paesi poveri.

Dittatori di repubbliche delle

banane che bruciano le risorse

delle loro nazioni affamate per

guerre sanguinose. Mercanti di

morte senza scrupoli che

costruiscono fortune sguazzando

nella zona grigia tra legalità

e illegalità. Democratici

Governi occidentali che chiudono

un occhio perché l’industria

bellica gonfia il Pil. «E

perché - come dirà al

momento della cattura

il trafficante ucraino

naturalizzato americano

(personaggio di

fantasia “costruito”

con le storie autentiche

di cinque colleghi

realmente esistiti) - il

più grande mercante

d’armi è il tuo capo

(cioè l’inquilino della

Casa Bianca, ndr), che

a volte ha bisogno di

me per non lasciare le

sue impronte digitali

sulle armi vendute ai

Paesi nemici dei nemici

degli Stati Uniti. Io

sono un male necessario». E

Yuri Orlow viene scarcerato...

Gli Stati Uniti, in realtà, sono

solo uno dei cinque grandi produttori

mondiali: Russia, Francia,

Germania e Cina gli tengono

buona compagnia. Sembrerà

strano, ma si tratta dei membri

permanenti del Consiglio di

Sicurezza delle Nazioni Unite

e di un aspirante tale. Le stesse

Nazioni Unite che nel 2001

hanno adottato un piano per

fermare il commercio illecito

di armi. Intanto, trascorsi sei

anni, si spendono ancora cifre

da capogiro per l’acquisto di

armi e si lasciano solo le briciole

per investimenti sullo sviluppo

e sulla lotta alla povertà,

mentre i Governi occidentali

traggono immensi vantaggi

economici dai conflitti attraverso

il commercio (più o

meno lecito) delle armi.

A parlare con indubbia eloquenza

sono i dati relativi al

commercio delle armi diffusi la

settimana scorsa dall’“International

Peace Research Institute”

(SIPRI) di Stoccolma,

secondo il quale nel mondo si

spende sempre di più per le

armi e la guerra in Iraq e in

Afghanistan ha portato alle

stelle gli stanziamenti per gli

approvvigionamenti militari.

Secondo l’annuale studio europeo

sulla spesa in armamenti,

nel 2006 è stata registrata una

crescita del 3,5 per cento, dei

quali quasi la metà (1.200

miliardi di dollari complessivi)

sono stati sborsati da Washington,

impegnata in teatri costosi

come l’Iraq e l’Afghanistan.

Gli Stati

Uniti hanno investito

in armi 529

miliardi (poco

meno dell’intero Pil

dell’Olanda), con

un aumento della

spesa pari al 5 per

cento. Il SIPRI ha

anche fatto i conti

in tasca all’Amministrazione

USA e

ha calcolato che, tra

impegni a breve e

lungo termine, la

guerra in Iraq

costerà agli americani

2.267 miliardi

di dollari entro il 2016, una

cifra da capogiro.

Anche la Cina, impegnata in

una modernizzazione dell’apparato

militare che preoccupa

Washington, ha registrato un

deciso boom della spesa, passando

da 44,3 miliardi di dollari

del 2005 ai 49,5 miliardi del

2006. Il grosso delle forniture

militari viene da Russia e Stati

Uniti che insieme contano il 30

per cento delle esportazioni,

mentre dai Paesi membri dell’Ue

(Italia compresa) viene un

altro 20 per cento. I maggiori

importatori restano Cina e

India, anche se ben cinque Paesi

mediorientali compaiono

nella top ten degli acquirenti:

su tutti Israele, Arabia Saudita

ed Emirati Arabi Uniti.

Nel rapporto del SIPRI non

sono contenuti i dati relativi al

commercio clandestino di

armi, ma secondo gli esperti

detto commercio è aumentato

del 4,7 per cento in concomitanza

con l’aumento dei Paesi

sotto embargo e con il dilagare

dei conflitti e microconflitti per

il controllo delle risorse, specialmente

nel continente africano,

in Iraq e in Afghanistan.

Un fatto troppo spesso trascurato,

per quanto riguarda le

spese militari di alcuni Stati, è

quello del cosiddetto acquisto

per conto terzi. Detto acquisto

avviene quando uno Stato

finanzia i vari movimenti

armati di alcuni Paesi e incide

in modo significativo sulla

somma totale. Per fare un

esempio, una buona fetta delle

spese militari israeliane sono

da addebitare all’acquisto di

armi da destinare al movimento

palestinese di Al Fatah. A

queste vanno aggiunte quelle

non registrate, acquistate, cioè,

sul mercato clandestino, che,

se messe insieme, formano

un’altra cifra a nove zeri.

Di sicuro si può affermare che

la “guerra al terrorismo” ha

contribuito notevolmente a

rimpinguare i già cospicui conti

bancari dei mercanti di morte,

mentre il dilagare dei conflitti

ha creato altri milioni di

poveri nel mondo, alla faccia

delle buone intenzioni dichiarate

nei vari contesti e riunioni

pubbliche.

Una nota a margine la merita

l’Italia. Il nostro Paese è il

secondo esportatore e quarto

produttore mondiale di armi

leggere («le vere armi di

distruzione di massa», come

afferma un rapporto dell’“Institut

Universitaire de Hautes

Études Internationales”).

Basti pensare che, secondo le

ultime stime della Banca Mondiale,

quasi un miliardo di persone

deve vivere con meno di

un dollaro al giorno e che

basterebbe poco più di un centesimo

di ciò che si spende

ogni anno in armi per dare

acqua e infrastrutture igieniche

a tutta l’umanità. Dunque, da

quando Raoul Follereau, negli

anni Settanta, invitava USA e

URSS a rinunciare a un bombardiere

a testa per fermare la

fame nel mondo, poco è cambiato.