L'Iraq è completamente oscurato. Nemmeno gli ostaggi occidentali fanno più notizia. Sono ancora sei: l'archeologa tedesca Susanne Osthoff, i quattro attivisti del Christian peacemaker team - Tom Fox, Norman Kember, James Loney e Harmeet Singh Soden - e l'ingegnere francese Bernard Planche. Se, come pare, sarà confermata l'esecuzione dell'americano Ronald Shultz. Ma siccome gli americani non trattano - almeno ufficialmente -, nemmeno lo sgozzamento di un ostaggio è degno di clamore. La vita non ha più valore, non solo per gli iracheni. Un prodotto della guerra senza testimoni. Un effetto perverso che ci trascina sempre più giù verso la barbarie. Dove anche i soldati italiani in «missione di pace» possono giocare ai birilli con la testa degli iracheni all'urlo di «annichiliscilo». Ma la guerra è guerra, non l'ha sostenuto anche la commissione d'inchiesta militare americana che ha assolto i soldati (solo uno?) che hanno sparato il 4 marzo del 2005 e ucciso Nicola Calipari? In questo vuoto di informazione tutto può accadere.
Non ci sono più riflettori, nemmeno quelli di coloro che volevano far credere che quel 9 aprile del 2003 l'arrivo degli americani fosse una festa per gli iracheni e per dimostrarlo stringevano il campo del loro obiettivo sulla piazza Firdaus (Paradiso!) perché altrimenti si sarebbe visto il vuoto tutt'intorno.
E' il black out. Con tutto quello che comporta. Bush può cantare vittoria senza fare i conti con la realtà. La neocancelliera tedesca Angela Merkel, senza dover fare i conti con le immagini del video dell'archeologa Susanne Osthoff che non sono state diffuse, può imporre la linea dura, in nome della lotta al terrorismo. Vanificando così la rendita di posizione che le derivava dal fatto che la Germania finora si era tenuta fuori dal pantano iracheno.
In questa situazione persino gli appelli alla liberazione degli ostaggi sembrano cadere nel vuoto. L'impotenza aumenta con l'impossibilità di informare veramente su quello che sta accadendo. Sei ostaggi possono essere ben sacrificati sull'altare di elezioni del 15 dicembre che saranno celebrate da Bush come storiche ma che non fermeranno il bagno di sangue. Che continuerà a colpire, indiscriminatamente.
Non serve chiuderci nel nostro guscio e abbadonare gli ostaggi e gli iracheni a se stessi. Non possiamo nasconderci dietro l'ipocrisia della lotta al terrorismo e allarmarci solo quando sono le nostre città ad esplodere. Bisogna agire subito, prima che sia troppo tardi, salvare gli ostaggi per ristabilire un contatto con quel mondo che è stato disumanizzato dalla guerra e dall'occupazione. Condannando il terrorismo che uccide innanzitutto iracheni, come quelli che viaggiavano sull'autobus per Nassiriya. Ma chi lotta per la liberazione del proprio paese non è un terrorista anche se usa mezzi inaccettabili e condannabili come i sequestri di civili o l'uso della violenza per imporre le proprie scelte. Fare di tutta un'erba un fascio serve solo a chi vuole diffondere il terrore. E senza informazione il compito è facilitato.