Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Acqua. La corsa all'oro blu

Acqua. La corsa all'oro blu

di MarTa - 10/07/2007

 


Nell'ottobre del 1874 viene ucciso a Monreale, il centro vicino Palermo, il fontaniere Felice Marchese. Il delitto s'inserisce nel conflitto tra due organizzazioni mafiose rivali. I fontanieri erano i "guardiani dell'acqua" che, anche dopo l'unificazione dello stato italiano, in assenza di una regolamentazione dell'uso pubblico della risorsa idrica, gestivano la distribuzione dell'acqua nelle campagne palermitane. Questo delitto fornisce la prima documentazione di una delle "guerre di mafia".
Si trattò solo dell'inizio di una lunga serie di omicidi e prevaricazioni legate al controllo dell'acqua in Sicilia.
A giudicare dai serbatoi azzurri che ancora oggi si notano sui tetti delle case, in diverse zone della regione, pare che il problema non sia stato risolto. Strano ma vero, se consideriamo la presenza di dighe ed invasi che non sono, però, autorizzati ad accumulare in relazione alla capienza per cui erano stati progettati e collegati ad una rete di condotte colabrodo. Quest'esempio dovrebbe farci comprendere cosa accade quando gli interessi privati prevalgono su quelli pubblici, a maggior ragione quando la posta in gioco è un bene primario come l'acqua.
Lo spunto iniziale riguarda certamente una gestione illegale della risorsa idrica ma ci permette di effettuare un parallelismo con la tendenza attuale che, pur in termini giuridicamente leciti, persegue lo stesso obbiettivo cioè privatizzare l'uso di un bene pubblico.
Uno degli atti del governo Prodi, forzato dalle polemiche interne poco prima dell'inciampo sulla politica estera, è stato quello di dichiarare (9 febbraio) una moratoria sul problema della privatizzazione dell'indispensabile liquido, che qualcuno ormai definisce l'oro blu.
La gestione dell'acqua è uscita così, almeno per il momento, dal disegno di legge, elaborato dal ministro per gli Affari regionali Lanzillotta, che punta alla privatizzazione dei servizi comunali (ennesima contraddizione del governo di centrosinistra).
Contro il ddl, da tempo ha preso vita un movimento che chiede invece il mantenimento delle risorse idriche come bene comune, promovendo, nelle sue componenti più istituzionali, anche una raccolta di firme per sostenere una proposta di legge d'iniziativa popolare.
Questa parziale retromarcia, dell'attuale governo, avviene comunque dopo che negli ultimi anni si sono già svolte le prime gare per l'affidamento dei servizi idrici alle S.p.A. o per la ricerca di un partner privato da affiancare a quello pubblico. Una recente indagine indica che le gare indette finora sono state più di venti, principalmente nelle regioni centromeridionali del paese. In particolare in Toscana (5) Sicilia (9), Calabria (4), Lazio (2), Campania (2) Umbria (1), l'ultima proprio pochi giorni prima della moratoria quando la conferenza dei sindaci della Provincia di Palermo ha dato il via alla convenzione con la società "Acque potabili S.p.A." che si è aggiudicata la gestione dell'acqua negli 81 comuni del palermitano per i prossimi trent'anni!
Spostandoci al nord, la legge regionale n. 18/2006 (art.4 lettera p) della Lombardia prevede per gli ATO (Ambiti Territoriali Ottimali, coincidenti coi territori delle province) l'obbligo di separare l'erogazione dalla gestione dei servizi idrici.
Non sarà, che in nome di un servizio migliore, la traduzione pratica di questa legge diventerà ancora una volta: "Agli enti pubblici l'onere della manutenzione degli impianti, ai privati l'onore di incassare le bollette"?
Di fatto, con le modifiche che questa legge introduce alla precedente n. 26 del 12 dicembre 2003, nella regione presieduta da Formigoni, si obbligano i consorzi a mettere a gara i servizi d'erogazione idrica.
Una delle caratteristiche principali del bene pubblico, è che questo diviene un diritto da garantire a tutti e, in assenza di rivalità nel consumo, mantiene la sua economicità slegata da speculazioni o profitti. Per essere chiari, l'erogazione di un pubblico servizio é regolata da una logica economica che si riferisce alla copertura dei costi e non ad una logica di profitto, come diretta conseguenza il servizio é caratterizzato da un prezzo di erogazione e non di vendita.
Il passaggio da pubblico a privato rompe questa relazione e determina, inevitabilmente, un aumento dei costi di accesso ai servizi. Questo vale tanto per l'energia quanto per i trasporti e così pure per l'acqua.
Lo é stato in Sardegna, dove tutti i gestori della rete idrica sono confluiti in Abanoa, S.p.A. pubblica partecipata dagli enti locali e dove la tariffa media, è già aumentata del 27%. Lo é stato a Firenze (Publiacqua-Acea) dove tra 2002 e 2005 la quota fissa da pagare in bolletta è aumentata del 33% e ancora a Livorno (aumenti fino all'80%), Arezzo (in sei anni anche il 100%), Frosinone e Latina dove, dicono sindacati e comitati civici, a tre anni dall'inizio della gestione pubblico-privata di Acqualatina, la bolletta è triplicata.
Per noi non è solo una questione di costi, che in Italia rimangono nel complesso relativamente bassi, ma anche di principio. Infatti, da un lato si ritiene che l'acqua rappresenti un bene primario, un diritto umano inviolabile al di fuori di qualsiasi logica di mercato, dall'altro, quello dei privatizzatori, è considerata come uno dei business del futuro assimilata, per importanza strategica, al petrolio.
Scommettere sui titoli delle aziende che la trattano e la distribuiscono, è una delle migliori strategie di investimento per i prossimi dieci anni. Lo sostiene Chris Mayer, uno degli analisti americani più addentro al tema: le cinque azioni del suo portafoglio Blue Gold (oro blu) sono salite in media del 30% dallo scorso giugno, quando ha cominciato a raccomandarle nella sua newsletter Mayer's Special Situations. La disponibilità di acqua potabile è scarsa, Mayer come altri del settore lo sa, come sa che l'acqua è fondamentale nella produzione sia agricola che industriale, che molti degli acquedotti sono vecchi e deteriorati, parte dell'acqua disponibile è salata o inquinata e quindi necessita di essere filtrata, trattata, depurata e distribuita.
Tutto ciò significa: sistemi di pompaggio, tubature, tecniche di depurazione, impianti di desalinizzazione, impianti di irrigazione, prodotti chimici, dighe etc. ma per questo servono investimenti, i privati sono disposti a farli, in cambio, però, chiedono di diventare i padroni dell'acqua per poi venderla come un qualsiasi altro prodotto.
Nello scenario peggiore, si preventivano già anche le guerre per garantirsi la disponibilità dell'oro blu proprio come oggi si combattono per il controllo strategico delle fonti energetiche fossili.
Per tornare ad argomenti più leggeri, già sappiamo come si è sviluppato l'affare dell'acqua in bottiglia, partito dall'acqua delle fonti che garantiva "vent'anni di meno" per arrivare "all'acqua che elimina l'acqua" passando per quella blu, fortunatamente solo grazie al colore della bottiglia, fino a quella "della nazionale" che la fantasia, senza limiti, dei pubblicitari ha promosso attraverso un passerotto ammaestrato da un calciatore abbinato alla vescica sotto scacco "plin plin" di una miss.
Non ci sarebbe tanto da scherzare se pensassimo che è diventato normale uscire dai supermercati con la scorta da sei, di bottiglie di plastica, confezioni che magari hanno percorso centinaia di chilometri prima di arrivare in tavola e che poi devono essere smaltite, nel caso peggiore, bruciandole in qualche inceneritore. A nessuno viene più in mente di rivendicare il diritto all'acqua di qualità che sgorghi dal rubinetto di casa. Questo nel caso ce ne fosse bisogno, visto che non si può assolutamente generalizzare l'affermazione secondo cui l'acqua confezionata sarebbe migliore di quella dell'acquedotto.
Il mercato delle acque minerali è uno dei più redditizi al mondo, dominato fino a poco tempo fa dalla Nestlé (proprietaria, fra gli altri, dei marchi del gruppo italiano San Pellegrino) e dalla Danone, attualmente vede sgomitare anche la Coca Cola e la Pepsi Cola.
Ma, come si accennava prima, il business oggi riguarda le imprese private di distribuzione dell'acqua.
Le francesi Suez-Ondeo e Vivendi-Veolia, da sole, gestiscono la distribuzione dell'acqua per più di 250 milioni di persone
Si prevede che nel 2015 le imprese private forniranno l'acqua potabile a circa 1 miliardo e 750 milioni di "consumatori". Imprese che sono quotate nelle borse internazionali, imprese che vengono comprate e vendute nell'ambito delle strategie di "sviluppo" come avvenuto per la Thames Water - la più grande impresa d'acqua del Regno Unito, numero tre mondiale (dopo le due citate imprese francesi) – che la banca australiana Mac Quarie ha comprato dalla tedesca Rwe. La Rwe, gigante energetico europeo, che aveva acquistato Thames Water, nel 2000, per 7,1 miliardi di euro oggi l'ha rivenduta per una cifra quasi doppia, certo gli analisti della banca australiana avranno fatto i loro calcoli e saranno ben consapevoli dei margini di profitto ancora disponibili.
Non possiamo farci ulteriormente schiacciare dalla logica del mercato, ma è parimenti necessario pensare all'acqua come un bene comune e limitato perché si possa dare una soluzione duratura ai problemi di approvvigionamento.
Solo il 19% dell'acqua potabile è utilizzata per usi domestici, gli impianti per la produzione di energia ne assorbono il 14% (le industrie il 19%) e l'agricoltura ne succhia circa la metà. Senza contare le perdite di rete che in alcune zone della penisola sfiorano il 40% della quota immessa. Anche se in teoria permane un sostanziale equilibrio tra il fabbisogno e le risorse di acqua disponibile in Italia (circa 54 miliardi di metri cubi l'anno) non possiamo dimenticare che gli italiani consumano molta acqua, mediamente 200 litri al giorno, ossia 740 mc all'anno per abitante quando la media europea è di 612 mc/anno. Record in negativo, anche per quanto riguarda lo sfruttamento elevato di acqua di falda: il 23% dei prelievi complessivi, contro il 13% della media europea.
Pare ovvio, come viene fatto da tempo per l'energia elettrica, sottolineare la necessità di un comportamento più responsabile e teso alla diminuzione dei consumi dell'acqua partendo dall'eliminazione degli sprechi (vedi tabella ) e non solo per fronteggiare le ormai frequenti "emergenze siccità".
Per concludere ci pare di poter condividere le dichiarazioni delle associazioni che si battono per la difesa del patrimonio idrico come bene comune: "L'acqua è un bene naturale e un diritto umano universale. La disponibilità e l'accesso individuale e collettivo all'acqua potabile devono essere garantiti in quanto diritti inalienabili ed inviolabili della persona.
L'acqua è un bene finito, indispensabile all'esistenza di tutti gli esseri viventi. Tutte le acque sono pubbliche, non mercificabili e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà, rispettando le aspettative e i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale".
Una volta ancora, dobbiamo ribadire che nessuno ha il diritto di decidere su questioni che riguardano l'intera collettività, nessuna delega può avvallare scelte che espropriano una comunità di un bene che pur garantito ad ogni singolo individuo rimane patrimonio di tutti.