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Una politica per l’economia ecologica

di Pietro Greco - 10/07/2007

La sostenibilità ecologica dello sviluppo economico dipende anche dai nostri comportamenti individuali. Se vogliamo diminuire l’impronta umana sull’ambiente, dobbiamo modificare quei nostri stili di vita che gli esperti chiamano affluenti e che noi potremmo definire, un po’ più rozzamente, consumistici. Ciascuno di noi, nella sua vita quotidiana, può e deve fare qualcosa. Per esempio, può spostarsi con mezzi pubblici o con la bicicletta invece che con l’auto. Usare lampade a forte risparmio energetico per illuminare la casa. Bere acqua del rubinetto, invece che minerale. Insomma, i nostri comportamenti individuali se coerenti e diffusi possono indurre il mercato ad acquisire una maggiore valenza ecologica e a dare valore ai capitali della natura.

Tuttavia sarebbe un errore pensare che tutto può essere risolto a livello individuale e che non c’è bisogno della politica. Che gli stati possano restare indifferenti mentre si consuma la rivoluzione ecoculturale. Non solo perché problemi ambientali globali – come i cambiamenti climatici – possono essere seriamente affrontati solo sulla base di negoziati internazionali multilaterali e, quindi, di accordi a livello di stati. Ma anche perché le nostre scelte individuali possono assumere coerenza e divenire sostenibili solo nell’ambito di un’azione politica ben coordinata.

Prendiamo, per esempio, la necessità di cambiare il paradigma energetico e di spostarci, piuttosto rapidamente, dalle fonti fossili non rinnovabili a fonti alternative rinnovabili e «carbon free», che non producono gas serra. Per realizzare questo processo occorre, certamente, un impegno individuale. Tutti noi dovremmo, per esempio, impiantare sul tetto, ove possibile, pannelli solari per riscaldare l’acqua di cui abbiamo bisogno in casa. Se questo comportamento divenisse cultura diffusa, l’Italia uscirebbe finalmente dal paradosso che vede il nostro grande e assolato paese produrre energia solare in quantità inferiore alla piccola e brumosa Austria.

Senza un intervento di politica economica, tuttavia, la cultura diffusa del solare potrebbe creare un effetto indesiderato: far aumentare il deficit nella bilancia dei pagamenti del nostro paese e alla lunga rendere non sostenibile economicamente lo sviluppo dell’energia da fonti rinnovabili. Il motivo è che, al momento, il nostro sistema produttivo – o, se volete, il mercato italiano – non offre le tecnologie solari necessarie a soddisfare l’eventuale crescita della domanda. Insomma, dovremmo acquistare all’estero i pannelli solari più efficienti. Già oggi, d’altra parte, la nostra bilancia dei pagamenti delle tecnologie per le fonti rinnovabili di energia è in deficit per alcuni decine di milioni di euro.

La soluzione non è certo inibire la «domanda individuale di solare», che anzi speriamo tutti aumenti e diventi robusta anche in Italia. Non fosse altro perché è l’Europa (quindi è la politica trans-nazionale) a imporci di attingere a fonti rinnovabili per almeno il 20% entro il 2020. Ma, al contrario, la soluzione è che il nostro governo elabori una politica economica tale da stimolare il sistema paese non solo a commercializzare le tecnologie per l’energia da fonti rinnovabili, ma a produrle. Ciò comporta, necessariamente, la capacità di competere in questo settore a livello internazionale. Occorrono, quindi, forti investimenti in ricerca e sviluppo (che sono mancati negli ultimi anni) e una forte vocazione all’innovazione produttiva. Insomma, dobbiamo entrare anche noi, come sistema paese e non solo come singoli cittadini, nell’economia ecologica fondata sulla conoscenza.